Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27984 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. III, 31/10/2019, (ud. 03/12/2018, dep. 31/10/2019), n.27984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4180-2016 proposto da:

L.F.F., (OMISSIS) SPA in persona del legale

rappresentante Avv. P.C. Pres. del CdA, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA SALARIA 292, presso lo studio dell’avvocato

PAOLA BARTOLINI, rappresentati e difesi dagli avvocati ROSARIO

PIZZINO, SILVESTRO VITALE giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, già MILANO ASSICURAZIONI PU SPA, in

persona del legale rappresentante Dott. G.D.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A, presso lo

studio dell’avvocato MARCO ANNECCHINO, rappresentata e difesa

dall’avvocato SANTO SPAGNOLO giusta procura speciale in calce al

controricorso;

ALLIANZ SPA in persona dei legali rappresentanti Dott.ssa

GE.AN. e Dott.ssa S.M.T., elettivamente domiciliata in

ROMA, VICOLO ORBITELLI 31, presso lo studio dell’avvocato MICHELE

CLEMENTE, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

M.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 07/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROSARIO PIZZINO e VITALE SILVESTRO;

udito l’Avvocato MICHELE CLEMENTE;

udito l’Avvocato MARCO ANNECCHINO per delega orale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Convenuti avanti il Tribunale di Catania, con atto di citazione notificato in data 4.10.1991, da M.S. – che aveva richiesto il risarcimento del danno subito in conseguenza di postumi invalidanti derivati da episiotomia praticata durante l’espletamento del parto -, L.F.F. – responsabile del reparto di ostetricia e ginecologia – e (OMISSIS) s.p.a. (successivamente incorporata in (OMISSIS) s.p.a.), si costituivano in giudizio contestando la pretesa e chiamando in garanzia, il primo, La Previdente Ass.ni s.p.a. e, la seconda, L’Italica s.p.a., società con le quali erano rispettivamente assicurati per la responsabilità civile.

Si costituivano i terzi chiamati contestando, L’Italica s.p.a., la copertura assicurativa nel periodo in cui si era verificato il sinistro, e la Previdente Ass.ni s.p.a. la mancata tempestiva denuncia di sinistro.

Espletata c.t.u. medico-legale, su istanza della M., il Tribunale di Catania emetteva, in data 10.1.1998, ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. (emendata da errore materiale con ordinanza di correzione in data 10.2.1998 ex art. 288 c.p.c., su istanza della M.), condannando i convenuti, in solido, al risarcimento del danno, liquidato in Lire 413.313.189 oltre interessi legali, e rilevando – nella ordinanza di correzione in data 10.2.1998- che la istanza ex art. 287 c.p.c. doveva essere accolta esclusivamente in relazione all’errore materiale relativo alla indicazione del cognome della parte attrice (erroneamente riportato in M. anzichè in M.), mentre non doveva essere disposta alcuna correzione del provvedimento ex art. 186 quater c.p.c., quanto alla asserita omessa pronuncia in ordine alla domanda di condanna che l’attrice aveva proposto nell’atto introduttivo anche nei confronti delle società assicurative, poichè la danneggiata non disponeva di azione diretta nei loro confronti; “per obiter” il Tribunale aggiungeva che neppure doveva essere adottata alcuna pronuncia in ordine al rapporto di garanzia improprio, tra convenuti-chiamanti e società assicurative -chiamate, in quanto i convenuti-garantiti non avevano richiesto, alla udienza 24.11.1997, la emissione di analogo provvedimento anticipatorio di condanna ex art. 186 quater c.p.c. nei confronti delle società assicurative chiamate in causa.

Entrambi i convenuti, L.F. e (OMISSIS), con atti notificati, alla M., in data 20.12.1999, ed alle società assicurative chiamate in garanzia, in data 17.12.1999, “dichiaravano di rinunciare alla pronuncia della sentenza ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 186 quater c.p.c., comma 4″.

L’ordinanza che aveva acquistato efficacia di sentenza veniva, quindi, impugnata con atto di citazione in appello (RG 99/2000), proposto dal L.F. e dalla Casa di cura, notificato in data 19.1.2000 alle società assicurative (nelle more, Lavoro e Sicurtà s.p.a. aveva incorporato L’Italica s.p.a.), ed in data 20.1.2000 alla M., con motivi di gravame che investivano tanto i fatti costitutivi della pretesa risarcitoria, quanto l’omessa pronuncia sui rapporti di garanzia. Si costituivano, nel giudizio di appello, RAS s.p.a. (incorporante di Lavoro e Sicurtà s.p.a.) e la Previdente Ass.ni s.p.a., aderendo ai motivi di contestazione del rapporto principale concernete la responsabilità dei propri assicurati ed instando, in subordine, per il rigetto delle domande contrattuali di manleva proposte dagli assicurati.

Previa riunione dell’appello – incidentale – proposto dalla M., che lamentava la insufficiente liquidazione del danno, dalla Corte d’appello di Catania, con sentenza in data 21.6.2005 n. 643, accoglieva le impugnazioni principali, rigettando la domanda risarcitoria proposta dalla M. che, pertanto, impugnava per cassazione la sentenza di appello, risultata affetta da vizio di motivazione e violazione dell’art. 1176 c.c. e, quindi, cassata con rinvio, dalla Corte di cassazione, con sentenza in data 7.1.2011 n. 257.

All’esito del giudizio di rinvio, riassunto ai sensi dell’art. 392 c.p.c. dalla M., la Corte d’appello di Catania, con sentenza in data 7.1.2015 n. 3, ha rigettato l’appello principale proposto sull'”an” da L.F. e (OMISSIS) s.p.a., accertando la responsabilità professionale del medico, per omessa somministrazione della profilassi antibiotica che, se praticata, avrebbe potuto con elevata probabilità scongiurare la setticemia, confermando sul punto la ordinanza-sentenza emessa ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c.; ha accolto, parzialmente, l’appello incidentale della M., rideterminando l’importo risarcitorio su base tabellare milanese; ha rigettato gli altri motivi dedotti con i gravami principali ed incidentale concernenti: a) la domanda di condanna proposta dalla M. nei confronti delle compagnie assicurative; b) l’omessa pronuncia sulle domande contrattuali di garanzia proposte dai convenuti nei confronti delle rispettive società assicurative della r.c., ritenendo corretta la statuizione del primo Giudice che non aveva pronunciato sulle domande di manleva in assenza di specifica richiesta da parte dei convenuti di emissione di analoga ordinanza anticipatoria ex art. 186 quater c.p.c. nei confronti delle compagnie assicurative, e che, a seguito della rinuncia della pronuncia della sentenza, aveva omesso di dare corso all’ulteriore svolgimento del giudizio, reso ultroneo dalla attribuzione alla ordinanza della efficacia di sentenza: secondo la Corte distrettuale doveva, pertanto, ascriversi alla sola inerzia dei convenuti, la mancata coltivazione della prosecuzione del giudizio al fine di conseguire una decisione sulle domande di manleva.

La sentenza di appello, non notificata, è stata impugnata, con un medesimo ricorso, da (OMISSIS) s.p.a. (incorporante (OMISSIS) s.p.a.) e da L.F.F. i quali hanno dedotto tre mezzi.

Resistono, con distinti controricorsi, UNIPOL-SAI Ass.ni s.p.a. ed ALLIANZ s.p.a.

Alla udienza 14.11.2017 il Collegio disponeva rinvio della causa a nuovo ruolo per consentire l’acquisizione del fascicolo dei gradi di merito, ritualmente richiesto dalla parte ricorrente, e che non risultava trasmesso dalla Cancelleria della Corte d’appello di Catania.

Acquisito il fascicolo, la causa è pervenuta in discussione alla odierna udienza.

I ricorrenti ed ALLIANZ s.p.a. hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

p.1. I ricorrenti hanno riportato, nella esposizione del ricorso, la trascrizione del verbale di udienza in primo grado in data 24.11.1997 dal quale emerge che il procuratore degli stessi si era opposto alla emissione della ordinanza anticipatoria di condanna, precisando le conclusioni “riportandosi a quelle di cui alla memoria ed alla comparsa”.

Nell’atto di appello “principale” (notificato in data 19.1.2000 alle società assicurative ed in data 20.1.2000 alla M.), proposto dal L.F. e dalla Casa di cura avverso la ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. (integrata dalla correzione dell’errore materiale), risulta che le domande condizionate di garanzia – in caso di soccombenza in ordine alla pretesa risarcitoria – erano state nuovamente reiterate dagli appellanti principali, e così anche erano state riproposte nelle comparse di risposta depositate nel giudizio di rinvio riassunto ex art. 392 c.p.c. dalla M., avanti la Corte d’appello di Catania, a seguito della pronuncia di questa Corte n. 257/2011 che aveva cassato la sentenza d’appello in data 21.6.2005 n. 643.

p.2. UNIPOL-SAI s.p.a. (controricorso pag. 4) ha eccepito in via pregiudiziale che, sulla pronuncia della sentenza di appello n. 643/2005, pubblicata in data 21.6.2005, di rigetto delle domande di manieva, si era formato il giudicato in quanto, nel successivo giudizio di legittimità, introdotto con ricorso per cassazione proposto dalla M., sia il L.F. che la Casa di cura si erano limitati a resistere con controricorso, senza investire con specifico ricorso incidentale condizionato il capo della sentenza di appello che li vedeva soccombenti.

Hanno controdedotto gli attuali ricorrenti, con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., sostenendo che la sentenza della Corte d’appello aveva rigettato soltanto la pretesa risarcitoria formulata dalla M., sicchè alcun onere di impugnazione, in sede di legittimità, gravava sulle altre parti in quanto totalmente vittoriose.

p.3. La eccezione è infondata.

