Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27987 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2011, (ud. 15/11/2011, dep. 21/12/2011), n.27987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

(1) la s.r.l. QUINTILI, con sede in (OMISSIS), in

persona del liquidatore, e (2) Q.M., residente in

(OMISSIS), entrambi elettivamente

domiciliati in Roma alla Via Timavo n. 3 presso lo studio dell’avv.

PROVERBIO Michele che li rappresenta e difende in forza della procura

speciale rilasciata a margine del controricorso;

– controricorrenti –

AVVERSO la sentenza n. 313/05/06 depositata il 30 novembre 2006 dalla

Commissione Tributaria Regionale del Lazio (notificata il 4 dicembre

2006);

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 novembre 2011

dal Cons. Dott. Michele D’ALONZO;

sentite le difese dell’Agenzia, perorate dall’avv. Gianna GALLUZZO

(dell’Avvocatura Generale dello Stato);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FIMIANI Pasquale, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate premesso che la s.r.l. QUINTILI e Q. M. avevano impugnato i “rispettivi avvisi di accertamento” con i quali l’Ufficio aveva rettificato la dichiarazione societaria 1996, recuperando a tassazione … plusvalenze non contabilizzate” (“cessione di una quota di partecipazione del 90% in altra società” e “rivendita di immobili precedentemente acquistati”), “con la conseguenza di ricavi, pure non contabilizzati”, attribuendo “la quota parte del predetto reddito” (“quale utile occultato dalla società”) “al socio Q.M., titolare della quota partecipativa dell’89%” -, in forza di otto motivi, chiede di cassare la sentenza n. 313/05/06 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (depositata il 30 novembre 2006, notificata il 4 dicembre 2006) che ha recepito l’appello dei contribuenti avverso la decisione di primo grado la quale, previa riunione, aveva respinto i ricorsi.

La società ed il Q. instano per il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale – esposto che “con gli avvisi” impugnati l’Ufficio aveva accertato, a carico della società, “una maggiore … IRPEG di Euro 69.021,37 ed una maggiore … ILOR di Euro 58.514,00” e, per il socio, “una maggiore” IRPEF “di Euro 30.075,78” – ha accolto l’appello dei contribuenti affermando:

– “la società ha dimostrato di aver chiuso in perdita negli anni 1994 e 1995” (“perdile mai contestate dall’Ufficio”, che “neppure ha mai contestato la contabilità della società”): “da ciò discende l’illegittimità del ricorso ad accertamento induttivo ovvero a parametri puramente teorici posti a fondamento dell’accertamento stesso”;

– “quanto alla cessione degli immobili, risulta che gli stessi sono stati effettuati ad un prezzo superiore al valore catastale e quindi non suscettibile di rettifica”; “comunque sulla determinazione del prezzo hanno influito concetti di “realizzo” atti a coprire le perdite di esercizio che hanno evidentemente indotto a mettere la società in liquidazione”.

2. L’Agenzia censura la decisione con otto motivi:

(1) “contraddittoria ed illogica motivazione” in ordine alla “illegittimità del ricorso ad accertamento induttivo ” (“ovvero a parametri teorici”), affermata dal giudice di appello, per non avere l’Ufficio contestato la “perdita negli anni 1994 e 1995” dichiarata dalla società;

(2) “difetto di motivazione … con cui si manifesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.” in ordine all’assunto secondo cui “la società avrebbe chiuso in perdita gli esercizi del 1994 e del 1995”, non avendo la Commissione considerato “quanto argomentato e prodotto dall’Ufficio” sul “volume di affari” e sui ò “ricavi” dichiarati in detti anni dalla società;

(3) “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d),” quanto alla tesi per la quale “il tipo di accertamento in essa norma riportata debba essere del tutto sganciato dalla contestazione formale in ordine alla contabilità dell’impresa”, doglianza racchiusa nel “quesito” (ex art. 366 bis c.p.c.).

