Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27983 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. III, 30/10/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 30/10/2019), n.27983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 4943-2019 proposto da:

SUEDZUCKER AG in persona di S.E. e SC.WO. nella

loro qualità di procuratori speciali e legali rappresentanti,

elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA DEL POLOPO 18, presso lo

studio dell’avvocato FABRIZIO FABIO AROSSA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ENRICO CASTELLANI;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente p.t.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difesa per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il

22/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e

pronuncia di ammissibilità della domanda;

udito l’Avvocato ENRICO CASTELLANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società di diritto tedesco Suedzucker AG convenne in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, davanti al Tribunale di Perugia, affinchè fosse condannata, a titolo di risarcimento dei danni conseguenti all’esercizio di attività giudiziaria, ai sensi della L. 13 aprile 1988, n. 117, in relazione ad una complessa vicenda di natura tributaria.

1.1. A sostegno della domanda espose di aver ricevuto, in data 3 gennaio 2001, due avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate con i quali le erano state contestate numerose irregolarità ed omissioni relative agli anni 1994 e 1995. Pur essendo tali avvisi, a detta della società, fondati su presupposti errati, la stessa aveva presentato all’Agenzia delle entrate competente per territorio, in data 15 febbraio 2001, un’istanza di accertamento con adesione, ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 6; istanza alla quale conseguiva ope legis la sospensione, per il periodo di novanta giorni, del termine per l’impugnazione degli atti di accertamento in sede giurisdizionale.

Verificata l’impossibilità di pervenire ad un bonario componimento della controversia, la Suedzucker aveva proposto ricorso contro i menzionati avvisi di accertamento, in data 22 maggio 2001, davanti alla Commissione tributaria provinciale di Lecco, la quale l’aveva accolto, con sentenza poi confermata dalla Commissione tributaria regionale di Milano. Tanto il Ministero dell’economia e delle finanze quanto l’Agenzia delle entrate avevano proposto ricorso per cassazione contro la sentenza d’appello e la Corte Suprema, con sentenza 9 giugno 2010, n. 13852, aveva accolto il primo motivo di ricorso con assorbimento degli altri, dichiarando inammissibili per tardività i ricorsi a suo tempo proposti dalla Suedzucker davanti alla Commissione tributaria provinciale di Lecco. Tale decisione, a detta della società tedesca, non aveva per nulla considerato il fatto che nel controricorso era stato rilevato come nessuna tardività fosse ipotizzabile, stante la sospensione del termine per l’impugnazione conseguente alla presentazione dell’istanza di accertamento con adesione.

Ritenendo che la decisione della Corte di cassazione si fondasse su un errore di fatto – consistente, appunto, nella mancata percezione della proposizione della suindicata istanza – la società Suedzucker aveva proposto ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., avverso la pronuncia n. 13852 del 2010. Tuttavia la Corte Suprema, con la successiva sentenza 27 luglio 2012, n. 13413, aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revocazione, sul rilievo che la decisione assunta nel 2010 non poteva ritenersi viziata da un errore di fatto, bensì, semmai, da un errore di diritto.

Divenuta quindi irrevocabile la prima sentenza di legittimità, la Suedzucker aveva deciso di chiudere il debito tributario versando, in data 23 maggio 2014, la somma di Euro 25.828.560,27.

1.2. Tutto ciò premesso, la società Suedzucker, ritenendo di poter individuare nella somma testè indicata il danno conseguente all’errata decisione di cui alla sentenza n. 13852 del 2010 della Corte di cassazione, convenne in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri, come si è detto, chiedendo che fosse accertata la responsabilità dello Stato per colpa grave, ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 2 a carico dei cinque magistrati componenti il collegio della Corte di legittimità che aveva pronunciato la sentenza in ultimo richiamata.

1.3. Si costituì in giudizio l’Avvocatura dello Stato, chiedendo che la domanda fosse dichiarata inammissibile per tardività o comunque infondata.