Osserva il Collegio che nel giudizio di appello – definito con la sentenza n. 643/2005 – (OMISSIS) e L.F. avevano dedotto come motivo principale la insussistenza della responsabilità per inadempimento della prestazione professionale, ed “in subordine, in caso di soccombenza” – e quindi di conferma della statuizione di condanna contenuta nell’ordinanza-sentenza ex art. 186 quater c.p.c. -, avevano censurato il provvedimento impugnato, nella parte in cui il Tribunale aveva “erroneamente escluso i chiamati in garanzia dalla soccombenza per il credito risarcitorio” (cfr. sentenza n. 643/2005, in motivazione, pag. 12), chiedendo pertanto al Giudice del gravame di “disporre l’obbligo dei terzi Assicuratori… chiamati rispettivamente in garanzia….. di pagare direttamente il risarcimento del danno…. in favore della M….” (idem, pag. 12, e conclusioni delle parti, trascritte a pag. 3 della sentenza di appello). Le società assicurative, costituitesi nel giudizio di appello, avevano aderito al primo motivo dell’appello principale, mentre, relativamente alla domanda subordinata di manleva: a) il procuratore di Previdente Ass.ni s.p.a. aveva chiesto la conferma della statuizione del Tribunale – che aveva ritenuto di non dover pronunciare sul rapporto di garanzia in difetto di espressa istanza ex art. 186 quater c.p.c. formulata dagli assicurati – e, in subordine, il rigetto della domanda di pagamento dell’indennizzo assicurativo opponendo la prescrizione del diritto e la violazione dell’obbligo di tempestiva denuncia del sinistro; b) il procuratore di RAS s.p.a. aveva chiesto che la condanna per manleva fosse contenuta nei limiti del massimale di polizza.

La Corte d’appello di Catania, con la sentenza n 643/2005, ha accolto il “primo motivo dell’appello principale”, ed ha riformato integralmente la ordinanza-sentenza impugnata, escludendo la responsabilità civile della Casa di cura e del L.F., ed in conseguenza ha rigettato la domanda di risarcimento danni proposta dalla M. e “conseguentemente, anche quelle…avanzate….nei confronti delle compagnie assicuratrici…” (cfr. sentenza appello, in motivazione pag. 23, ed analogamente in dispositivo).

Tanto premesso, risulta incontestato, emergendo peraltro dalla lettura del controricorso depositato in data 14.11.2006 dalla Casa di cura e dal L.F. nel giudizio di legittimità – introdotto dalla M. avverso la predetta sentenza di appello -, che i resistenti hanno controdedotto esclusivamente sulla questione concernente la responsabilità professionale, ed hanno concluso istando per il rigetto del ricorso per cassazione e per la conferma della sentenza impugnata.

Orbene ritiene il Collegio che alcun onere di impugnazione incidentale gravasse sui predetti, risultati totalmente vittoriosi nel giudizio di merito, non potendosi ravvisare nella pronuncia della Corte d’appello sopra riportata alcuna soccombenza in ordine al rapporto subordinato di garanzia. Dalla lettura della sentenza di appello si evince chiaramente come il Giudice del gravame si sia limitato all’esame del solo motivo di appello concernente l’accertamento della responsabilità professionale, tralasciando del tutto ogni indagine finanche attinente a questioni pregiudiziali o preliminari di merito – relativa al rapporto contrattuale assicurativo, di tal che la “impropria” espressione lessicale di rigetto delle domande avanzate nei confronti delle società assicuratrici, deve essere intesa alla stregua dell’inequivoca funzione sintattica da attribuire all’avverbio “conseguentemente”, che lega detta pronuncia al capo precedente di rigetto nel merito della domanda di accertamento di responsabilità e di condanna al risarcimento danni, laddove la conseguenza logica della accertata inesistenza di responsabilità dei convenuti nella causa principale, si risolve nella assoluzione del Giudice dall’obbligo di esame e di pronuncia sul rapporto di garanzia, pronuncia resa superflua e priva di interesse dall’esito dell’accertamento del rapporto principale e dunque dalla inesistenza del presupposto necessario (accertamento di responsabilità) cui la stessa parte ha inteso espressamente condizionare la domanda di garanzia.

E’ ben vero che nel giudizio con pluralità di parti, avente ad oggetto distinti rapporti giuridici, eventualmente connessi, le parti -indipendentemente dalla relazione di dipendenza o derivazione in cui, sul piano del diritto sostanziale, possono atteggiarsi le diverse obbligazioni – bene potrebbero comunque richiedere al Giudice di pronunciare sulla esistenza e validità del rapporto anche nel caso di attuale inesigibilità delle prestazioni: tale è l’ipotesi in cui il convenuto in giudizio per il risarcimento del danno, chiami in garanzia l’assicuratore, chiedendo “in ogni caso” -e quindi anche nel caso in cui risulti infondata la domanda risarcitoria- che venga accertata nei confronti del proprio assicuratore la validità ed efficacia del contratto assicurativo, così da eliminare possibili future eventuali contestazioni.

Ma tale richiesta di un “autonomo” accertamento del rapporto di garanzia deve essere esplicitamente formulata nella domanda proposta dall’assicurato-chiamante, dovendo risultare inequivocamente dall’atto di chiamata in causa, in tal caso soltanto insorgendo l’obbligo del Giudice di provvedere all’accertamento del rapporto di garanzia, indipendentemente dall’esito dell’accertamento del rapporto principale.

Nella specie non risulta che tale autonomo accertamento del rapporto assicurativo sia stato richiesto dagli assicurati, che hanno evocato in giudizio le rispettive società assicurative chiedendo, esclusivamente, la condanna all’adempimento contrattuale in caso di soccombenza sulla domanda risarcitoria.

Pertanto anche in relazione a tale aspetto la pronuncia di “rigetto” contenuta nella sentenza n. 643/2005 della Corte d’appello di Catania, non individua una statuizione sul merito del rapporto di garanzia, suscettibile di acquistare efficacia di giudicato se non impugnata, ma deve intendersi piuttosto come mero effetto consequenziale dell’accertata inesistenza del presupposto logico-giuridico della responsabilità civile dell’assicurato, ossia come presa d’atto della assenza della condizione alla quale il convenuto-assicurato aveva subordinato l’accesso all’esame del merito della domanda di manleva.

ti Trattasi in conclusione di una espressione lessicale impropria, utilizzata dalla Corte d’appello per evidenziare che le questioni concernenti il rapporto di garanzia – oggetto della domanda subordinata – non venivano alla cognizione del Giudice, in quanto il loro esame rimaneva, con espressione da ritenere sicuramente più corretta, “assorbito” dal rigetto della domanda risarcitoria oggetto del rapporto principale.

Consegue che se, in caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all’accoglimento, la devoluzione di quest’ultima al Giudice investito dell’appello sulla domanda principale non richiede la proposizione di appello incidentale, essendo sufficiente – e tuttavia necessaria, per manifestare la volontà contraria alla rinuncia od all’abbandono della questione proposta – la “riproposizione” della domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 7700 del 19/04/2016), tale attività di impulso non è, invece, richiesta nel giudizio di legittimità, in quanto la parte vittoriosa in appello non ha l’onere di proporre ricorso incidentale per far valere in sede di legittimità le domande o le eccezioni non accolte dal giudice di merito, rispetto alle quali siano pregiudiziali o preliminari o alternative le questioni sollevate con il ricorso principale, in quanto, l’onere di impugnazione presuppone la soccombenza, e, in mancanza di una norma analoga a quella di cui all’art. 346 c.p.c., l’accoglimento di quest’ultimo ricorso, ancorchè in mancanza di quello incidentale, comporta la possibilità che tali domande o eccezioni siamo riproposte nel giudizio di rinvio (giurisprudenza consolidata: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 14382 del 08/10/2002; id. Sez. 1, Sentenza n. 12153 del 23/05/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 3796 del 15/02/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 25821 del 10/12/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 12728 del 25/05/2010; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 134 del 05/01/2017).

L'”assorbimento” dell’esame della domanda subordinata-condizionata di manleva (rapporto di garanzia), conseguente al rigetto della domanda risarcitoria in difetto di prova della responsabilità civile del convenuto-assicurato (rapporto principale), si risolve in una “motivata astensione” dall’obbligo di pronuncia sulla domanda subordinata, in quanto tale insuscettibile di idoneità al giudicato sostanziale sulla questione di merito sottesa alla domanda: tale dovendo intendersi, alla stregua dell’inequivoco significato da riconoscere al contenuto motivazionale ed al dispositivo, la pronuncia con la quale la Corte d’appello “conseguentemente rigetta la domanda avanzata…. nei confronti della compagnia assicurativa”, alcun giudicato può ritenersi formato sul punto, non essendo onerati i convenuti-assicurati, totalmente vittoriosi in appello, alla proposizione del ricorso incidentale condizionato.

Esame dei motivi del ricorso.

p.4. Con il primo motivo (vizio di motivazione della sentenza – rror in procedendo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 189 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) i ricorrenti censurano la sentenza impugnata sotto un duplice aspetto:

a) la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuta non riproposta e quindi abbandonata la domanda condizionata di garanzia formulata dai convenuti nei confronti delle società assicurative, in quanto non sarebbe stata reiterata in occasione della istanza, proposta dalla parte attrice, di pronuncia della ordinanza anticipatoria di condanna ex art. 186 quater c.p.c.

b) il Giudice di appello avrebbe erroneamente ritenuto “tamquam non esset “la dichiarazione con la quale i procuratori dei convenuti, alla udienza 24.11.1997 di precisazione delle conclusioni in primo grado, si erano riportati alle istanze rassegnate nelle proprie comparse e memorie, in tal modo ipotizzando un inesistente duplicazione dell’onere processuale per la parti che sarebbero -inutilmente – tenute a reiterare le già precisate conclusioni, anche in funzione della emissione della ordinanza ex art. 186 quater c.p.c.

p.5. Il secondo motivo (vizio di motivazione della sentenza – error in procedendo – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 186 quater c.p.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) censura la sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto frazionabile la decisione sulla domanda risarcitoria proposta dalla parte attrice – decisa con ordinanza anticipatoria – e quella sulle domande condizionate di garanzia, sostenendo erroneamente che queste ultime avrebbero dovuto essere coltivate nel prosieguo del giudizio di primo grado, per essere decise con sentenza, sebbene la dichiarazione di rinuncia ex art. 186 c.p.c., comma 4, (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263) dei convenuti avesse investito anche la “ordinanza integrativa” con la quale era stata disposta la correzione dell’errore materiale ex art. 288 c.p.c. ed erano state rigettate, “per motivi processuali”, le domande di garanzia. Sostengono i ricorrenti che, costituendo un “unicum”, la ordinanza ex art. 184 quater c.p.c. e la successiva ordinanza correttiva ex art. 288 c.p.c., l’intero provvedimento a seguito della rinuncia notificata dai convenuti veniva ad acquistare efficacia di sentenza impugnabile, anche sul capo relativo al rigetto delle domande di garanzia, con conseguente obbligo di pronuncia del Giudice di rinvio anche sul rapporto assicurativo.

p.6. Il terzo motivo (violazione art. 112 c.p.c. extrapetizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), censura la sentenza di appello deducendo che, sebbene nessuna delle Compagnie assicurative avesse formulato – nei gradi di merito e neppure in sede di legittimità e di rinvio – alcuna eccezione in proposito, la Corte distrettuale sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione avendo, illegittimamente, rilevato “ex officio” la preclusione processuale conseguente alla “mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, delle domande di garanzia in relazione alla ordinanza anticipatoria di condanna”.

p.7. Osserva il Collegio che il terzo motivo deve essere esaminato con priorità, in quanto appare diretto a contestare “a monte” lo stesso potere della Corte d’appello di rilevazione ex officio la preclusione all’esame dei motivi di gravame concernenti il rapporto assicurativo determinata dalla omessa “riproposizione”, alla udienza di precisazione delle conclusioni (in primo grado), della domanda condizionata di condanna alla prestazione indennitaria alla udienza in cui era stata formulata dalla parte attrice la istanza ex art. 186 quater c.p.c..

Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha, infatti, deciso sul secondo motivo di gravame dedotto dagli appellanti Casa di cura e L.F. che si dolevano della “statuita esclusione, dalla pronunciata condanna, dei chiamati in garanzia”, rilevando che andava esente da critica il provvedimento anticipatorio di condanna impugnato, in quanto il Tribunale non aveva assunto alcuna decisione nel merito in ordine al rapporto di garanzia, avendo “semplicemente rimesso la decisione in parte qua alla definizione della controversia nelle forme ordinarie della sentenza” e dunque, un onere di impugnazione, relativamente all’accertamento del rapporto di manleva, sarebbe potuto insorgere soltanto all’esito del giudizio di primo grado ed in seguito alla pronuncia della sentenza definitiva.

Pertanto, avuto riguardo all’oggetto della controversia sottoposto alla cognizione del Giudice del gravame, non è dato comprendere come quest’ultimo avrebbe ecceduto dai limiti del “tantum devolutum” nell’esaminare – condividendole – le ragioni poste a fondamento della ordinanza-sentenza impugnata: in sostanza i ricorrenti avevano impugnato la ordinanza-sentenza del Tribunale deducendo la omessa pronuncia sulle domande di manleva. La Corte distrettuale, coerentemente, ha esaminato il provvedimento impugnato, escludendo che il Tribunale fosse incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto, la istanza di condanna anticipata ex art. 186 quater c.p.c., presentata dalla danneggiata M., non faceva insorgere ex se alcun obbligo di pronuncia sulla questione dipendente di garanzia.

L’esame compiuto dal Giudice di appello in sede di rinvio, non era quindi subordinato alla proposizione da parte delle Compagnie assicurative di eventuali eccezioni sulla “mancata riproposizione” -alla udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado- delle domande di manleva. Se tale fosse la critica svolta dai ricorrenti, con il motivo di ricorso in esame, la stessa sarebbe palesemente inammissibile in quanto totalmente decentrata rispetto alla “ratio decidendi”: nella motivazione della sentenza impugnata non si fa, infatti, alcun riferimento ad una ipotetica omessa “riproposizione”, nel verbale di udienza fissata per la precisazione delle conclusioni, delle richieste di condanna condizionata formulate dai convenuti con gli atti di chiamata in garanzia; piuttosto si evidenzia come i limiti del “thema decidendum” su cui il Tribunale era stato chiamato a pronunciare anticipatamente, erano delineati dai presupposti legali del provvedimento e, quanto all’oggetto, esclusivamente dalla istanza della parte che tale provvedimento anticipatorio aveva richiesto, esulando quindi, dall’obbligo di pronuncia del Giudice di prime cure, l’esame di qualsiasi altra domanda – pur se connessa – od eccezione (non pertinente al diritto fatto valere dall’istante), formulata nel giudizio di merito.

Risulta dunque oggettivamente estranea alla indicata piana ragione posta a fondamento della decisione impugnata, la critica concernente la mancanza di eccezioni, delle società assicurative, in ordine alla omessa riproposizione della domanda di garanzia, od ancora la ipotizzata errata rilevazione della reiterazione della domanda di garanzia mediante il rinvio “per relationem” alle istanze e deduzioni svolte negli atti difensivi dei convenuti.

p.8. I motivi primo e secondo – in quanto rivolti a criticare la attività della Corte distrettuale nella applicazione della norma processuale di cui all’art. 186 quater c.p.c., deducendo vizi di nullità della sentenza impugnata – possono essere congiuntamente esaminati.

La eccezione pregiudiziale di inammissibilità del primo e del secondo motivo di ricorso per cassazione, formulata da ALLIANZ s.p.a., va respinta alla stregua del principio secondo cui, la verifica di corrispondenza ai requisiti prescritti dall’art. 366 c.p.c., va condotta in relazione all’intero contenuto espositivo ed argomentativo della censura e non soltanto in relazione alla rubrica: consegue che il motivo raggiunge i requisiti di ammissibilità laddove, come nel caso di specie, dal contesto della esposizione emerga, in modo chiaro, il vizio di legittimità denunciato (nella specie il vizio di nullità processuale per inesatta rilevazione e valutazione del contenuto delle conclusioni precisate a verbale di udienza del 24.11.1997, in relazione alla richiesta di pronuncia ex art. 186 quater c.p.c.; il vizio di nullità processuale per illegittimo frazionamento della domanda principale da quelle di garanzia; il vizio processuale della pronuncia di rigetto dell’appello principale, relativo al rapporto di garanzia, che avrebbe invece dovuto ritenersi fondato in quanto proposto avverso la ordinanza anticipatoria e la “ordinanza integrativa” di correzione, costituente un unico provvedimento dotato di efficacia di sentenza).

Premesso che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013), non vi è luogo nella specie a “cumulo inestricabile” di plurime censure prospettate con il medesimo ed unico motivo di ricorso, atteso che la indicazione in rubrica dei plurimi paradigmi normativi relativi a distinti vizi di legittimità rimane implicitamente assorbita nell’unica censura esaminabile, alla stregua della esposizione del primo e secondo motivo, che rimane esclusivamente quella attinente alla verifica dei vizi di nullità processuale prospettati in relazione alla statuizione della sentenza della Corte distrettuale, concernente il rapporto di garanzia, e ciò in base al principio affermato da questa Corte, secondo cui il vizio processuale dedotto in sede di legittimità, non può scindersi nella sua componente fattuale (integrante vizio di error facti) ed in quella normativa (integrante vizio di error in procedendo), atteso che il sindacato di legittimità non può che avere ad oggetto il “fatto processuale” unitariamente considerato, in relazione al concreto svolgimento delle attività compiute dalle parti e dal giudice, con la conseguenza che – una volta ritualmente dedotto il vizio di nullità processuale -, la Corte non incontra limiti all’accesso diretto agli atti del processo onde verificare se l’attività compiuta dal Giudice corrisponda o meno allo schema legale della norma processuale (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012).

Venendo all’esame del fondo dei motivi di ricorso il Collegio osserva quanto segue.

La Corte d’appello, in sede di rinvio, condividendo la decisione del primo Giudice, ha ritenuto che alcuna pronuncia di ordinanza anticipatoria ex art. 186 quater c.p.c. fosse tenuto ad emettere tale Giudice sulla domanda di manleva, in quanto i convenuti, alla udienza 24.11.1997, nel precisare le conclusioni, non avevano richiesto di pronunciare ordinanza anticipatoria anche sulla domanda condizionata.

Al riguardo occorre rilevare che – come diffusamente evidenziato nel ricorso – il procuratore dei due convenuti si era riportato a tutte le difese e richieste svolte nei precedenti atti difensivi, come è dato riscontrare dall’esame del verbale di udienza in primo grado del 24.11.1997, al quale la Corte, attesa la natura del vizio di legittimità denunciato, ha accesso diretto per verificare il “fatto processuale” (cfr. verbale di udienza, prodotto in allegato al ricorso per cassazione), e, per giurisprudenza costante di questa Corte, l’abbandono di domande ed eccezioni deve risultare da un atteggiamento processuale inequivoco non essendo sufficiente la adozione di formule di stile o generiche ad escludere che la parte abbia inteso rinunciare alla decisione sulle proprie istanze (Cass. 15860/2014; 1603/2012; 22360/2013. Da ultimo Corte cass. Sez. U -, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018), e dal verbale predetto, così come dal precedente comportamento processuale tenuto dagli originari convenuti, non emerge alcuna volontà inequivoca di abbandono delle domande di manleva.

Ma come si è già in precedenza rilevato, la questione decisiva ai fini della soluzione della controversia, non attiene alla indagine relativa alle richieste conclusive delle parti ed all’accertamento della loro volontà di reiterare la richiesta di decisione sulla domanda di garanzia, volontà che non presenta margini di dubbio alcuno e deve ritenersi pertanto inequivocamente espressa a verbale della udienza di precisazione delle conclusioni, quanto piuttosto verte sulla individuazione dell'”oggetto” appartenente alla causa di primo grado, sul quale tale Giudice era stato chiamato a pronunciare a seguito della istanza ex art. 186 quater c.p.c. formulata dalla sola danneggiata, venendo al riguardo in rilievo le disposizioni di tale norma, che prevedono: “Esaurita la istruzione, il giudice istruttore, su istanza della parte che ha proposto domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna o al rilascio di beni, può disporre con ordinanza il pagamento o la consegna o il rilascio, nei limiti per cui ritiene già raggiunta la prova. Con l’ordinanza il giudice provvede sulle spese processuali” (comma 1), e prescrivono, in caso di estinzione del processo, ovvero di notifica e deposito della dichiarazione – della parte intimata – di rinuncia alla pronuncia della sentenza, che “l’ordinanza acquista l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto della istanza” (commi 3 e 4).

Orbene dalla inequivoca espressione del testo legislativo non sorgono dubbi circa la necessità che il Giudice di merito possa emettere la ordinanza anticipatoria soltanto su esplicita istanza di parte, dovendo quindi ritenersi, in applicazione del principio dispositivo, che, fermo il “petitum” formale (statuizione di condanna) e sostanziale (pagamento somma di denaro; consegna cosa mobile; rilascio bene immobile) l'”oggetto” devoluto alla cognizione del Giudice, in relazione alla pronuncia anticipatoria, debba essere limitato -oltre che alla verifica pregiudiziale della esistenza dei presupposti legali di emissione del provvedimento – esclusivamente al “quid” ed al “quantum” indicato nella istanza formulata dalla parte, indipendentemente pertanto – dall’esame di altre eventuali pretese fatte valere dalla stessa parte istante con l’atto di citazione introduttiva del giudizio di merito, contro la stessa parte (cumulo oggettivo – domande anche non connesse per l’oggetto od il titolo: art. 10 c.p.c., comma 2 e art. 104 c.p.c., comma 1) ovvero contro altre parti del processo (cumulo soggettivo – domande connesse per l’oggetto o per il titolo: art. 33 c.p.c., art. 103 c.p.c., comma 1), o di altre domande eventualmente connesse a quella principale, proposte tra altre parti del processo, che con questa si relazionino secondo un rapporto di subordinazione o condizionamento.