“se, affinchè possa farsi luogo all’accertamento previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 5, lett. d) sia necessario che la contabilità non sia corretta dal punto di vista formale o, al contrario, non possa l’Ufficio, pur in presenza di una contabilità apparentemente regolare, attingere aliunde elementi idonei a dimostrare che la contabilità formalmente corretta non corrisponde all’effettiva dinamica imprenditoriale, dalla quale emerga invece ricchezza sottratta a tassazione”;

(4) “difetto di motivazione”: “la CTR … ha del tutto omesso di interessarsi della plusvalenza afferente alla cessione della partecipazione societaria contestata alla società”;

(5) “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.” sulla omissione di “ogni indicazione in merito alla presunta illegittimità della ripresa a tassazione della plusvalenza contraddistinta dalla cessione della partecipazione societaria”, censura conclusa con il “quesito” “se impinga nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato …il giudice che, nei pronunciarsi per l’accoglimento totale della domanda … basata su elementi autonomi e diversi, …si limiti a motivare la fondatezza di uno solo di siffatti elementi, tralasciando del tutto di occuparsi dell’eventuale fondatezza dell’altro elemento”;

(6) “violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 81 e 82 (TUIR)”, “nella misura in cui la … CTR non ha rilevato come sussistessero tutti ipresupposti” per “procedere al recupero a tassazione” della “plusvalenza ottenuta dalla cessione della dismissione di una … partecipazione societaria” atteso che la contribuente “aveva del tutto omesso di considerare l’avviamento commerciale”, doglianza conclusa con il “quesito” “se, per la determinazione della plusvalenza tassabile ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 81 e 82 TUIR, consistente nella cessione di una quota qualificata di una società di capitali, possa o meno prescindersi, per la valutazione economica della quota ceduta, dal valore dell’avviamento commerciale dell’azienda detenuta, ottenuto secondo l’applicazione di idonei metodi di calcolo”;

(7) “violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 81 e 82 (TUIR)” sull'”altra plusvalenza contestata” (“cessione di immobili”), essendo “fuori luogo” la “presunta insuscettibilità di rettifica della plusvalenza laddove la cessione … sia stata fatta a prezzo superiore al valore catastale”: chiede (ex art. 366 bis cit.) “se, nella determinazione della plusvalenza tassabile ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 81 e 82 TUIR, consistente nella vendita, da parte di una società commerciale, di un immobile precedentemente acquistato, abbia rilevanza …che il prezzo di vendita dell’immobile… sia o meno superiore al suo valore catastale”;

(8) “difetto di motivazione” sulla “plusvalenza … relativa alla vendita immobiliare”, essendo “inverosimile … che un acquisto di immobili avvenuto nel 1986 a … L.. 118.000.000 avesse potuto, dieci anni dopo, … soprattutto a fronte dei rincari del mercato immobiliare negli anni 90, dar luogo ad una vendita ad un prezzo inferiore (L. 101.000.00)”.

3. I contribuenti, eccepite la nullità e/o l’improcedibilità (“appare nullo e comunque improcedibile”) del ricorso, nei merito oppongono:

– primo motivo: “la Commissione Tributaria Regionale dicendo che l’Ufficio non avrebbe … contestato … l’esistenza delle perdite, ha voluto sostenere che non si è proceduto ad un esame critico della contabilità e che non si è elencata alcuna fonte di innesco autonoma che giustificasse V accertamento”; “l’Ufficio di fronte ad una contabilità regolarmente tenuta avrebbe dovuto dimostrare” che la stessa, “nel suo complesso”, “violava le regole fondamentali della ragionevolezza”;

– secondo motivo: “gli importi … citati erano contenuti in una dichiarazione nella quale erano stati riportati per errore”; “il contribuente aveva chiarito, successivamente, in ogni sede, quali fossero gli importi esatti e quali le perdite che aveva subito”;

“l’errore formale, in quanto tale, non può costituire fatto che giustifica l’accertamento induttivo”;

– terzo motivo: “deve ritenersi l’inapplicabilità dell’accertamento analitico induttivo” non essendovi stata “contestazione della contabilità”;

– quarto motivo: a causa delle “perdite di bilancio … non potevano esistere plusvalenze”;

– quinto motivo: “la motivazione sussiste e vi è corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato posto che il giudice, come richiesto dal contribuente ha annullato completamente l’accertamento”; “aver omesso …la motivazione su alcuni elementi costituenti l’accertamento non comporta violazione dell’art. 112 c.p.c., ma il … vizio di carenza, omessa e/o contraddittoria motivazione”;

