Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27987 del 07/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 07/12/2020), n.27987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19557/2013 R.G. proposto da:

COMPAGNIA IMMOBILIARE AZIONARIA SPA, rappresentata e difesa dall’avv.

Gabriele Escalar, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio

in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 11.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione n. 50, n. 15/50/13, pronunciata il 30/11/2012,

depositata il 15/01/2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06 ottobre

2020 dal Consigliere Riccardo Guida.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Compagnia Immobiliare Azionaria Spa (in seguito: “CIA” Spa), esercente l’attività di locazione di immobili propri e di sublocazione, impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, con distinti ricorsi, gli avvisi di accertamento IRES, IRAP, IVA (notificati alla società nel 2010), per gli anni d’imposta 2005 e 2006, conseguenti ad un processo verbale di constatazione, emesso all’esito di un accertamento parziale, recante i seguenti rilievi: (a) omessa presentazione delle deduzioni extracontabili nel quadro “EC” della dichiarazione Modello Unico 2006, anno d’imposta 2005, con correlato indebito ed ingiustificato scomputo di tali deduzioni annotate nel quadro “RF” della dichiarazione, per un ammontare di Euro 597.006,45; (b) maggiore variazione in aumento – per Euro 1.282,00 – rispetto al dichiarato, per un asserito errore di calcolo; (c) indebita deduzione di costi non inerenti, per spese di viaggio, per Euro 144.789,00; (d) indebita deduzione di costi non inerenti, per consulenze amministrative, per Euro 29.580,00; (e) indebita deduzione di costi non inerenti, per canoni e abbonamenti, per Euro 3.395,00; (f) indebita deduzione di oneri indeducibili, per oblazione da condono, per Euro 11.857,61; (g) indebita deduzione di costi non di competenza del periodo d’imposta 2005, per Euro 6.539,00; (h) altri costi indeducibili per migliorie su beni di proprietà e per spese condominiali, per Euro 52.839,00. In dettaglio, l’avviso di accertamento per il 2005 conteneva il disconoscimento della perdita d’impresa, dichiarata in Euro 281.718,00, e, quindi, l’accertamento di un reddito d’impresa di Euro 520.737,00, di un valore della produzione netta (ai fini IRAP) di Euro 2.185.380,00, di un giro d’affari (ai fini IVA) di Euro 11.105.504,00; l’avviso di accertamento per il 2006 conteneva il disconoscimento della perdita del 2005, utilizzata a scomputo dell’IRES dovuta per il 2006, fino alla concorrenza dell’imponibile dichiarato, e, quindi, ricostruiva un reddito d’impresa di Euro 150.186,00;

2. la CTP di Milano, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 353/24/11, li rigettò;

3. successivamente, in data 23/03/2012, l’Agenzia delle entrate annullò in autotutela l’iscrizione a ruolo relativa all’avviso di accertamento emesso per il 2006;

4. sull’appello della contribuente, nel contraddittorio dell’Amministrazione finanziaria, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato cessata la materia del contendere in relazione all’avviso per il 2006, annullato in autotutela, mentre, per il resto, ha confermato la sentenza di primo grado, condannando la contribuente al pagamento delle spese del giudizio (liquidandole in Euro 10.000,00);

5. il giudice d’appello, innanzitutto, ha preso atto dell’annullamento in autotutela dell’avviso riguardante il periodo d’imposta 2006, donde la declaratoria di cessazione della materia del contendere limitatamente allo stesso atto impositivo. Con riferimento all’avviso relativo al 2005, la CTR, in adesione alla statuizione del primo giudice, ha ritenuto non sanata l’omessa compilazione del quadro “EC” – qualificabile come una violazione non formale, ma sostanziale – in seguito alla presentazione, da parte della contribuente, di una dichiarazione integrativa, quale atto intervenuto successivamente alla contestazione di cui al “PVC”, conclusivo dell’accertamento parziale, notificato alla società verificata;