La giurisprudenza di questa Corte e la dottrina prevalente hanno, infatti, evidenziato come la disciplina processuale dell’art. 186 quater c.p.c. non ponga alcun limite – al di fuori di quelli imposti dalla chiusura della fase istruttoria ed al tipo di provvedimenti adottabili – in ordine alla scelta demandata alla parte istante di limitare la istanza di condanna anticipata soltanto ad alcuni capi della domanda o soltanto ad alcune delle plurime domande di condanna eventualmente proposte, ben potendo proseguire il suo normale “iter”, pertanto, il giudizio di merito – dopo la emissione del provvedimento ex art. 186 quater c.p.c. limitato ad alcuni capi o domande – fino alla pronuncia della sentenza definitiva sulle altre domande in ordine alle quali non è stata richiesta la emissione della ordinanza anticipatoria (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2079 del 13/02/2002, che esamina il caso in cui con la ordinanza anticipatoria era stata disposta la condanna per “alcune voci di danno” – biologico, morale, lucro cessante – con contestuale rinvio della causa per la decisione con sentenza in ordine alle “altre voci di danno” -spese future per assistenza della persona invalida -; id. Sez. 3, Sentenza n. 983 del 28/01/2002, ed id. Sez. 1, Sentenza n. 17807 del 03/09/2004, che ammettono la pronuncia della ordinanza anticipatoria limitata alle “domande proposte solo da alcune parti”, ma soltanto se le cause sono “scindibili” e venga disposta, anche implicitamente, la separazione delle stesse; id. Sez. 2, Sentenza n. 2166 del 31/01/2011, secondo cui il provvedimento ex art. 186-quater c.p.c. può essere adottato dal giudice, su richiesta di parte, con riferimento anche “ad una sola delle plurime domande” proposte – nella specie sulla domanda attorea di rilascio del fondo -, proseguendo il giudizio per la decisione con sentenza sulla “domanda riconvenzionale” – relativa al compenso per indennità di miglioria ed al diritto di ritenzione -, ostando, alla separazione delle cause, soltanto la eventuale oggettiva incompatibilità tra le domande, tale per cui l’accertamento dei fatti costitutivi dell’una implica l’accertamento della insussistenza dei fatti costitutivi dell’altra: ipotesi quest’ultima esaminata da Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 28419 del 22/12/2005 -domanda di rilascio dell’immobile compravenduto rispetto alla domanda riconvenzionale di accertamento della nullità dell’atto di vendita-; id. Sez. 2, Sentenza n. 5423 del 05/03/2010, per cui la ordinanza anticipatoria, decidendo sulla domanda principale, aveva deciso – implicitamente – anche la domanda riconvenzionale, oggettivamente incompatibile – nella specie: domanda di risoluzione e risarcimento danni in tema di contratto di appalto, incompatibile con quella principale dell’attore appaltatore di risoluzione e di pagamento del corrispettivo per i lavori eseguiti; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 20693 del 13/10/2016 secondo cui è del tutto ammissibile la pronuncia parziale – id est soltanto su una “parte della domanda” – o soltanto su alcune domande. In prospettiva inversa si pone il precedente di Corte cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 9194 del 10/04/2017 che esamina la fattispecie in cui il giudice, pur richiesto di decidere con ordinanza anticipatoria “solo alcune” delle domande proposte da parte attrice – condanna al pagamento di corrispettivi di appalto -, anzichè proseguire il giudizio in ordine alle altre domande – condanna alla restituzione dell’anticipo prezzo relativo a preliminare di vendita -, aveva “irritualmente” deciso, con la ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., anche la domanda non oggetto della istanza di pronuncia anticipatoria formulata dalla parte: in tal caso il radicamento in capo al Giudice di appello dell’obbligo di decidere nel merito anche le “altre” domande su cui il primo Giudice aveva “irritualmente” pronunciato, è stato fatto derivare dai limiti imposti dall’art. 354 c.p.c., per tale invalidità processuale, alla remissione della causa in primo grado).

Quanto poi all’oggetto della pronuncia anticipatoria, se questo analogamente a qualsiasi altra domanda giudiziale- è definito dall’oggetto della istanza formulata dalla parte, va altresì precisato che la pronuncia del Giudice si estende sempre e comunque a “tutta” la materia devoluta con la istanza formulata ex art. 186 quater c.p.c., nel senso che un eventuale accoglimento parziale della stessa comporta, corrispondentemente, anche un parziale rigetto per la parte non accolta (ad es. richiesta la emissione della ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. per il pagamento di una determinata somma di denaro, viene pronunciata condanna per un importo minore, dovendo intendersi rigettata la pretesa per il residuo importo; chiesta ordinanza anticipatoria di condanna per importo capitale ed interessi, è emesso ordinanza anticipatoria di condanna solo per l’importo capitale e non anche per gli interessi, la cui domanda deve intendersi rigettata), trovando -al riguardo- applicazione la disposizione di legge secondo cui la ordinanza anticipatoria di condanna, in caso di estinzione o di rinuncia della parte intimata, acquista la efficacia di sentenza impugnabile “sull’intero oggetto della istanza” – come espressamente previsto dall’art. 186 quater c.p.c., comma 3 e 4 – e non soltanto in relazione al contenuto della pronuncia di condanna del provvedimento anticipatorio (legittimando in conseguenza anche la impugnazione della parte istante parzialmente soccombente).

Le considerazioni svolte valgono evidentemente anche nel caso in cui sia la parte convenuta in giudizio a proporre la istanza ex art. 186 quater c.p.c. in relazione alle eventuali domande riconvenzionali (di condanna) proposte.

In tal senso soccorrono i precedenti di questa Corte che hanno affermato come l’ordinanza che pronuncia su alcuni capi della domanda (formulata con la istanza ex art. 186 quater c.p.c.) produce gli effetti di una sentenza definitiva sull’intero oggetto della domanda, se è fatta rinuncia alla sentenza, con la conseguenza che le parti possono impugnarla in ragione del loro interesse ad una diversa pronuncia ed, ove la impugnino, il Giudice dell’impugnazione, che ne sia richiesto, deve pronunciare anche sui capi della domanda in relazione ai quali è mancata la pronuncia (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2079 del 13/02/2002, che esamina il caso dell’accoglimento parziale di un’unica domanda di condanna, formulata con la istanza ex art. 186 quater c.p.c., avente ad oggetto il risarcimento di distinte voci di danno patrimoniale e non patrimoniale, per alcune delle quali soltanto era stato emesso il provvedimento anticipatorio). Il principio è stato ribadito in seguito anche da Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 23313 del 08/11/2007, e Corte cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 20693 del 13/10/2016, ma con riferimento a fattispecie che non sembra riconducibili alla ipotesi sopra considerata: la sentenza n. 2079/2002, aveva, infatti, esaminato il caso in cui tra la domanda introduttiva formulata dall’attore con l’atto di citazione e la istanza proposta ex art. 186 quater c.p.c., sussisteva piena coincidenza, puntualmente rilevando come la espressione normativa “l’ordinanza – in seguito alla estinzione o dopo la rinuncia – acquista la efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto della istanza” dovesse riferirsi alla specifica richiesta di condanna formulata con la istanza (non escludendo, quindi, la possibilità che l’attore ritenendo raggiunta – in quella fase del processo – la prova soltanto di una determinata parte della pretesa formulata con l’atto di citazione, potesse limitare la richiesta di provvedimento anticipatorio a quella sola parte dell’oggetto della domanda introduttiva). Orbene se il precedente n. 23313/2007 si pone in linea con l’indicato principio di diritto, in relazione alla devoluzione al Giudice di appello investito dal rinunciante del giudizio concernente l’originaria pretesa risarcitoria formulata con l’atto di citazione e trasfusa nella istanza ex art. 186 quater c.p.c. sebbene il provvedimento anticipatorio avesse liquidato un importo inferiore a quello richiesto ovvero solo talune voci di danno -, non pare invece pertinente il richiamo a detto principio – operato nel medesimo precedente – alla ipotesi di rigetto (nella specie peraltro esplicito), con il medesimo provvedimento anticipatorio, della “diversa” domanda risarcitoria proposta dall’attore con l’atto di citazione nei confronti della società assicurativa, ma che non era stata inclusa nella istanza ex art. 186 quater c.p.c., trovando invece giustificazione la devoluzione al Giudice del gravame – con l’impugnazione del provvedimento anticipatorio – anche di tale ulteriore domanda (dunque di tale distinto rapporto, non riducibile ad un “capo” della medesima domanda), dalla peculiare vicenda processuale per cui, l’errore commesso dal primo Giudice pronunciando ultrapetita, non era ricompreso tra i vizi ex art. 354 c.p.c. e non consentiva la regressione al primo grado, ed inoltre nella specie si verteva in tema di litisconsorzio necessario ex lege – responsabilità civile RCA – che imponeva ai sensi dell’art. 2331 c.p.c. la trattazione unitaria della domanda risarcitoria proposta anche nei confronti della società assicurativa. Del pari non sembra fondata sul principio di diritto sopra richiamato la soluzione attribuita dal precedente n. 20693/2016 alla questione della proposizione di una istanza ex art. 186 quater c.p.c. limitata ad una porzione soltanto – per la quale si riteneva raggiunta già la prova – dell’intero credito fatto valere con l’atto di citazione: in quel caso, infatti, all’accoglimento della istanza con il provvedimento anticipatorio, non poteva certamente ricollegarsi anche un implicito rigetto della residua porzione di credito, e cioè sugli “altri capi” della domanda, stante la deliberata limitazione dell'”oggetto della istanza”; la soluzione, quindi, di ritenere comunque deciso l’intero rapporto dedotto in giudizio, nasce piuttosto quale conseguenza della diversa esigenza di concentrazione in unico giudizio della medesima pretesa, che risponde al diverso principio per cui “non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 23726 del 15/11/2007; vedi Corte cass. Sez. U -, Sentenza n. 4090 del 16/02/2017 che estende il principio anche alle domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benchè relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, salvo che risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata).