1.4. Il Tribunale dichiarò inammissibile il ricorso e compensò le spese di lite.

2. La società soccombente ha proposto reclamo contro la decisione del Tribunale e la Corte d’appello di Perugia, con decreto del 22 dicembre 2018, ha rigettato l’impugnazione, ha confermato la decisione di primo grado ed ha interamente compensato anche le spese del giudizio di reclamo.

Ha osservato la Corte territoriale che il Tribunale aveva correttamente affermato, ai fini della tempestività dell’azione risarcitoria, che nella specie essa avrebbe dovuto essere proposta entro il termine di due anni (a norma della L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2, nel testo vigente ratione temporis) decorrente dalla prima decisione della Corte di cassazione e non dalla seconda, pronunciata in sede di revocazione. Ed infatti avverso la sentenza con cui la Corte di cassazione aveva dichiarato inammissibile l’originario ricorso alla Commissione tributaria “era esperibile non un mezzo ordinario, bensì un mezzo straordinario di impugnazione, quale certamente è quello di cui all’art. 391-bis c.p.c.”. La Corte perugina, quindi, nel confermare la decisione di inammissibilità, ha osservato che il termine per la proposizione dell’azione di responsabilità per danni derivanti dall’esercizio delle funzioni giudiziarie decorre dal momento in cui sono stati esauriti i mezzi ordinari di impugnazione avverso il provvedimento asseritamente viziato da dolo o colpa grave; per cui, nella specie, il termine biennale aveva cominciato a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza n. 13852 del 2010. Ciò in quanto la prima sentenza emessa dalla Corte di cassazione aveva determinato la formazione del giudicato, non avendo la L. n. 117 del 1988 previsto “la revocazione straordinaria presso la Corte di cassazione quale dies a quo”. Tale soluzione è apparsa alla Corte di merito come “l’unica prospettabile nel caso di specie”; per cui la società Suedzucker avrebbe dovuto proporre l’azione di responsabilità entro il termine di due anni “decorrente dal momento nel quale si era determinato il giudicato sul procedimento presupposto”, termine non rispettato.

3. Contro il decreto della Corte d’appello di Perugia propone ricorso la società Suedzucker con un complesso atto nel quale vengono prospettati un motivo rescindente ed un motivo rescissorio.

Resiste la Presidenza del Consiglio dei ministri, con memoria ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 5 chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o comunque infondato.

La società ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso.

1. Con il motivo di ricorso proposto in via rescindente si lamenta l’illegittimità del decreto impugnato, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), per violazione dell’art. 391-bis c.p.c. e della L. n. 117 del 1988, art. 4.

La società ricorrente premette che, a norma dell’art. 391-bis cit., “la pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto”; e che l’art. 4, comma 2, cit. prevedeva, nel testo applicabile ratione temporis, che l’azione di responsabilità potesse essere esercitata nel termine di due anni decorrenti da quando l’azione è esperibile, specificando che essa “può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione”. Tanto premesso, la società rileva che considerare la revocazione contro le sentenze della Corte di cassazione come un’impugnazione straordinaria sarebbe in contrasto sia con la previsione dell’art. 324 c.p.c. che con quella dell’art. 391-bis cit., secondo cui c’è una differenza tra le sentenze che rigettano e quelle che accolgono il ricorso. La tesi sostenuta nella censura in esame, in definitiva, consiste nell’affermazione che la sentenza n. 13852 del 2010 della Corte di cassazione potrebbe ritenersi passata in giudicato soltanto dopo l’intervenuto rigetto della richiesta di revocazione, ossia al momento della pubblicazione della seconda sentenza di legittimità. Sarebbe pacifico in giurisprudenza, del resto, che la proposizione di un ricorso per revocazione contro una sentenza della Corte di cassazione impedisce la formazione del giudicato solo quando il ricorso venga accolto, mentre in caso di rigetto il giudicato consegue al deposito della pronuncia poi impugnata per revocazione. Consegue da ciò che non può considerarsi impugnazione straordinaria quella “la cui proposizione preclude la formazione della cosa giudicata” e che la revocazione per errore di fatto, benchè avente ad oggetto una sentenza di cassazione, dovrebbe comunque essere considerata un’impugnazione ordinaria, da esperire prima di poter promuovere l’azione di responsabilità di cui alla L. n. 117 del 1988.