5.1. in merito alle residue contestazioni, la Commissione regionale si è espressa in questi termini: “Non essendo stata mossa alcuna contestazione nel merito della ripresa di Euro 1.280,00, individuate come variazioni in aumento non denunziate ai fini fiscali, tale somma è ritenuta legittimamente contestata dall’Ufficio. Si ritiene altresì non dimostrata la dipendenza funzionale tra le spese di viaggio ed eventuali ricavi che la società avrebbe tratto da tali spese. Dalla documentazione versata in atti non appare accertata l’inerenza delle spese. Questa Commissione ritiene non inerenti per gli stessi motivi le spese ritenute deducibili dalla C.I.A. S.p.A. con riferimento alle spese di consulenza amministrativa, ai canoni ed abbonamenti per posto auto e posto barca, alle oblazioni per condoni edilizi, ai canoni di leasing non di competenza dell’esercizio 2005 e alle migliorie e spese condominiali. Per ciascuna tipologia di deduzione non risultano sussistenti i requisiti di legge e in maniera particolare non risulta provata l’inerenza.”;

6. la contribuente ricorre per la cassazione di questa sentenza, con dieci motivi, illustrati anche con una memoria; l’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a) preliminarmente, la Corte osserva che il ricorso per cassazione, che consta di 384 pagine, confezionato con la trascrizione integrale degli atti dei gradi di merito (recte: dopo le pagine dedicate alla trattazione dei motivi d’impugnazione (da pag. 1 a pag. 98) sono aggiunte le copie fotostatiche dei detti atti (da pag. 99 a pag. 384)), potrebbe essere complessivamente inammissibile, in adesione all’indirizzo di legittimità (Cass. Sez. un. 09/09/2010, n. 19255) – che, sebbene riferito a un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, esprime un principio di diritto di portata più ampia, in relazione ai requisiti contenutistici del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., – che sancisce l’inammissibilità del ricorso nel quale l’esposizione sommaria dei fatti sia compiuta attraverso l’integrale trascrizione degli atti del giudizio di merito. Tale modalità, infatti, equivale nella sostanza, ad un mero rinvio agli atti di causa e viola, di conseguenza, il principio di autosufficienza del ricorso;

il ricorso all’esame, tuttavia, supera il vaglio d’ammissibilità, dal punto vista del suo contenuto, alla luce del temperamento individuato, ancora una volta dalle Sezioni unite (Cass. Sez. un. 24/02/2014, n. 4324), secondo cui: “Non viola il principio di autosufficienza, avuto riguardo alla complessità della controversia, il ricorso per cassazione confezionato mediante inserimento di copie fotostatiche o scannerizzate di atti relativi al giudizio di merito, qualora la riproduzione integrale di essi sia preceduta da una chiara sintesi dei punti rilevanti per la risoluzione della questione dedotta (…).”. Nella specie, trattasi di una vicenda tributaria piuttosto complessa e, comunque, la prima parte del ricorso per cassazione espone, con sufficiente chiarezza, le censure rivolte alla sentenza d’appello, articolate in dieci motivi d’impugnazione;

1. con il primo motivo del ricorso (“1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 102,105 e 109 TUIR, nonchè del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, art. 11, e del principio di neutralità fiscale rispetto ai criteri contabili di redazione del bilancio di esercizio ivi sancito, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 62”), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere contra legem negato la deducibilità (dall’imponibile IRES e IRAP) delle differenze extracontabili rilevate dalla società (nella specie consistenti, da un lato, nella differenza tra i canoni di locazione finanziaria dei fabbricati e le quote di ammortamento imputate a conto economico in conformità di IAS 17, dall’altro lato, nella differenza tra l’accontamento a TFR calcolato in conformità di IAS 19 e quello calcolato ai sensi dell’art. 2120 c.c.), nel quadro “RF” della dichiarazione dei redditi 2005, esclusivamente a causa dell’omessa esposizione nell’apposito prospetto – quadro “EC” – del modello di dichiarazione dei reddito Unico 2006;

la società rileva, al riguardo, che la compilazione del quadro “EC” è un adempimento formale, avente esclusivamente natura segna/etica, la cui omissione, secondo la stessa Amministrazione finanziaria (Circolare n. 6/E del 13 febbraio 2006, risp. 10.3.), integra un’ipotesi di errore o omissione che può essere corretta in un momento successivo, attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa;

soggiunge che, se la mancata attivazione del quadro “EC” facesse venire meno il diritto alla deduzione delle differenze extracontabili riconosciute, a favore dei soggetti che, come la contribuente, redigono il bilancio secondo i criteri contabili internazionali IAS/IFRS, ciò significherebbe sacrificare il principio di neutralità dell’imposizione, sancito dalla normativa tributaria, a causa del mancato rispetto di un adempimento il cui unico scopo è quello di monitorare eventuali distribuzioni di utili non soggetti ad imposta; con la precisazione che, nella fattispecie concreta, CIA Spa non ha distribuito dividendi agli azionisti, nè nel 2005 nè nel 2006;

nell’eventualità che questa Corte dovesse condividere la lettura del dato normativo (art. 109 t.u.i.r., comma 4, lett. b, temporalmente vigente) fornita dalla CTR, la ricorrente prospetta la questione di legittimità costituzionale del medesimo articolo, per violazione dei principi sanciti dagli artt. 3 e 53 Cost.;