Il principio enunciato da Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2079 del 13/02/2002 attiene, come visto, all’ipotesi di un’unica domanda con più oggetti, dal quale va tenuto separato il caso di pluralità di distinte domande di condanna (relative a diversi rapporti o formulate nei confronti di soggetti diversi), in relazione a ciascuna delle quali può essere formulata, con la istanza ex art. 186 quater c.p.c., richiesta di provvedimento anticipatorio.

La facoltà lasciata a ciascuna parte che nel giudizio di merito abbia proposto – in via principale o riconvenzionale – domanda di condanna al pagamento somme, alla consegna di un bene mobile od al rilascio di un bene immobile, di formulare istanza di emissione del provvedimento ex art. 186 quater c.p.c., e la facoltà rimessa a ciascuna parte intimata di rinunciare alla sentenza attribuendo in tal modo l’ordinanza gli stessi effetti della sentenza-, deve essere evidentemente coordinata con le regole processuali che disciplinano i processi con pluralità di parti e con le relazioni di pregiudizialità-dipendenza che si instaurano tra i rapporti dedotti nel medesimo giudizio.

Nel caso di “litisconsorzio necessario” l’orientamento giurisprudenziale più recente di questa Corte ha enunciato il principio secondo cui, nell’ipotesi di “cause inscindibili”, qualora il giudice abbia adottato l’ordinanza anticipatoria di condanna per il pagamento di una somma di denaro, ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c., nei confronti di “tutti i convenuti”, la rinuncia alla sentenza ritualmente effettuata anche da uno solo di essi deve ritenersi sufficiente a determinare la trasformazione dell’ordinanza in sentenza impugnabile per tutti gli intimati, anche qualora gli altri convenuti siano rimasti contumaci, venendo imposta tale soluzione interpretativa – rispetto a quella diretta a ritenere inapplicabile l’art. 186 quater c.p.c. alle cause con litisconsorzio necessario o non impugnabile la ordinanza anticipatoria, qualora non intervenisse la rinuncia cumulativa di tutti i litisconsorti intimati-, oltre che dal divieto di trattazione separata di una causa per cui la decisione sarebbe altrimenti “inutiliter data” ovvero sarebbe eluso l’obbligo di trattazione unitaria previsto espressamente ex lege (come nel caso del litisconsorzio necessario tra il soggetto responsabile e l’assicuratore previsto nelle cause di responsabilità civile derivante dallo scontro tra veicoli, e nella ipotesi delle cause inscindibili o dipendenti, prevista dall’art. 331 c.p.c.), dalla stessa “ratio legis” della norma processuale predisposta in funzione acceleratoria del processo attraverso la tendenziale definizione dell’intero giudizio; dalla dirimente ragione per cui la scelta del litisconsorte di proseguire il giudizio in primo grado fino alla sentenza non può pregiudicare la facoltà di difesa dell’altro litisconsorte intenzionato a contrastare l’esecuzione dell’ordinanza, rinunciando alla sentenza, per proporre appello avverso l’ordinanza trasformata in sentenza, con contestuale richiesta di inibitoria ex art. 283 c.p.c. (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 13397 del 29/10/2001; id. Sez. 3, Sentenza n. 22401 del 19/10/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 20994 del 08/10/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 15862 del 06/07/2010).

La predetta soluzione interpretativa trova applicazione anche nelle ipotesi in cui sussista una relazione di incompatibilità-esclusione tra le domande proposte in giudizio, laddove cioè la dichiarazione di fondatezza dell’una comporta inevitabilmente il rigetto nel merito dell’altra: in tal caso la ordinanza di condanna ex art. 186 quater c.p.c. assuma gli effetti della sentenza impugnabile non solo in relazione alla domanda accolta, ma anche in ordine a quella riconvenzionale, implicitamente disattesa (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 13148 del 09/09/2003; id. Sez. 2, Sentenza n. 5423 del 05/03/2010 che esamina la ipotesi di domanda principale di pagamento del corrispettivo contrattuale e di domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento danni per inadempimento del medesimo contratto, ritenendole in posizione di alternatività-incompatibilità. Altra classica ipotesi è data dalla estensione della originaria domanda risarcitoria dell’attore al terzo chiamato in causa dal convenuto con indicazione di responsabilità esclusiva: è evidente la necessità in tal caso di un accertamento unitario nei confronti del convenuto e del terzo-chiamato, in quanto l’affermazione della responsabilità esclusiva dell’uno esclude indefettibilmente la responsabilità dell’altro).

In difetto di tale oggettiva relazione di incompatibilità, le domande, pur se connesse, rimangono distinte e dunque possono subire una divaricazione nel loro svolgimento dell’iter processuale, secondo che l’una e non anche l’altra sia stata accolta con il provvedimento anticipatorio di condanna ex art. 186 quater c.p.c., rendendosi impugnabile – in seguito alla rinuncia del destinatario – soltanto la prima, mentre la seconda dovrà proseguire le ulteriori fasi del processo di primo grado onde pervenire, con la sentenza, ad una pronuncia di merito (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1007 del 22/01/2004, che ha ravvisato una situazione di compatibilità tra la domanda di condanna al pagamento del corrispettivo – per la quale era stato pronunciato il provvedimento anticipatorio di condanna, seguito da rinuncia – e la domanda riconvenzionale di pagamento della penale da ritardo, non accolta nel medesimo provvedimento anticipatorio, e dunque non suscettiva di impugnazione e di devoluzione alla cognizione del Giudice di appello; id. Sez. 2, Sentenza n. 2166 del 31/01/2011 che ha ritenuto separabile la domanda di condanna al rilascio di immobile – per la quale era stato emesso provvedimento anticipatorio ex art. 186 quater c.p.c., seguito da rinuncia – dalla domanda riconvenzionale di attribuzione di indennità per migliorie -per la quale era stata disposta la prosecuzione del giudizio di primo grado-, con conseguente inammissibilità dell’appello, proposto avvero la ordinanza-sentenza, avente ad oggetto anche la domanda riconvenzionale). Pertanto, il mero rapporto di connessione tra cause ex artt. 33 e 103-104 c.p.c., tanto se proposte contro il medesimo soggetto, quanto contro più soggetti, non determina ex se alcuna “vis actractiva” alla istanza ex art. 186 quater c.p.c. presentata in relazione ad una sola delle plurime domande proposte, o contro soltanto una delle parti convenute, essendo stato all’uopo precisato che “l’art. 186 “quater” c.p.c., nel prevedere che il giudice istruttore, su istanza della parte che ha proposto domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna o al rilascio di beni, possa disporne con ordinanza il pagamento ovvero la consegna o il rilascio, non subordina la pronunzia al fatto che, in ipotesi di pluralità domande, l’istruttoria debba considerarsi per tutte esaurita, sicchè è ben possibile che, trattandosi di cause scindibili (ed in conformità con l’intento accelera torio sotteso a questo come agli altri provvedimenti interinali previsti agli artt. 186 bis e 186 ter c.p.c.) l’ordinanza venga emessa in ordine ad una soltanto di esse, sempre che ne sussistano i presupposti, tra i quali vi è in effetti l’esaurimento dell’istruzione, il quale non implica – a sua volta – che le richieste formulate dalle parti risultino tutte completamente espletate, ben potendo la causa essere ritenuta dal giudice adeguatamente istruita alla stregua degli incombenti istruttori già compiuti e senza necessità (ovvero impossibilità, in caso di mancanza inammissibilità o irrilevanza) di assumerne altri” (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 17807 del 03/09/2004. In tema di cause scindibili, per alcune delle quali soltanto era possibile richiedere ed ottenere il provvedimento anticipatorio di condanna, si erano già espresse favorevolmente: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 983 del 28/01/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 2084 del 13/02/2002).

p.9. Tanto premesso occorre rilevare quanto segue.

La Corte d’appello ha rigettato l’appello della Casa di cura e del medico, rilevando che alcun provvedimento anticipatorio di condanna era tenuto a pronunciare il primo Giudice sulle domande di garanzia, atteso che i convenuti non avevano formulato espressa istanza per la emissione della ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. sulle domande connesse, sicchè con la rinuncia alla pronuncia della sentenza sulla causa principale, le altre cause di garanzia dovevano intendersi separate (nella ordinanza in data 10.1.1998 il Giudice aveva ordinato ai convenuti, in solido, di pagare le somme liquidate a titolo risarcimento danni, oltre le spese processuali, “con rinvio per la decisione alla udienza collegiale 11.4.2000”) ed i convenuti avrebbero pertanto dovuto proseguire il giudizio di primo grado, onde ottenere una decisione, con sentenza, sulle domande di manleva.

I ricorrenti hanno impugnato detta statuizione, sostenendo a fondamento della critica svolta:

1-la equivalenza tra formulazione della istanza ex art. 186 quater c.p.c., comma 1, e precisazione delle conclusioni ai sensi dell’art. 189 c.p.c.;

2-la estensione della efficacia di sentenza, a seguito di rinuncia fatta dai convenuti, anche alla ordinanza “integrativa” in data 10.2.1998, con la quale il Tribunale aveva osservato che alcuna pronuncia doveva essere emessa sui rapporti connessi in quanto non oggetto di apposita istanza, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere ritenuto impugnabile, mediante appello, detto “provvedimento di rigetto” delle domande connesse di garanzia.

p.10. Alla stregua della lettura del testo normativo e della giurisprudenza di legittimità richiamata il primo argomento è privo di pregio.

La ipotizzata coincidenza tra la formulazione della “precisazione delle conclusioni” e la formulazione della istanza di provvedimento anticipato di condanna ex art. 186 quater c.p.c. è manifestamente destituita di fondamento: l’asserito inutile formalismo ripetitivo della manifestazione della volontà già espressa dalla parte processuale, e cioè la necessità della presentazione anche a verbale- di una formale istanza volta ad ottenere la pronuncia anticipatoria di condanna, pone in evidenza, al contrario, un elemento essenziale del sub-procedimento diretto alla anticipata formazione del titolo esecutivo, in quanto diretto a definire i limiti entro i quali il Giudice è obbligato a rispondere, proprio perchè, come si è rilevato, non è dato rinvenire nella disciplina normativa alcuna necessità od alcun obbligo rivolto ad imporre la integrale coincidenza tra l'”oggetto della causa” (come definito dalle domande e dalle eccezioni proposte dalle parti) e l'”oggetto della istanza” ex art. 186 quater c.p.c., essendo evidentemente richiesta soltanto la continenza del secondo nel primo.