– sesto motivo: sull’avviamento commerciale (ovverosia sul “prezzo che il bene ha in commercio”) “dimentica controparte … che le presunte plusvalenze non derivano da una cessione dell’azienda intesa nel suo totale, ma da una cessione di quote societarie, …

maggioritaria ma comunque parziale”; “il valore delle quote era determinato anche dalle risultanze di bilancio che comportavano una perdita”; “il giudice ha ritenuto congruo il valore dichiarato e quindi inesistente la plusvalenza”, “puramente teorico” il “calcolo dell’avviamento commerciale”, “volendo con ciò sostenere che esistevano in atti elementi forniti dal contribuente che giustificavano la perdita di bilancio e quindi l’inesistenza di quell’avviamento” (“fatti… accertati, esistono documenti in atti e la controparte non li ha contestati”);

– settimo motivo: “secondo l’Ufficio quello che conta è la mancata dichiarazione della plusvalenza e non se il valore fosse congruo o meno rispetto a quello catastale”; “l’amministrazione non può ritenere i valori dichiarati congrui o non con-grui a proprio piacimento”; “esistono crileri ben precisi di determinazione del valore” e “se viene ritenuto congruo un valore ai fini dell’imposta di trasferimento, questo deve essere ritenuto congruo anche per eventuali imposte sulle plusvalenze”;

– ottavo motivo: “se è vero che vi furono aumenti… fino al 1990, negli anni successivi vi furono … ribassi “; “controparte non deduce … alcun elemento che possa far ritenere che il prezzo non fosse congruo”.

4. Il ricorso corretta e/o integrata la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c. – deve essere respinto.

A. In via preliminare va disattesa l’eccezione di nullità e/o di improcedibilità dello stesso – sollevata dai contribuenti sull’assunto che “in giudizio … non vi è il Ministero dell’Economia e delle Finanze … ma l’Ufficio di Albano Laziale dell’Agenzia delle Entrate” (“carente”, questa, “di quella personalità giuridica necessaria … per esercitare i propri diritti davanti alle magistrature superiori”) – atteso che:

– il ricorso per cassazione è stato proposto dall’Agenzia delle Entrate (ente pubblico dotato di personalità giuridica) e non già dal suo ufficio locale;

– questo, comunque, è abilitato ad “esercitare i propri diritti davanti alle magistrature superiori” in quanto (Cass., trib., 25 ottobre 2006 n. 22889) – “nel rispetto” del principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte “con le sentenze nn. 3116 e 3118 del 2006” (per le quali “a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione ad causam e ad processum nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia”) nonchè “dell’esigenza di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità in funzione dell’effettività della tutela giurisdizionale” – “non può ritenersi inammissibile il ricorso …

proposto (formalmente) dall’Ufficio locale dell’Agenzia con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, tenuto anche conto della sostanziale unitarietà del soggetto giuridico Agenzia”;

– la dedotta legittimazione processuale (peraltro assunta come esclusiva) del Ministero detto è inammissibile per carenza espositiva (in violazione dell’art. 366 c.p.c.) dei conferenti, imprescindibili elementi fattuali relativi all’identificazione (anche solo attraverso l’epoca della loro notifica) dell’Ufficio che ha emesso gli atti impositivi impugnati;

– il Ministero, peraltro, comunque non risulta aver preso parte al giudizio di appello per cui l’eventuale sua partecipazione a quello di primo grado deve ritenersi superata dall’implicita, ma inequivoca, sua estromissione dal processo conseguente alla proposizione dell’appello (depositato il 4 maggio 2006) nei confronti soltanto dell’ufficio locale dell’Agenzia dell’Entrate (non essendo, peraltro, più operanti, all’epoca, quelli del Ministero).

B. Nel merito, va posto in evidenza che la controversia ha ad oggetto unicamente la ripresa a tassazione della plusvalenza (non dichiarata) che si assume realizzata (1) con la “cessione di una quota di partecipazione del 90% in altra società” e (2) con la “rivendita di immobili precedentemente acquistati”.

La ricorrente sostiene: nel primo caso, che nel valore della “quota” ceduta si deve comprendere anche quello dell'”avviamento” della società partecipata; nell’altro, che “nell’operato dell’ufficio” non “ha contato … il prezzo di vendita degli immobili… (… fosse o meno correlato al valore catastale), sibbene e se si fosse determinato o meno una plusvalenza”.

Siffatte questioni pongono, innanzi tutto, il problema, eminentemente giuridico, della ravvisabilità, in entrambe le ipotesi, di una plusvalenza fiscalmente rilevante.

A tali questioni, nel caso, deve essere data risposta conclusivamente negativa.