2. con il secondo motivo (“2. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, commi 8 e 8-bis, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, nonchè del principio di emendabilità della dichiarazione fino alla definizione del rapporto tributario, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62”), la ricorrente censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso che la dichiarazione integrativa presentata dalla società (in data 30/09/2008) avesse sanato l’omessa compilazione del quadro “EC” in quanto tale dichiarazione era intervenuta dopo la notifica alla società del PVC dell’organo accertatore, senza considerare che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, neppure la contestazione di una violazione fiscale preclude al contribuente la facoltà d’emenda attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa, ferma restando la possibilità dell’interessato di opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa fiscale dell’Amministrazione finanziaria;

3. con il terzo motivo (“3. Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62”), la ricorrente censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha disatteso il motivo (subordinato) d’appello relativo alla disapplicazione delle sanzioni irrogate ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 5-bis, laddove è esclusa la punibilità delle violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, posto che la compilazione del quadro “EC”, nel modello di dichiarazione dei redditi Unico 2006 – secondo la prospettazione della contribuente -, realizzava una violazione di carattere meramente formale;

4. con il quarto motivo (“4. Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62”), la società fa valere l’error in procedendo della sentenza impugnata per avere omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello con il quale si criticava la statuizione del giudice di primo che non aveva affermato che l’omessa compilazione del quadro “EC” non è sanzionabile per il ricorrere di oggettive condizioni di incertezza sulla portata dell’art. 109 t.u.i.r., comma 4, lett. b;

5. con il quinto motivo (“5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR, comma 5, e del principio di inerenza ivi sancito, oltre che dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62”), la ricorrente censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha respinto i motivi d’appello proposti dalla contribuente relativi ai costi ritenuti indeducibili, ai fini IRES e IRAP, per difetto del requisito dell’inerenza, per avere erroneamente affermato che la nozione d’inerenza, nel diritto tributario, postuli una correlazione funzionale diretta tra la voce di spesa e il ricavo tratto dall’impresa dalla spesa medesima, trascurando che una simile correlazione non è richiesta dall’art. 109 t.u.i.r., comma 5, per il quale, invece, i componenti negativi del reddito sono “inerenti” quando si pongono in correlazione diretta con l’esercizio dell’attività d’impresa e non con il conseguimento di ricavi imponibili;

6. con il sesto motivo (“6. Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62”), che si conclude con un quesito di diritto, la ricorrente fa valere, in via subordinata rispetto alla critica formulata con il quinto motivo, la nullità della sentenza impugnata per avere confermato la ripresa a tassazione di costi, ritenuti indeducibili ai fini IRES e IRAP, per difetto del requisito dell’inerenza, omettendo del tutto di indicare le ragioni su cui poggiava un simile convincimento;

7. con il settimo motivo (“7. Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62”), la ricorrente fa valere, in via subordinata rispetto ai precedenti motivi di censura, l’error in procedendo della sentenza impugnata per avere omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello con il quale la società chiedeva la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui era stata confermata la ripresa a tassazione delle spese per “fatture da ricevere: emolumenti collegio sindacale”;

8. con l’ottavo motivo (“8. Nullità della sentenza impugnata per extrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62”), la ricorrente censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha confermato la ripresa a tassazione della quota del maxicanone corrisposto da CIA Spa, sulla base dei contratti di locazione finanziaria, per l’importo di Euro 4.391,00 (recte: Euro 4.371,00), in quanto ritenuta superiore a quella di competenza, in relazione al periodo d’imposta 2005, in ragione della non inerenza della spesa, senza considerare che l’Amministrazione finanziaria non aveva mai contestato tale aspetto (il difetto dell’inerenza del costo), ma si era limitata a ritenere che quanto dedotto nel 2005 eccedesse la quota del maxicanone effettivamente deducibile nella medesima annualità;