Incontestato – risultando peraltro dalla lettura del verbale di udienza di primo grado – che la istanza ex art. 186 quater c.p.c. è stata formalmente proposta, alla udienza 24.11.1997 -in cui tutte le parti hanno precisato le conclusioni – soltanto dalla parte attrice M. (tanto i convenuti, quanto i terzi chiamati, in tale occasione, si sono limitati ad opporsi – senza alcuna argomentazione – alla pronuncia del provvedimento anticipatorio), ne segue che il Tribunale era obbligato a pronunciare esclusivamente entro i limiti indicati dalla istanza predetta, e non anche sulle altre domande proposte dai convenuti nei confronti delle società assicurative.

Va peraltro escluso che nella fattispecie ricorra alcuna delle ipotesi sopra previste in cui la estensione dell’oggetto della cognizione del Giudice, richiesto del provvedimento anticipatorio da una sola parte – con riferimento ad una soltanto delle plurime domande svolte nel giudizio -, sia imposta dalla struttura litisconsortile necessaria del processo ovvero dalla inscindibilità o dipendenza delle cause connesse.

I precedenti di legittimità richiamati dai ricorrenti, al fine di invocare il principio di diritto secondo cui, la ordinanza anticipatoria ex art. 186 quater c.p.c., “se è fatta rinuncia dalle parti intimate, produce gli effetti di una sentenza definitiva sull’intero oggetto della istanza”, evidenziano una varia casistica, non riconducibile alla fattispecie in esame, venendo invece a distinguere, come già anticipato:

a) la ipotesi in cui, proposta istanza di pronuncia di ordinanza anticipatoria di condanna sulla “intera domanda proposta in primo grado”, il Giudice limiti la decisione ad una parte soltanto o ad alcuni capi soltanto di quella domanda: in tal caso si determina – non un vizio di omessa pronuncia ma – un implicito rigetto dei capi o della parte della domanda non accolta e dunque: 1-la ordinanza ha pronunciato, comunque, sull’intera istanza (che ha accolto solo in parte); 2-in seguito alla rinuncia ed alla attribuzione della efficacia di sentenza, la parte interessata è onerata della impugnazione della ordinanza-sentenza anche in relazione ai capi od alle parti di domanda (implicitamente) non accolti b) la ipotesi di processo con pluralità di parti in cui nello stesso processo si cumulino più domande, diversificandosi ulteriormente la vicenda processuale secondo che: b1- le parti versino in situazione di “litisconsorzio necessario” o comunque le cause risultino “inscindibilmente connesse”, ovvero b2- le parti versino in situazioni di “litisconsorzio facoltativo” o le cause non richiedano necessariamente una trattazione unitaria, potendo essere scisse in rapporti accertabili autonomamente. Solo nel primo caso, infatti, il Giudice dell’ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. non potrà prescindere dal pronunciare anche sulle altre domande; mentre, nel secondo caso, non è obbligato a farlo – tanto più nel caso in cui sia richiesto della pronuncia anticipatoria solo in relazione ad alcune domande -, ben potendo disporre la separazione delle cause, pronunciando ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. e quindi rinviando per la prosecuzione del giudizio relativamente alle altre domande originariamente connesse.

Orbene nella fattispecie in esame, tra la domanda di accertamento della responsabilità civile della Casa di cura e del medico e di condanna al risarcimento del danno (rapporto principale introdotto dalla danneggiata nei confronti dei predetti convenuti) e la domanda di accertamento e di condanna condizionata – all’adempimento del contratto assicurativo della responsabilità civile (rapporto di garanzia intercorrente tra i predetti convenuti e le rispettive società assicurative con le quali erano state stipulate le polizze), non sussiste alcun vincolo di diritto sostanziale od alcuna norma processuale che obbliga al “simultaneus processus”, essendo stato questo un effetto della libera scelta dei convenuti-assicurati i quali hanno inteso esercitare la domanda all’interno del giudizio già pendente: e come è noto il cumulo soggettivo di cause -originario o successivo – può venire meno, nel corso dello stesso processo, le volte in cui sia richiesto da “tutte le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo” (art. 103 c.p.c., comma 2), come nel caso in cui la istruzione probatoria debba ritenersi già esaurita per taluna soltanto delle cause connesse e venga richiesto dalla parte il provvedimento di condanna ex art. 186 quater c.p.c., senza che occorra quindi – attendere l’esaurimento della istruttoria relativamente anche alle altre cause riunite.

Al proposito è utile richiamare il precedente arresto delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 24707 del 04/12/2015) che ha esaminato, nell’ambito delle controversie aventi ad oggetto la responsabilità civile ed il risarcimento del danno, il legame che viene ad istituirsi tra la domanda principale proposta dal danneggiato nei confronti del responsabile civile e la domanda che viene introdotta nel medesimo processo mediante la chiamata del terzo in garanzia propria od impropria del terzo, essendo stato rilevato che, indipendentemente dal tipo di garanzia, identica appare la posizione processuale del terzo chiamato, tanto nella ipotesi di estensione meramente soggettiva della causa, in cui la chiamata in causa del terzo sia svolta esclusivamente al fine di rendere “opponibile” a quest’ultimo l’accertamento del rapporto principale – tra attore danneggiato e convenuto responsabile – in quanto fatto condizionante la esigibilità della prestazione di garanzia che il convenuto – se soccombente – potrà richiedere nei confronti del garante eventualmente in un successivo giudizio (motiv. p.9.4), quanto nel caso di estensione anche oggettiva della causa, in cui alla domanda di accertamento (finalizzata alla opponibilità al terzo del giudicato sulla responsabilità civile) si aggiungano le domande di accertamento della validità ed efficacia del rapporto di garanzia e/o l’azione di condanna all’adempimento della prestazione derivante dal contratto, quest’ultima proposta in via condizionata all’accertamento sfavorevole al garantito del rapporto principale (motiv. p.14). E’ stato, infatti, rilevato come le predette distinzioni (garanzia propria od impropria) sono prive di effetti sulla regola, che ricorre in tutti casi di chiamata in garanzia, della legittimazione del terzo chiamato a contraddire anche in ordine al rapporto principale e ad esercitare il potere di impugnazione sui capi della sentenza di merito concernenti l’accertamento del rapporto principale (motiv. p.14), con effetti favorevoli estesi anche al convenuto-garantito non impugnante. La chiamata del terzo – in quanto in ogni caso determina la estensione soggettiva del giudicato sul rapporto principale, e la correlativa legittimazione del terzo a contraddire su tale rapporto di diritto sostanziale “inter alios”- comporta la instaurazione di un litisconsorzio processuale successivo tra tutte le parti (attore, convenuto, terzo chiamato) cui vengono estesi gli effetti dell’accertamento del rapporto principale (tra attore-danneggiato e convenuto-responsabile) che rimane pertanto -anche dopo la chiamata del terzo – l’unico rapporto obbligatorio oggetto del giudizio (come rilevato puntualmente dalle SS.UU., il giudizio si trasforma, a seguito della chiamata del terzo, in un processo trilatero, con conseguente “inscindibilità” – in sede di impugnazione – ex art. 331 c.p.c. delle posizioni rivestite da tutte le parti processuali), e tale situazione si riproduce anche nel caso in cui alla domanda di estensione soggettiva degli effetti dell’accertamento del rapporto principale resi opponibili al terzo, si aggiungano, da parte del chiamante-garantito (realizzandosi in tal modo un ampliamento dell’originario oggetto del giudizio per “cumulo oggettivo” di cause) la ulteriore domanda (condizionata o meno all’esito dell’accoglimento della domanda attorea principale) di “accertamento della esistenza e validità del rapporto di garanzia”, ovvero ancora la ulteriore domanda (necessariamente condizionata all’esito di accoglimento della domanda attorea principale) di “condanna all’adempimento della prestazione indennitaria derivante da rapporto di garanzia”.

La vicenda dei rapporti processuali che intercorrono tra le tre parti del giudizio, esaminata dalla sentenza delle Sezioni Unite, evidenzia come la natura “propria” od “impropria” della garanzia risulti indifferente esclusivamente ai fini indicati, concernenti il piano dei rapporti processuali (estensione al terzo degli effetti dell’accertamento del rapporto principale; legittimazione del terzo alla impugnazione dei capi di sentenza relativi al rapporto principale; estensione della impugnazione effettuata dal solo garante o dal solo garantito anche al litisconsorte necessario processuale), mentre non rileva in alcun caso sotto il profilo del diritto sostanziale, nel senso che tra domanda di accertamento della responsabilità per danni e domanda di garanzia, non sussiste alcun legame originario imposto dalla legge ai sensi dell’art. 102 c.p.c., tale per cui la pronuncia, qualora non fosse resa anche nei confronti del garante, sarebbe da considerare “inutiliter data”, ovvero determinato dal nesso di pregiudizialità giuridica tra fattispecie normative, disciplinato dal diritto sostanziale, tale per cui l’accertamento di un rapporto si pone come presupposto necessario venendo ad integrare uno ad alcuni degli elementi costitutivi della fattispecie dell’altro. Ed invero, il “nesso di dipendenza” che si instaura tra l’accertamento del rapporto principale relativo alla responsabilità ed il rapporto di garanzia “non riguarda a ben vedere il rapporto principale e quello di garanzia, bensì il primo, o meglio l’accertamento del suo modo di essere, e la prestazione oggetto del secondo. E’ il diritto a questa e non il rapporto di garanzia ad essere pregiudicato dall’esito sfavorevole per il garantito del giudizio principale” (in motivazione p. 9.3).

Orbene, nel caso in esame, occorre tenere distinta la regola della estensione soggettiva che legittima il terzo chiamato in garanzia a contraddire all’accertamento della responsabilità sul rapporto principale, da quella concernente la estensione oggettiva della causa anche all’accertamento del rapporto di garanzia ed alla condanna condizionata all’adempimento della prestazione indennitaria.