B.1. Il D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, invero, art. 81, comma 1 (numerazione e testo originari), dispone che “costituiscono redditi diversi” (a) “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni e (b) “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali”; per l’identico comma del successivo art. 82, poi, “le plusvalenze di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 81, comma 1 sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta, al netto dell’imposta comunale stili incremento di valore degli immobili, e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo”.

Dal riprodotto, chiaro dettato normativo si evince che gli unici dati utilizzabili nell’operazione (algebrica, tassabile se il risultato è positivo) necessaria per determinare la “differenza” costituente la “plusvalenza” sono costituiti (1) dal “prezzo di acquisto” (o dal “costo di costruzione del bene ceduto”) e (2) dai “corrispettivi percepiti nel periodo di imposta”, ovverosia da elementi (“prezzo”, “costo”, “corrispettivi”) inerenti le specifiche attività negoziali di acquisizione (o di costruzione) prima e di dismissione, poi, dello stesso bene.

Per tali norme, quindi, l’Ufficio ha il potere di contestare solo che il “prezzo”, il “costo” e/o il “corrispettivo” dichiarato dal contribuente non coincide con quello effettivamente corrisposto, sopportato e/o “percepito” dallo stesso, non anche che quel “prezzo”, quel “costo” e/o quel “corrispettivo” sia diverso dall’effettivo valore di mercato del bene (quota di partecipazione od immobile che siano).

In proposito, invero, questa sezione ha già osservato che “quando si tratta di imposta sul reddito, ai fini dell’accertamento della plusvalenza patrimoniale di un’impresa … occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione del bene, mentre, quando si tratta di imposta di registro, si ha riguardo al valore di mercato del bene medesimo” sentenze 28 ottobre 2005 n. 21055 (ex art. 375 c.p.c.), da cui gli excerpta, nonchè 21 febbraio 2007 n. 4057.

B.2. Ciò osservato, va poi, in particolare, evidenziato che la pretesa dell’Agenzia di ricomprendere l'”avviamento” della società partecipata ai fini della determinazione del valore delle quote sociali trasferite (anche se tali da rappresentare, come nel caso, una partecipazione molto significativa), è priva di supporto normativo.

L’avviamento” definibile, “nei suoi termini generali”, “come capacità di profitto di un’attività produttiva, ossia come quell’attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (ed, in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l’utilizzazione isolata dei singoli elementi che lo compongono lo stesso sussiste oggettivamente e contribuisce a formare il valore oggettivo dell’azienda” – la cui “esistenza”, diversamente da quanto ritenuto dal giudice tributario di appello, “… non può essere esclusa sulla base della sola circostanza che l’impresa abbia subito delle perdite negli esercizi degli anni precedenti” (Cass., trib., 13 gennaio 2006 n. 613, che richiama “Cass. 2702/02”) in quanto “quello dell’avviamento … si somma al valore degli altri beni che la compongono in un’operazione che logicamente precede la detrazione passività, sicchè non è aprioristicamente escluso nè dall’esistenza nè dall’ammontare di queste” -, infatti e come noto (Cass., trib., 23 dicembre 2005 n. 28751), “costituisce una componente del valore dell’azienda, data dal maggior valore di scambio che il complesso aziendale unitariamente considerato presenta rispetto alla somma dei valori di scambio dei singoli beni che lo compongono”; esso, quindi (Cass., trib,, primo febbraio 2006 n. 2204), costituisce una “qualità dell’azienda” e “si atteggia quale bene di essa”, “ricompreso”, però, in via di massima, solo “nel trasferimento” (come, giusta il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51, comma 4 ai fini del suo assoggettamento all’imposta di registro) della stessa o di un suo ramo.

Per effetto di tale corretta nozione, in carenza di opportuna previsione normativa quale, ad esempio, quella rinvenibile, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, per le “azioni e … i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, non quotate in borsa, nè negoziati al mercato ristretto, nonchè … quote di società non azionarie, comprese le società semplici e le società di fatto”, nel D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 16, comma 1, lett. b), (ripetitivo, nel suo testo originario, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 22), il cui inciso finale “e aggiungendo l’avviamento” è stato espressamente “soppresso” dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 69, comma 1 -, va ribadito e confermato l’orientamento (quand’anche risalente) secondo il quale (Cass., 1, 12 marzo 1979 n. 1537 e 2 marzo 1987 n. 2168), poichè il valore dell’avviamento si realizza, di norma, soltanto nel caso di sostituzione nell’impresa di un soggetto diverso attraverso il trasferimento dell’intera azienda (o di un suo ramo) ad altra società o ad altro imprenditore individuale ovvero mediante concentrazione dell’intero pacchetto nella persona di un unico socio, non può ravvisarsi il realizzo dell’avviamento nella cessione di una quota sociale ad un terzo estraneo alla società, potendo solo verificarsi, in tale ipotesi, il realizzo di una plusvalenza (se) tale cessione sia conseguente ad una operazione speculativa avente per oggetto la quota sociale.