2. Con il motivo di ricorso proposto in via rescissoria si osserva che l’azione di responsabilità proposta contro lo Stato sarebbe ammissibile ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 2.

Dopo aver ribadito che la domanda risarcitoria non avrebbe potuto essere proposta prima della sfavorevole definizione del giudizio per revocazione, la società ricorrente osserva che ai fini dell’ammissibilità occorre che siano stati esperiti tutti i rimedi ordinari di impugnazione, a prescindere dal fatto che essi siano stati rigettati o dichiarati inammissibili; per cui, in presenza di un’impugnazione teoricamente giustificabile, ma poi dichiarata inammissibile, il termine per la proposizione dell’azione ai sensi della L. n. 117 del 1988 decorre dalla data dell’ultima sentenza che abbia accertato l’inammissibilità. Nel caso in esame, poi, l’azione di responsabilità non potrebbe ritenersi preclusa dalla c.d. clausola di salvaguardia contenuta nella L. n. 117 del 1988, art. 2; la sentenza n. 13852 del 2010 citata, infatti, non ha neppure sfiorato il problema della sospensione dei termini per impugnare a seguito della presentazione dell’istanza di accertamento con adesione. Ne consegue che, non essendo stata esaminata la questione posta nel controricorso della società Suedzucker, il rimedio della revocazione avrebbe dovuto essere considerato esperibile, perchè la prima decisione della Corte di cassazione era affetta da un “tipico errore di fatto”. In altri termini, dal contenuto della sentenza del 2010 non risulta che il collegio abbia svolto una qualche attività di interpretazione sulle norme (richiamate in quel giudizio nel controricorso) relative alla sospensione dei termini per proporre impugnazione avverso gli avvisi di accertamento, perchè il punto non è stato per nulla esaminato dal giudice di legittimità; il che vuol dire che per quella sentenza non può valere la clausola di salvaguardia di cui al citato art. 2, non essendo stata svolta alcuna attività di interpretazione.

La concreta vicenda processuale.

3. Giova ricapitolare brevemente il contenuto delle due pronunce di questa Corte emesse nel giudizio che ha dato luogo alla successiva azione di responsabilità civile oggetto del ricorso odierno.

La prima sentenza è la n. 13852 del 2010. Questa sentenza, pronunciata dalla Quinta Sezione Civile, accolse il primo motivo di ricorso del Ministero dell’economia e finanze e dell’Agenzia delle entrate, assorbiti gli altri, cassò la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano e, decidendo nel merito, dichiarò inammissibile il ricorso introduttivo proposto dalla Suedzucker per tardività. In motivazione, fra l’altro, il Collegio rilevò che gli avvisi erano stati ricevuti dalla Suedzucker il 3 gennaio 2001 e che il ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Lecco era stato introdotto solo il 22 maggio 2001, cioè oltre il termine di 60 giorni di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21. Non venne affrontata in motivazione la questione della sospensione dei termini in conseguenza della presentazione della domanda di accertamento con adesione (D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 6), avendo la sentenza solo dato atto della presentazione del controricorso della Suedzucker.

La seconda sentenza è la n. 13413 del 2012 della medesima Quinta Sezione Civile, la quale dichiarò inammissibile la richiesta di revocazione della sentenza precedente. Per quanto qui di interesse, l’ordinanza osservò che non applicare la sospensione di un termine è il frutto di una valutazione giuridica e, come tale, può determinare, semmai, un errore di diritto e non un errore sul fatto idoneo a dare ingresso alla revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4).