Ed infatti la ordinanza anticipatoria ex art. 186 quater c.p.c. si è limitata alla pronuncia di condanna al risarcimento del danno del responsabile civile, sul presupposto della “scindibilità” della causa principale da quelle di garanzia (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 5444 del 14/03/2006 secondo cui, quando il convenuto effettui la chiamata in garanzia domandando di essere tenuto indenne dal terzo dalle conseguenze della eventuale soccombenza sulla pretesa attorea, poichè la relativa domanda contro il terzo potrebbe essere proposta dal convenuto anche in un giudizio separato successivamente all’esito per lui sfavorevole del giudizio sulla domanda principale, il giudizio sulla domanda principale e quello sulla domanda di garanzia restano, in tal caso, distinti e sono suscettibili di separazione ai sensi dell’art. 103 c.p.c., art. 2 ove di tale norma ricorrano i presupposti; id. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 9686 del 22/04/2013, in relazione alla separazione della causa principale di responsabilità da quella avente ad oggetto il rapporto assicurativo della responsabilità civile, in conseguenza dell’evento interruttivo del processo che aveva attinto una sola delle cause connesse), rimanendo in ogni caso impregiudicato il diritto dei terzi garanti a contraddire sull’accertamento di responsabilità dei propri assicurati (essendo in conseguenza direttamente legittimate le società assicurative ad impugnare la ordinanza-sentenza), non potendo invece ritenersi che detta pronuncia abbia deciso, neppure implicitamente, sul rapporto di garanzia, non essendo ravvisabile una situazione di litisconsorzio necessario estesa al rapporto connesso, non essendo essi garanti “parti intimate” del comando contenuto nella efficacia di sentenza della pronuncia anticipatoria, determinata dalla scelta processuale dei convenuti-garantiti, che hanno inteso rinunciare alla sentenza.

Occorre rilevare che, come viene rimessa ai convenuti la scelta di evocare in giudizio le società assicurative-terze, per essere da queste garantiti, così l’art. 186 quater c.p.c. consente, dopo la emissione del provvedimento anticipatorio di condanna, ai medesimi convenuti-intimati di optare per la prosecuzione del processo mantenendo le cause riunite, ovvero di spezzare il cumulo di cause connesse, acconsentendo alla separata definizione -attribuendo alla ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. efficacia di sentenza- della domanda relativa al rapporto principale, e proseguendo il normale iter processuale, fino alla sentenza per la definizione delle altre domande. Il sistema del procedimento così delineato, rimette alla stessa parte intimata la scelta di definire parzialmente o meno le domande proposte nel giudizio, e non incide pertanto sull’esercizio del diritto di difesa: la “ratio legis” della norma processuale è volta a privilegiare, infatti, le esigenze di speditezza della tutela giurisdizionale, a vantaggio della parte che ha ragione, rispetto alle esigenze di opportuna concentrazione della trattazione di plurime cause nel medesimo giudizio, avendo perseguito il Legislatore la essenziale finalità di “anticipare i tempi di realizzazione del petitum rispetto all’ordinario schema processuale e nel semplificarne le modalità, in tutti quei casi in cui la domanda abbia ad oggetto il pagamento di somme ovvero la consegna o il rilascio di beni ed il giudice ritenga raggiunta la prova del fatto costitutivo invocato” (cfr. Corte Cost. sentenza in data 11.12.1997 n. 385, in motivazione).

Si può discutere – ma non è materia devoluta alla presente decisione – se con la rinuncia alla sentenza da parte dei convenuti-intimati sia venuta meno, non soltanto la connessione tra la causa principale (di responsabilità civile) e quelle di garanzia (relative ai rapporti assicurativi), ma persino la stessa “trilateralità” delle parti determinata, in relazione alla causa principale, dalla estensione soggettiva al terzo-chiamato in garanzia dell’accertamento compiuto dal Giudice in ordine alla causa principale, dovendo considerarsi che la formazione del litisconsorzio necessario di tipo processuale viene a rilevare in sede di impugnazione e non anche in primo grado (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 5444 del 14/03/2006, secondo cui “il giudizio sulla domanda principale e quello sulla domanda di garanzia restano…. distinti e sono suscettibili di separazione ai sensi dell’art. 103 c.p.c., comma 2 ove di tale norma ricorrano i presupposti. Il litisconsorzio è facoltativo quanto al modo di svolgimento e semmai, soltanto in sede di impugnazione, si può verificare la necessità di mantenere il cumulo fra le due cause, qualora l’esito degli accertamenti nel grado precedente sulle due cause cumulate e le ragioni di impugnazione diano luogo ad una situazione di dipendenza fra le cause (ai sensi dell’art. 331 c.p.c.”; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 16590 del 20/06/2019.): in tal caso la efficacia di sentenza della ordinanza anticipatoria ex art. 186 quater c.p.c. non si estenderebbe e non potrebbe produrre alcun vincolo di giudicato nei confronti delle società assicurative che, pertanto, neppure sarebbero legittimate ad impugnare tale provvedimento di condanna. Ma, indipendentemente dalla soluzione concernente la legittimazione delle società assicurative alla impugnazione del provvedimento anticipatorio di condanna pronunciato contro i responsabili civili (ossia alla impugnazione delle questioni concernenti la causa principale), permane immutata la scindibilità e dunque la separabilità delle cause connesse di garanzia, tanto nel caso in cui non sia stata proposta istanza ex art. 186 quater c.p.c. diretta alla definizione del rapporto di garanzia, quanto nel caso in cui la istanza sia stata proposta e non sia stata accolta in relazione al difetto del presupposto legale dell’esaurimento dell’attività istruttoria, con conseguente prosecuzione del giudizio in primo grado (cfr. Corte cass. n. 2166/2011 cit.; id. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 18016 del 04/07/2019, che riferiscono a ciascuna singola domanda, la valutazione diacronica, secondo le prove già acquisite, della idoneità e sufficienza della istruttoria), ed in relazione a tale “scindibilità” delle cause connesse, per le quali si era realizzato in primo grado, con la chiamata in causa esperita dai convenuti, un litisconsorzio facoltativo successivo, non ostativo al provvedimento implicito di separazione ex art. 103 c.p.c., comma 2, gli attuali ricorrenti non hanno, peraltro, svolto alcuna puntuale critica in diritto.

Deve in conseguenza ritenersi conforme a diritto la statuizione della Corte territoriale secondo cui il Giudice di prime cure, investito soltanto dalla istanza ex art. 186 quater c.p.c. formulata dalla parte attrice-danneggiata, si era limitato a pronunciare la condanna dei convenuti al pagamento dell’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno, disponendo – implicitamente – la separazione della causa così definita dalle altre cause di garanzia, con rinvio per la discussione alla udienza collegiale 11.4.2000: pertanto la inconfigurabilità in primo grado di un vincolo litisconsortile necessario tra le parti, o di un nesso di “dipendenza sostanziale” o di una antinomia per incompatibilità oggettiva, determinante la inscindibilità dell’accertamento dei due rapporti (aventi ad oggetto la responsabilità dei convenuti e l’obbligo di garanzia dei terzi chiamati), non consente di ravvisare alcun “effetto attrattivo automatico” – in assenza di specifica istanza di parte ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c. – della causa di garanzia nell'”oggetto della istanza” – avente ad oggetto la richiesta di condanna della responsabile civile al risarcimento del danno – proposta dalla danneggiata nei confronti dei convenuti.

p.11. Infondato è anche il secondo argomento svolto dai ricorrenti, secondo cui il Giudice istruttore, con la ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 288 c.p.c., depositata in data 10.2.1998, avrebbe successivamente esaminato anche le domande di garanzia rigettandole per “motivi processuali”. La tesi difensiva che sottende il ragionamento presuntivo per cui l’intervento successivo del Giudice inteso ad integrare la ordinanza in data 10.1.1998 si era reso necessario in quanto le “conclusioni” precisate dai convenuti alla udienza 24.11.1997 dovevano qualificarsi “come” istanza formulata ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c., comma 1, viene a confondere e travisare il chiaro tenore del provvedimento, con il quale il Giudice del Tribunale ha definito un autonomo procedimento, introdotto dalla sola parte attrice M. con istanza di correzione per errore materiale ex art. 287 c.p.c., sul presupposto che la ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. non avesse pronunciato in ordine a tutto l’oggetto della “istanza” anticipatoria di condanna.

Indipendentemente dalla ammissibilità di una istanza di correzione rivolta non soltanto a richiedere di emendare l’errore sulla indicazione del cognome della parte beneficiaria, ma anche ad “integrare” la pronuncia di condanna (sull’assunto che con la istanza ex art. 186 quater c.p.c., la danneggiata aveva chiesto anche la condanna diretta delle società assicurative), occorre considerare che:

a) la ordinanza 10.2.1998 si è limitata a disporre la correzione dell’errore materiale contenuto nella precedente ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. inerente alla errata indicazione del cognome della parte attrice, mentre b) ha rigettato per il resto la istanza ex art. 287 c.p.c. in difetto del presupposto della esistenza di altri “errori materiali”, tale non configurandosi la asserita “omessa pronuncia” sulla richiesta di condanna al risarcimento del danno, in favore della danneggiata, anche delle società assicurative.

In ogni caso, anche a qualificare la ordinanza in data 10.2.1998 (interamente trascritta alle pagine 8 e 9 del ricorso) come “integrazione di pronuncia ex art. 186 quater c.p.c.”, vale osservare come la motivazione di tale ordinanza correttiva, secondo cui alcuna condanna doveva essere pronunciata nei confronti delle società assicurative, non disponendo la danneggiata di azione diretta, nulla aggiunge, nè modifica la statuizione del precedente provvedimento anticipatorio tenuto conto che:

1-si tratterebbe di una pronuncia di rigetto integrale (della domanda attorea svolta contro le Compagnie assicurative), già contenuta nel precedente provvedimento di accoglimento solo parziale della domanda di condanna che, pertanto, avrebbe contenuto l’implicito rigetto della domanda “diretta” contro le società terze-chiamate;

2-tale pronuncia di rigetto sarebbe insuscettibile di impugnazione, in quanto la norma processuale riserva la attribuzione della stessa efficacia della sentenza impugnabile, soltanto alla ordinanza di accoglimento-condanna e non anche a quella di rigetto della istanza ex art. 186 quater c.p.c. (cfr. Corte costituzionale, sentenza in data 11 dicembre 1997, n. 385 che ha respinto la questione di legittimità sollevata in relazione agli artt. 3,24 e 97 Cost. rilevando che “la norma in esame non disciplina l’ipotesi in cui l’istanza, per motivi processuali o di merito, non possa essere accolta” e che l’intento del Legislatore era quello di attuare anticipatamente la tutela giurisdizionale mediante la ordinanza “disponendo che il processo debba concludersi con la pronuncia della sentenza, salvo le ipotesi di rinuncia ed estinzione…..La necessità che il procedimento sia comunque definito con sentenza, secondo le ordinarie regole processuali -rimanendo nell’ambito della mera eventualità la conclusione con ordinanza- dimostra che l’obiettivo perseguito, non è quello di anticipare il momento conclusivo del processo, riducendone i tempi, bensì quello di consentire la realizzazione anticipata del petitum”);

3-la ordinanza definisce la istanza di correzione-integrazione proposta esclusivamente dalla danneggiata, e dunque è del tutto inidonea ad acquistare alcuna efficacia decisoria sul distinto rapporto di garanzia tra convenuti-garantiti e società-garanti, non portato alla cognizione del Giudice del provvedimento anticipatorio, nè dalla originaria istanza ex art. 186 quater c.p.c., presentata dalla danneggiata, nè dalla successiva istanza di correzione ed integrazione.