9. con il nono motivo (“9. Nullità della sentenza impugnata per ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62”), la ricorrente fa valere la nullità della sentenza impugnata per essersi pronunciata oltre il limite della domanda dell’Amministrazione finanziaria, in punto di statuizione sulle spese di lite; infatti, l’Agenzia aveva chiesto la condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali, fino alla concorrenza di Euro 5.332,50, in considerazione del valore della controversia (Euro 211.449,00), senonchè la CTR, incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c., aveva condannato la società alla refusione delle spese a favore dell’Ufficio, quantificandole, in via forfetaria, in Euro 10.000,00;

10. con il decimo motivo (“10. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62”), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere omesso di tenere conto, agli effetti della statuizione sulle spese processuali, della declaratoria di cessazione della materia del contendere, in relazione al periodo d’imposta 2006, in seguito all’annullamento in autotutela, da parte dell’A.F., del relativo avviso di accertamento;

11. il secondo motivo è fondato, con conseguente assorbimento del primo, del terzo e del quarto motivo;

il Collegio aderisce all’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte che hanno affermato il seguente principio di diritto: “La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa ai periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43. Il rimborso dei versamenti diretti di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis. Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, e dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria.” (Cass. Sez. un. 7/06/2016, n. 13378);

nella presente vicenda tributaria, la CTR, discostandosi da tale canone di diritto, ha erroneamente ritenuto che la presentazione della dichiarazione integrativa fosse inidonea a sanare l’omessa annotazione nel quadro “EC” dei componenti negativi extracontabili in quanto intervenuta successivamente all’emissione del menzionato PVC, trascurando l’aspetto giuridico decisivo – valorizzato dalle Sezioni unite – secondo cui, in ogni caso, il contribuente può opporsi alla pretesa impositiva che scaturisca da errori (di fatto o di diritto) commessi nella compilazione della dichiarazione dei redditi;

12. il quinto motivo è fondato, con conseguente assorbimento del sesto e del settimo motivo;

la statuizione della CTR, in punto d’inerenza di certi componenti negativi in quanto la contribuente non avrebbe dimostrato la “dipendenza funzionale” delle spese rispetto a eventuali ricavi della società ad esse correlati, collide con il condivisibile indirizzo di questa Sezione tributaria, recentemente ribadito, per il quale: “In tema di redditi d’impresa, il requisito dell’inerenza dei costi deducibili attiene alla compatibilità, coerenza e correlazione di detti costi non ai ricavi in sè, bensì all’attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi.” (Cass. 17/01/2020, n. 902);

13. l’ottavo motivo è infondato;

dal PVC – trascritto, per autosufficienza, nel ricorso per cassazione -risulta il recupero a tassazione IRES dell’importo di Euro 4.371,00, quale costo (canone di leasing) non di competenza dell’anno d’imposta 2005;

la CTR, oltre a ravvisare la carenza del requisito dell’inerenza con riferimento (per quanto adesso interessa) ai “canoni di leasing”, ha altresì affermato che detti canoni non erano di competenza dell’esercizio 2005 (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata);

sicchè è da escludere che la CTR sia incorsa nel prospettato vizio d’extrapetizione in quanto, nella sostanza, essa ha qualificato come legittima la ripresa a tassazione, non soltanto per il difetto del requisito dell’inerenza del componente negativo di reddito, ma anche in ragione della violazione del principio di competenza in punto d’imputazione del costo, aspetto – quest’ultimo – non sottoposto a specifica critica da parte della contribuente;

14. il nono e il decimo motivo sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del secondo e del quinto motivo;

15. in conclusione, accolti il secondo e il quinto motivo, assorbiti il primo, il terzo, il quarto, il sesto, il settimo, il nono e il decimo motivo rigettato l’ottavo motivo, la sentenza è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, che riesaminerà la vicenda tributaria alla luce dei principi di diritto sopra enunciati;

la CTR dovrà anche valutare, ove ne ricorrano i presupposti, se debba applicarsi o meno lo ius superveniens introdotto dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, in punto di regime sanzionatorio, come richiesto, in via subordinata, dalla ricorrente nella memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale; infine, è rimessa al giudice del rinvio anche la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il secondo e il quinto motivo, dichiara assorbiti il primo, il terzo, il quarto, il sesto, il settimo, il nono e il decimo motivo, rigetta l’ottavo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2020

 

 

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