Il quadro normativo.

4. Osserva il Collegio che, ai fini di un corretto inquadramento del caso in esame, bisogna prendere avvio da una considerazione di carattere storico, e cioè che nel momento in cui entrò in vigore la L. n. 117 del 1988 sulla responsabilità civile dei magistrati l’istituto della revocazione delle sentenze della Corte di cassazione non era ancora previsto. L’art. 391-bis c.p.c. fu introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 67 il quale disegnò l’istituto in termini che sono rimasti invariati nelle loro linee essenziali, nonostante i successivi interventi legislativi. In particolare, la L. n. 353 del 1990 limitò l’istituto al solo caso dell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4), cit.; aggiunse poi, nei commi 2 e 3, due previsioni che sono rimaste immutate: la prima (comma 2) dispone che la “pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto”, mentre la seconda (comma 3) stabilisce che “in caso di impugnazione per revocazione della sentenza di cassazione non è ammessa la sospensione dell’esecuzione della sentenza passata in giudicato, nè è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo”.

L’art. 391-bis cit. ha subito modificazioni ad opera del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e, da ultimo, del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis inserito in sede di conversione dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197. Nella versione attuale, le previsioni suindicate di cui ai commi 2 e 3 sono transitate nei commi 5 e 6, ma il loro contenuto è rimasto immutato.

Al D.Lgs. n. 40 del 2006 si deve anche l’aggiunta dell’art. 391-ter c.p.c., il quale dispone che avverso i provvedimenti con cui la Corte di cassazione ha deciso la causa nel merito è proponibile, altresì, la revocazione “per i motivi di cui all’art. 395, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 6)”; previsione, questa, che ha completato il quadro nel senso di affiancare alla possibilità della revocazione della sentenza di cassazione per errore di fatto anche quella della revocazione straordinaria nei confronti delle sentenze che hanno deciso la causa nel merito (v. l’ordinanza 27 ottobre 2015, n. 21912). Non a caso, infatti, l’art. 391-bis, comma 1, cit. dispone che la revocazione per errore di fatto debba essere proposta “entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento”, poichè quel genere di errore è palese e risulta dalla sentenza depositata; mentre l’art. 391-ter cit. non prevede termini per la proposizione, atteso che la revocazione c.d. straordinaria si fonda su cause che sono tutte sopravvenute rispetto alla decisione.

La L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2, com’è noto, costruisce l’azione di responsabilità civile nei confronti dello Stato, in relazione all’operato dei magistrati, come uno strumento residuale; la disposizione prevede, infatti, che tale azione “può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento”, fissando altresì un termine di decadenza che era in origine di due anni e che oggi è divenuto di tre anni a seguito della modifica disposta dalla L. 27 febbraio 2015, n. 18 (modifica non applicabile nell’odierna fattispecie ratione temporis).

Da questo quadro normativo è doveroso trarre una prima conclusione, e cioè che il legislatore, introducendo l’istituto della revocazione delle sentenze della Corte di cassazione e poi modificandone il regime con leggi successive, non ha mai ritenuto di dover modificare anche il testo della L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2; il che va tenuto presente nell’interpretazione complessiva del sistema.

La giurisprudenza di questa Corte.

5. La Corte d’appello di Perugia è pervenuta alla conclusione che la domanda della società ricorrente fosse inammissibile per tardività ed ha richiamato, a sostegno della sua tesi, l’ordinanza di questa Corte 14 maggio 2015, n. 9916, secondo la quale in tema di responsabilità civile dei magistrati, ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2, (nella versione applicabile a tutte le fattispecie anteriori al 19 marzo 2015 e, cioè, all’entrata in vigore della L. n. 18 del 2015), l’azione di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie è tardiva se proposta decorsi i due anni dalla data della sentenza di cassazione, nonostante la proposizione di revocazione ex art. 391-bis c.p.c., che non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto.