B.3. Nella sentenza 22 marzo 2002 n. 4117, inoltre, ritenuto “applicabile” (sulla scorta di Cass., “20 giugno 2000, n. 8340″) ” il principio di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 24, art. 18, comma 2, (secondo il quale qualora l’interessato dichiari che fatti, stati e qualità sono attestati in documenti già in possesso della stessa amministrazione procedente o di altra pubblica amministrazione, il responsabile del procedimento provvede d’ufficio ali1 acquisizione dei documenti stessi o di copia di essi” … anche nell’accertamento tributario e nella sua proiezione processuale”) si è convincentemente affermata “l’esistenza di un vincolo, per l’Amministrazione Finanziaria, al valore dell’avviamento, determinato in via definitiva, ai fini dell’imposta di registro per il trasferimento dell’azienda” anche “ai fini dell’imposizione sul reddito d’impresa” (specificamente, ivi, per l’accertamento di “plusvalenze conseguenti alla cessione di azienda e riferite all’avviamento”).

(a) osservandosi che – “pur non essendo espressamente previsto dalle leggi d’imposta un vincolo giuridico ad un valore divenuto definitivo ai fini dell’applicazione di un altro tributo, nè esistendo nell’ordinamento fiscale italiano (a differenza di altri ordinamenti) una disciplina generale sull’accertamento di valore di beni o di atti economici ai fini dell’imposizione fiscale, tale vincolo deriva, comunque, dai principi costituzionali” – “nella sentenza 31 ottobre 1995, n. 473, la Corte Costituzionale, pronunciandosi sulla compatibilità coi principi costituzionali della possibilità che un bene subisca una diversa valutazione ai fini dell’imposta di registro e dell’in.v.i.m., applicate per un trasferimento del bene stesso, ha affermato” (a1) che “il principio di uguaglianza impone … che se il valore dello stesso immobile viene riconosciuto per ragioni obiettive nei confronti di un debitore d’imposta, esso non può essere diverso ove si tratti di un contribuente di un’altra imposta connessa e nello stesso contesto, che pur si riferisce al trasferimento dello stesso bene” e (a2) che “il principio della capacità contributiva esige che la medesima situazione di fatto non può che essere rivelatrice della stessa capacità contributiva e quindi dell’analogo prelievo fiscale” e (b) ricordando che “tali principi sono stati riconosciuti anche dalla giurisprudenza di legittimità”, avendo questa Corte (“sentenza 29 marzo 1990, n. 2575”) “osservato”, “sempre in relazione all’ammissibilità di una diversa valutazione del bene trasferito ai fini dell’imposta di registro e dell’in.v.im.”, che “l’art. 97 Cost.

impone all’Amministrazione Finanziaria, in osservanza del dovere di imparzialità, una uniforme valutazione del bene il cui trasferimento è colpito da diversi , tributi apparendo stridente a chiunque col più elementare senso di giustizia che un medesimo bene, in un medesimo momento e contesto … possa avere agli effetti fisca li due valori diversi, a seconda del contribuente dal quale ciascuna imposta è dovuta”.

B.4. Sulla dichiarata scia di tale pronuncia, quindi, questa sezione ha reiteratamente ribadito che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale”:

– “realizzata a seguito di cessione immobiliare, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, e che è onere probatorio del contribuente superare (anche con ricorso ad elementi indiziari) la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore” Cass., trib., 25 gennaio 2010 n. 1333 (ordinanza ex art. 375 c.p.c.), la quale richiama ” Cass. 4057/07, 21055/05, 14448/00″);

– “relativa al valore di avviamento, realizzata a seguito di cessione di azienda, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, ed è onere probatorio del contribuente superare (anche con ricorso ad elementi indiziari) la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore” (Cass., trib., 18 luglio 2008 n. 19830, che ricorda “Cass. n. 21055 del 2005, n. 4117 del 2002, n. 12899 del 200T, nonchè Cass., trib., 30 settembre 2009 n. 21020).