Pertanto la pronuncia di rigetto della istanza di correzione -formulata nei termini sopra indicati- non consentirebbe, comunque, di ritenere estesa la pronuncia anticipatoria di condanna -che ha acquistato a seguito di rinuncia efficacia di sentenza- anche all’accertamento del rapporto di garanzia relativo alle domande condizionate di adempimento delle prestazioni indennitarie formulate dai convenuti con gli atti di chiamata in causa. In contrario non vale richiamare l'”obiter dictum” della ordinanza ex art. 288 c.p.c. (trascritta a pag. 8 del ricorso per cassazione) secondo cui la domanda di adempimento può essere rivolta nei confronti dei garanti soltanto dai convenuti quali parti contraenti delle polizze assicurative, e che questi ultimi, peraltro, non avevano richiesto “per la ipotesi di accoglimento della istanza ex art. 186 quater c.p.c. avanzata dall’attrice, emissione in loro favore e nei confronti delle assicurazioni di analoga ordinanza”. Tale affermazione non riveste, infatti, alcun contenuto – decisorio, e non costituisce autonoma “ratio decidendi” della ordinanza anticipatoria di condanna, ma si inserisce quale ulteriore esplicazione dell’argomentazione logica intesa ad escludere una azione “diretta” della danneggiata, nei confronti delle società assicurative, in materia di responsabilità professionale medica.

Privo di pregio è dunque l’assunto difensivo secondo cui la rinuncia dei convenuti alla pronuncia della sentenza definitiva, in quanto avente ad oggetto anche la ordinanza di correzione ex art. 288 c.p.c., aveva esteso la efficacia di sentenza della ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. anche alla asserita pronuncia di rigetto delle domande connesse, concernenti il rapporto di garanzia, per le quali, come si è visto alcun obbligo di pronuncia gravava sul Giudice di prime cure in difetto di specifica istanza ex art. 186 quater c.p.c. avente ad oggetto la richiesta di condanna al pagamento dell’indennizzo assicurativo.

Consegue che i convenuti-intimati (ed anche le società assicurative, qualora si dovesse ritenere inscindibile il “litisconsorzio trilaterale” determinato dalla chiamata in causa in relazione all’accertamento di responsabilità oggetto della causa principale), in seguito alla rinuncia alla pronuncia della sentenza, erano legittimati certamente ad impugnare, con appello, la ordinanza ex art. 186 quater c.p.c., in quanto provvedimento dotato – a seguito di rinuncia- della efficacia di sentenza, e dunque idoneo alla definizione del giudizio relativo all’accertamento del rapporto principale concernente la domanda di condanna della danneggiata proposta nei confronti dei responsabili civili (fondata sulla responsabilità ex contractu della Casa di cura e del medico, come emerge dalla sentenza della Corte di legittimità che ha cassato con rinvio), mentre il rapporto di garanzia, in relazione tanto all’accertamento della sua esistenza e validità, quanto della debenza ed esigibilità della prestazione indennitaria, previa separazione dalla causa sul rapporto principale, continuava a rimanere “sub judice”, in primo grado, per l’ulteriore corso del processo ed il naturale esito della decisione sul merito del rapporto di garanzia, da adottare con sentenza.

p.12. La controversia va dunque risolta alla stregua dei seguenti principi di diritto:

“In tema di giudizio con pluralità di cause o di parti, qualora la istanza di emissione di provvedimento anticipatorio di condanna ex art. 186 quater c.p.c. non coincida con l’intero oggetto del giudizio, o perchè formulata da uno solo degli attori o contro uno soltanto dei convenuti, ovvero perchè concernente uno solo dei distinti rapporti giuridici in cui le domande hanno titolo, il Giudice è tenuto a pronunciare, onde non incorrere nel vizio di ultrapetizione, nei limiti dell'”oggetto della istanza” in quanto è tale l’ambito oggettivo della efficacia di giudicato che l’art. 186 quater c.p.c., commi 3 e 4 riconoscono al provvedimento di condanna, in caso di estinzione del giudizio, o in caso di dichiarazione della parte intimata di rinuncia alla pronuncia della sentenza e dopo la riforma del comma 4 disposta dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. m), – in caso di omessa manifestazione della volontà della parte intimata di vedere decisa la controversia con sentenza.

In presenza di cause connesse, concernenti domande di condanna, qual è la causa di risarcimento danni per responsabilità civile del convenuto-garantito e la causa avente ad oggetto l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di garanzia impropria tra convenuto-garantito e terzo-garante chiamato in causa, il cumulo oggettivo, determinato dalla introduzione nell’originario processo della distinta causa di garanzia, non realizza un litisconsorzio necessario tra le parti dei diversi rapporti, nè impone un vincolo di trattazione unitaria della cause, non essendo pertanto precluso al Giudice, nel corso del giudizio di primo grado, disporre -espressamente od implicitamente – la separazione delle cause, laddove ricorrano i presupposti indicati nell’art. 103 c.p.c., comma 2.

Consegue che, tanto nel caso in cui soltanto la domanda relativa al rapporto principale sia stata oggetto di istanza ex art. 186 quater c.p.c., quanto nel caso in cui lo sia stata anche la domanda di condanna formulata nella causa di garanzia la quale tuttavia non risulti adeguatamente istruita o comunque venga rigettata, il provvedimento anticipatorio pronunciato dal Giudice in accoglimento della (sola) istanza relativa alla domanda principale, potrà acquistare efficacia di sentenza impugnabile, nei casi previsti dalla norma, limitatamente all'”oggetto” della sola istanza accolta, in relazione al quale soltanto si determina il vincolo di giudicato sostanziale, in difetto di immediata tempestiva impugnazione, venendosi a realizzare in tal modo, anche in assenza di un provvedimento formale, la separazione delle cause originariamente connesse, dovendo proseguire il processo in primo grado per la definizione, con sentenza, della causa di garanzia. Spetta esclusivamente alle parti intimate la scelta di attribuire carattere decisorio e definitivo alla ordinanza di condanna, al fine di impugnare direttamente il provvedimento avente efficacia di sentenza, accettando in conseguenza la separazione delle cause, ovvero, al contrario, la scelta di mantenere la unitarietà della trattazione e decisione delle domande cumulate nel processo.

La norma processuale rimette, quindi, a ciascuna delle parti la facoltà di richiedere una definizione anticipata e parziale dell’oggetto del giudizio, in relazione a quella sola od a più domande di condanna per le quali ritiene già “esaurita la istruzione” e raggiunta la prova dei fatti costitutivi, non determinando tale richiesta alcuna “vis attractiva” in ordine alla decisione anticipata anche sulle altre domande connesse, neppure nel caso in cui la istanza ex art. 186 quater c.p.c. venga formulata alla udienza fissata per la precisazione delle conclusioni, atteso che la istanza in questione introduce un subprocedimento incidentale, rispetto al quale non è richiesto il previo svolgimento della attività di precisazione conclusiva invece prevista, dopo la chiusura della istruzione, dall’art. 189 c.p.c., comma 1, art. 281 quinquies c.p.c., comma 1 e art. 281 sexies c.p.c., comma 1, non potendo, pertanto, la mera precisazione delle conclusioni -che si inserisce nell’ordinario svolgimento del processo, quale attività difensiva funzionale al successivo “iter” diretto alla pronuncia definitiva sul merito della controversia – surrogare la istanza prevista dall’art. 186 quater c.p.c. che deve essere formalmente proposta, anche a verbale, dalla parte interessata”.

p.13. Conforme a diritto deve ritenersi, pertanto, la pronuncia della Corte d’appello di Catania che ha “rigettato l’appello principale” proposto da (OMISSIS) s.p.a. e L.F.F. avverso la ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. con efficacia di sentenza (come integrata dalla correzione di errore materiale disposta con la successiva ordinanza in data 10.2.1998), ritenendo insussistente la dedotta omissione di pronuncia ex art. 112 c.p.c. del Tribunale “anche” sulle domande di manleva, e rilevando correttamente – che i convenuti-garantiti avrebbero dovuto, invece, proseguire il giudizio in primo grado, onde pervenire ad una decisione, con sentenza, sulla distinta causa inerente il rapporto di garanzia, implicitamente separata dalla domanda attorea principale, relativa all’accertamento della responsabilità civile dei convenuti, ed in relazione alla quale soltanto era stata emesso il provvedimento anticipatorio di condanna. Ed è appena il caso di osservare che, qualora non fosse stata svolta la udienza fissata nello stesso provvedimento ex art. 186 quater c.p.c., per la discussione, ove tale rinvio fosse stato da intendere condizionato alla mancata dichiarazione di rinuncia alla sentenza da parte degli intimati, non pare dubbio che le parti convenute avrebbero, allora, dovuto diligentemente instare ex art. 175 c.p.c., comma 3 e art. 289 c.p.c., comma 1 affinchè il Giudice di prime cure provvedesse in proposito.

La impugnazione della ordinanza con efficacia di sentenza, non veicolava, quindi, nè poteva veicolare anche la causa di garanzia, in quanto, in relazione a tale causa alcun obbligo di pronuncia gravava sul Giudice di primo grado non essendo stata proposta dai convenuti-garantiti analoga istanza di emissione di provvedimento anticipatorio di condanna – condizionata – al pagamento dell’indennizzo assicurativo, nei confronti delle società assicurative.

p.14. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna dei soccombenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ALLIANZ s.p.a. in Euro 7.200,00 per compensi, ed in favore di UNIPOL-SAI Assicurazioni s.p.a. in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge in favore di ciascuna delle controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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