Questa ordinanza ha affermato, tra l’altro, che la revocazione, pur essendo di norma un mezzo ordinario di impugnazione, non lo è più se rivolta contro una sentenza di cassazione, e ciò anche per ragioni pratiche costituite dall’esigenza “di una non remota ed impervia formazione del giudicato”. Ha aggiunto poi quel provvedimento che la natura straordinaria della revocazione contro le sentenze della Corte di cassazione era stata sostenuta anche prima che venisse introdotto l’art. 391-bis cit., e che tale considerazione trova oggi una conferma nell’affermazione del comma 5 della disposizione stessa.

E’ da notare, peraltro, che tale ordinanza è stata pronunciata in relazione ad un caso nel quale la prima pronuncia della Corte Suprema era stata di rigetto del ricorso.

Il principio di diritto enunciato dall’ordinanza n. 9916 del 2015 è stato di recente confermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 3 maggio 2019, n. 11747 (v. p. 15). Nel caso all’esame delle Sezioni Unite vi era un’ipotesi in tutto simile a quella odierna, perchè la prima delle due pronunce emesse dalla Corte di cassazione e oggetto dell’azione di responsabilità civile era stata una cassazione con decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; tuttavia è opportuno ricordare che le Sezioni Unite erano chiamate allora a risolvere tutt’altro problema e che l’aver ribadito il principio di diritto suindicato appare piuttosto come un semplice passaggio logico finalizzato a dimostrare che l’azione di responsabilità civile era stata in quel giudizio tempestivamente proposta.

Altre pronunce, tuttavia, hanno affrontato, anche se non in termini, la delicata questione che oggi questo Collegio deve risolvere.

La sentenza 5 febbraio 2013, n. 2637, chiamata a decidere un ricorso in materia di responsabilità civile dei magistrati, ha incidentalmente affrontato il problema del decorso del termine. Dopo aver ricordato che le sentenze di rigetto della Corte di cassazione non possono ulteriormente essere impugnate ai sensi dell’art. 111 Cost. e che è inammissibile il ricorso per revocazione contro la sentenza di cassazione che abbia respinto un altro ricorso per revocazione (art. 403 c.p.c., comma 1), la sentenza in esame ha rilevato che “è giustificabile, e vale a spostare la decorrenza del termine per l’esercizio dell’azione di responsabilità del magistrato, il ricorso per revocazione contro una sentenza della Corte di cassazione, pur se la revocazione sia dichiarata inammissibile”. Ciò che conta, secondo questa pronuncia, è che “l’impugnazione dichiarata inammissibile sia quanto meno teoricamente giustificabile, per essere stata proposta sulla base di un plausibile errore nell’interpretazione della legge”.

La successiva sentenza 17 gennaio 2014, n. 843, ha osservato che la revocazione di cui all’art. 391-bis cit. è un rimedio straordinario, finalizzato a “porre un ostacolo a ricorsi meramente dilatori e strumentali, diretti a impedire il formarsi del giudicato”; ed ha aggiunto che “la proposizione di un ricorso per revocazione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata solo ove il ricorso per cassazione sia stato accolto”; mentre in caso di rigetto o inammissibilità del ricorso, il giudicato si forma sulla sentenza a prescindere dalla proposizione di un ricorso per revocazione.