B.5. Da tali principi si ricava che:

(1) ai fini della sussistenza, nonchè della determinazione dell’entità, della plusvalenza rileva sempre e solo il “prezzo incassato” (non avendo, altrimenti, alcun senso, riconoscere al contribuente la facoltà di dimostrare di avere “in concreto venduto ad un prezzo inferiore”) (per Cass., trib., 16 aprile 2008 n. 9950 “il prezzo della cessione di azienda o di ramo di azienda è frutto della libera contrattazione delle parti (2) il “valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro” costituisce “presunzione di corrispondenza” di tal valore con il “prezzo incassato”;

(3) la definitività dell’accertamento del “valore di mercato … in sede di applicazione dell’imposta di registro” non suppone necessariamente una pronuncia giudiziaria sul punto: nella già citata Cass., trib., 22 marzo 2002 n. 4117, infatti, si legge che ivi “era stato ritenuto congruo dall’ufficio del Registro” (“il quale aveva rettificato il valore di altri beni aziendali”) “il valore dichiarato dell’avviamento ai fini dell’imposta di registro sul trasferimento dell’azienda”.

B.6. Il penultimo punto necessità di una doverosa puntualizzazione per la sua applicabilità agli immobili iscritti in catasto con attribuzione di rendita.

Come specificato da questa sezione, infatti (sentenza 4 febbraio 2011 n. 2706, che richiama “Cass., 1^, 22 marzo 1999 n. 2645” e “Cass., trib., 9 maggio 2003 n. 7111”), il “il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4” (per il quale “non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a …. volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a … volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito …”) “non ha inteso individuare per i beni immobili una base imponibile diversa dal valore venale del bene, ma … soltanto introdurre, alfine di ridurre le controversie tra amministrazione finanziaria e contribuenti, una mera preclusione al potere di accertamento, qualora nell’atto venga indicato almeno un valore non inferiore a quello ottenibile con il procedimento di valutazione automatica previsto dal citato dell’art. 52, comma 4”.

Da tanto discende il necessitato corollario logico secondo cui la “presunzione di corrispondenza” del “valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro” con il “prezzo incassato” non può valere allorchè l’Ufficio, causa la preclusione legislativa detta, non abbia potuto esercitare il potere (altrimenti riconosciutogli) di accertare l’effettivo “valore venale del bene”: in questo caso, quindi, l’Ufficio, ai fini delle imposte dirette (anche quanto al riscontro “della sussistenza di una plusvalenza), è libero di procedere all’accertamento del prezzo effettivamente incassato dal contribuente nella vendita dell’immobile allorchè lo stesso si sia avvalso, ai fini dell’imposta di registro, del “procedimento di valutazione automatica”.

B.7. Siffatta precisazione giuridica (cui consegue la evidente erroneità dell’assunto del giudice del merito secondo cui “quanto alla cessione degli immobili, risulta che gli stessi sono stati effettuati ad un prezzo superiore al valore catastale e quindi non suscettibile di rettifica”), però, non è sufficiente a determinare l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia in quanto l’inverosimiglianza è “inverosimile … che un acquisto di immobili avvenuto nel 1986 a … L.. 118.000.000 avesse potuto, dieci anni dopo, … soprattutto a fronte dei rincari del mercato immobiliare negli anni 90, dar luogo ad una vendita ad un prezzo inferiore (L. 101.000.00)” dedotta dalla ricorrente, all’evidenza, rappresenta soltanto una mera opinione di tale parte, non idonea, da sola, a contrastare il giudizio (eminentemente fattuale) del giudice di appello per il quale “comunque sulla determinazione del prezzo hanno influito concetti di “realizzo” atti a coprire le perdite di esercizio che hanno evidentemente indotto a mettere la società in liquidazione”.

C. L’infondatezza degli esaminati motivi di ricorso attinenti al merito della pretesa impositiva, intuitivamente, priva di qualsiasi interesse (art. 100 c.p.c.) lo scrutinio degli altri essendo il loro eventuale fondamento comunque del tutto inidoneo a giustificare una pronuncia di accoglimento del ricorso stesso.

5. Per la sua integrale soccombenza l’Agenzia, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere ai contribuenti le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) in base alle vigenti tariffe professionali forensi, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività difensiva svolta dalla parte vincitrice.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia a rifondere ai contribuenti le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.100,00 (tremilacento/00), di cui Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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