Di significativo rilievo è poi la sentenza 17 aprile 2015, n. 7924, nella quale è stato affrontato un caso particolare. Si discuteva in quella sede, infatti, se fosse ammissibile esperire l’azione di responsabilità civile nei confronti dei magistrati della Corte di cassazione in relazione ad una sentenza nella quale si prospettava non essere stato esaminato un motivo di ricorso. Mentre il Tribunale aveva rigettato la richiesta osservando che l’errore in questione era emendabile con la revocazione, in quel caso non proposta, la Corte d’appello era stata di parere contrario, aveva ritenuto non esperibile la revocazione ed aveva perciò condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri al risarcimento del danno. La sentenza n. 7924 ha accolto il ricorso ed ha cassato la pronuncia di appello senza rinvio, ponendo in luce la decisività della circostanza per cui la sentenza di cassazione era impugnabile per revocazione, non proposta dagli interessati; e, richiamando i precedenti in argomento, ha aggiunto che l’intento primario della L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2, è quello di “dare la prevalenza alla rimozione del provvedimento dannoso e di privilegiare i rimedi endoprocessuali rispetto all’azione risarcitoria, subordinando quest’ultima alla circostanza che il danneggiato abbia utilizzato gli strumenti processuali normalmente apprestati dall’ordinamento per eliminare o, almeno, ridurre il danno”.

Occorre tenere presente, del resto, che puntuali indicazioni sul fatto che il sistema privilegi il rimedio endoprocessuale rispetto all’azione risarcitoria si trovano già nella sentenza 23 dicembre 1997, n. 13003, con un’interessante ricostruzione dei lavori parlamentari che illumina la ratio legis complessiva dell’intero meccanismo della L. n. 117 del 1988.

Va menzionata, infine, anche l’ordinanza 17 settembre 2015, n. 18300. Chiamata ad occuparsi del potere di sospensione di cui all’art. 401 c.p.c. in relazione ad una sentenza di cassazione con decisione di merito fatta oggetto di impugnazione per revocazione, l’ordinanza in esame ha negato che una simile pronuncia precluda l’esercizio del potere di sospensiva, rilevando come non sia possibile riferire l’espressione “sentenza passata in giudicato”, di cui all’art. 391-bis c.p.c., comma 6 alle sentenze di cassazione contenenti una decisione nel merito.

Il problema specifico: la cassazione con decisione nel merito e la decorrenza del termine per l’azione di responsabilità civile magistrati.

6. L’art. 324 c.p.c. dispone che si considera passata in giudicato “la sentenza che non è più soggetta nè a regolamento di competenza, nè ad appello, nè a ricorso per cassazione, nè a revocazione per i motivi di cui all’art. 395, nn. 4 e 5”; da questa disposizione si fa tradizionalmente discendere la conclusione che la revocazione per i motivi di cui all’art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5 è un’impugnazione ordinaria, mentre la revocazione per i motivi di cui all’art. 395 cit., nn. 1, 2, 3 e 6 è un’impugnazione straordinaria (arg. ex art. 326 c.p.c., comma 1). Ne deriva che la revocazione di cui all’art. 391-bis cit., essendo prevista per la sola ipotesi dell’art. 395 cit., n. 4), dovrebbe avere natura di impugnazione ordinaria, come tale idonea ad impedire la formazione del giudicato. Se così fosse, l’odierno ricorso dovrebbe essere accolto, perchè la L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2, subordina l’esperibilità dell’azione risarcitoria ivi prevista al previo esaurimento dei mezzi “ordinari” di impugnazione; il che starebbe a significare che il termine per la proposizione dell’azione risarcitoria dovrebbe decorrere non dalla prima sentenza di questa Corte, bensì dalla seconda, cioè quella che ha deciso sulla revocazione.

6.1. In realtà, la questione è più complessa.

Non è questa la sede, ovviamente, per analizzare in profondità un problema tanto delicato. Basti qui osservare che la stessa dottrina è divisa sia sulla natura da attribuire alla revocazione di cui all’art. 391-bis cit., da alcuni considerata mezzo ordinario e da altri straordinario di impugnazione, sia sul momento di determinazione del giudicato in ordine alle pronunce di cassazione che accolgono il ricorso e decidono la causa nel merito.

Nel caso odierno, il Collegio sottolinea come la sentenza n. 13852 del 2010, cioè la prima delle due pronunce dalle quali si dipana il ricorso della società Suedzucker per la responsabilità civile dei magistrati, non ha respinto il ricorso, nè ha cassato la sentenza impugnata con rinvio, bensì l’ha cassata con decisione della causa nel merito; ed è evidente che questa ipotesi non è espressamente regolata nè dall’art. 391-bis, comma 5, cit., ove si fa riferimento al passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto, nè dal successivo comma 6, ove si fa riferimento all’ipotesi di cassazione con rinvio. D’altra parte il legislatore, nell’ammettere la revocazione straordinaria contro le sentenze della Corte di cassazione che hanno deciso la causa nel merito (art. 391-ter c.p.c.) – per di più riconoscendo che questa impugnazione si aggiunge a quella prevista dall’art. 391-bis cit., come risulta evidente dall’uso dell’espressione “altresì impugnabile” di cui all’art. 391-ter – ha dimostrato di considerare che le due forme di revocazione sono evidentemente diverse.

Nasce dalla particolarità e novità della questione – non scandagliata espressamente dalla sentenza n. 11747 del 2019 delle Sezioni Unite – la necessità di rimessione dell’odierno ricorso al Primo Presidente affinchè venga valutata l’opportunità di una decisione da parte delle Sezioni Unite.

Alla luce di quanto si è detto fin qui, non può dirsi che ci sia un contrasto nella giurisprudenza della Corte; tuttavia la questione è di particolare importanza ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2; perchè, se la Corte di cassazione cassa la sentenza impugnata e decide nel merito e contro tale decisione è proposto il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., sorge la necessità di stabilire se il termine di decadenza di cui alla L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2, decorra dalla prima ovvero dalla seconda pronuncia. E tale questione è di sistema, investe l’intera Corte ed esige una risposta che sia la medesima in tutti i casi.

Nel rimettere la decisione del ricorso al Primo Presidente, questo Collegio osserva che, dovendo il sistema essere interpretato e ricostruito nella sua globalità, sembra più logico e coerente con la struttura della L. n. 117 del 1988 – che, come detto, considera l’azione di responsabilità civile una sorta di extrema ratio – non far decorrere il termine di cui all’art. 4, comma 2, L. cit. qualora venga proposto ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., avverso una sentenza della Corte Suprema che abbia cassato la sentenza impugnata ed abbia deciso la causa nel merito. Tale opzione consentirebbe, attendendo l’esito del giudizio sulla revocazione, di favorire il rimedio endoprocessuale rispetto all’azione di responsabilità civile; nello stesso tempo, eviterebbe di sollecitare la parte che abbia proposto il ricorso per revocazione a proporre comunque ed in ogni caso anche l’azione di responsabilità civile, per evitare di incorrere in decadenza; tanto più che il giudizio sulla responsabilità civile finirebbe col dover essere (con ogni probabilità) sospeso in attesa della definizione del giudizio di revocazione.

Conclusione.

Il Collegio, in conclusione, rimette al Primo Presidente l’esame del presente ricorso affinchè valuti l’opportunità di una decisione a Sezioni Unite sul seguente problema: “se, proposto ricorso per revocazione avverso una sentenza della Corte di cassazione che, accogliendo il ricorso, abbia cassato la sentenza impugnata e deciso la causa nel merito, il termine di decadenza per proporre l’azione di responsabilità civile contro l’operato dei magistrati, previsto dalla L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2, decorra dalla decisione di merito da parte di questa Corte ovvero dalla decisione sul ricorso per revocazione”.

E’ appena il caso di rilevare che si tratta di questione rilevante ai fini della decisione, perchè la tempestività o meno dell’azione di responsabilità civile proposta dalla società qui ricorrente dipende dalla scelta dell’una o dell’altra opzione interpretativa.

P.Q.M.

La Corte rimette il ricorso al Signor Primo Presidente affinchè valuti l’opportunità di una decisione a Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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