Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27980 del 07/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/12/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 07/12/2020), n.27980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3869-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente-

contro

V. COSTRUZIONI GENERALI SRL, G.D., V.A.,

R.V., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

AURELIANA, 25, presso lo studio degli avv.ti ANTONIA ed ARIANNA

SCIONE, rappresentati e difesi dall’avv.to FABIO RUSSO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 215/2013 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 02/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di `consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott.ssa D’ANGIOLELLA ROSITA;

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con avviso di accertamento, per l’anno 2005, l’Agenzia delle entrate accertava, in capo alla società V. Costruzioni Generali s.r.l., maggiori imposte ai fini Ires, Irap ed Iva, relative a maggiori redditi d’impresa rispetto a quelli dichiarati; seguivano avvisi di accertamento a carico dei soci, G.D., V.A. e R.V., in quanto la società V. Costruzioni Generali s.r.l. aveva optato, per il triennio 2004-2006, per il regime della trasparenza ex art. 116 t.u.i.r. In particolare, dalla verifica fiscale cui era seguito l’accertamento, era emerso che la società contribuente aveva acquistato in data 18/08/2005 la piena proprietà di un cespite immobiliare, costituito da un appezzamento di terreno in parte edificabile ed in parte agricolo con annesso piccolo fabbricato rurale, per un prezzo di Euro 541.760,00 (Euro 533.960,00 per il terreno edificabile ed Euro 7.800,00 per il terreno agricolo) e che parte di detta somma, pari ad Euro 513.760,00, era stata contabilizzata tra le passività dello stato patrimoniale, alterando così – secondo l’ipotesi del fisco – lo stato patrimoniale della società. L’avviso che ne seguiva accertava a carico della società ricavi non dichiarati per Euro 720.910,00 e, ai fini Iva, l’omessa registrazione di operazioni imponibili attive per lo stesso imposto, con un imposta evasa pari ad Euro 32.153,00.

La società ed i soci proponevano ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Benevento, deducendo l’illegittimità e l’erroneità dell’avviso in quanto basato su di una serie di presunzioni e prove logiche infondate, chiedendo, dunque, l’annullamento dell’avviso. La Commissione tributaria provinciale, con sentenza n. 235/02/10, rigettava i ricorsi.

La società contribuente e i soci impugnavano la predetta sentenza innanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania che, con la sentenza in epigrafe, accoglieva l’appello riformando integralmente la prima decisione ed annullando l’avviso.

L’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per Cassazione avverso tale sentenza deducendo un unico motivo di ricorso, così rubricato: “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, nonchè degli artt. 2696 e 2727 c.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Resistono con controricorso la società ed i soci, depositata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

La ricorrente censura il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, artt. 2696 e 2727 c.c.) denunciando errori di giustificazione della decisione sul fatto, con riferimento al rapporto tra motivazione della sentenza d’appello e dati processuali, il che pone il duplice problema della selezione di tali dati in relazione ai profili contenutistici del ricorso in cassazione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) e 4), e dei limiti del controllo del giudice di legittimità rispetto alla decisione di merito.

La CTR della Campania, con la sentenza che qui s’impugna, ha confutato l’accertamento dell’Ufficio valorizzando le giustificazioni documentali addotte dalla contribuente su l’esistenza di costi deducibili (v. sentenza pagg. 7-8: “con la vendita del 22/12/2008 si è realizzata una parziale ininfluente modifica dei contratti preliminari resa necessaria in virtù del notevole lasso di temporale intercorso tra la stesura dei preliminari ed il rogito degli appartamenti. Gli elementi essenziali dell’operazione sono rimasti immutati perchè identico è stato il bene compra venduto – ovvero i totali metri quadri di terreno- così come identico è rimasto il prezzo complessivo pari ad Euro 541.760,00 che veniva però di partito per Euro 155.584,00 per ognuno dei tre appartamenti promessi in un preliminare più altri Euro 75.000 regolarmente versati in contanti a fronte dell’altro preliminare”).

La ricorrente richiama una serie di elementi di fatto che, a suo dire, non sarebbero stati presi in considerazione dai secondi giudici e che, se presi in considerazione, avrebbero rivelato la fondatezza della pretesa fiscale (v. pag. 4, ultimo capoverso, del ricorso, e pag. 5 prima metà, ove la ricorrente richiama i preliminari di vendita del terreno del 2004, la vendita successiva del 2005, nonchè le relazioni di valutazione di azienda del 2004 in relazione agli anticipi ricevuti, all’epoca, dalla società contribuente).

In relazione al tema relativo al controllo del giudice di legittimità, la giurisprudenza di questa Corte afferma che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso (ex plurimis, cfr. Sez. 5, Sentenza n. 961 del 21/01/2015, (NDR: testo originale non comprtensibile). Inoltre, il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi di fatto portati al suo esame ma può senz’altro limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purchè tale valutazione risulti logicamente coerente.

Sotto tale profilo, dunque, l’odierna censura del ricorrente secondo cui gli elementi, i dati e le notizie poste a sostegno della pretesa fiscale, se presi in esame, avrebbero determinato una decisione favorevole all’amministrazione (v. ricorso pag. 5, secondo capoverso) costituisce una censura del merito della decisione, che esula dai poteri di controllo del giudice di legittimità e rende il ricorso inammissibile.

L’inammissibilità si disvela anche sotto l’altro profilo innanzi delineato riguardante il mancato innesto tra tali elementi e le argomentazioni dei secondi giudici, nonchè la loro mancata localizzazione, trascrizione e comunque allegazione.

E’ principio consolidato di questa Corte che il ricorso debba essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudic:e”, anche con specifica localizzazione delle allegazioni difensive dei precedenti gradi, sì da rendere intellegibili le questioni giuridiche prospettate, nonchè di individuare, in relazione a tali profili, le ragioni critiche nell’ambito dei vizi previsti dall’art. 360, c.p.c. Quando il ricorso è carente di tale contenuto minimo esso non supera la soglia di ammissibilità (per una completa analisi dei profili contenutistici del ricorso in cassazione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) e 4), anche con riguardo alla giurisprudenza formatasi sul tema e all’esigenza di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa -art. 24 Cost.-, nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo – art. 111 Cost., comma 2, e art. 6 CEDU, cfr. Sez. 5, Sentenza n. 8425 del 30/04/2020, Rv. 65819601).

Il ricorso dell’amministrazione finanziaria non rispetta ii requisiti contenutistici di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) e 4), in quanto l’esposizione dei profili di fatto e di diritto della vicenda posti a fondamento dell’unica doglianza, risulta fumosa, incerta, non intellegibile ai fini di consentire il controllo di legittimità sul vizio dedotto.

Infine, anche se per ipotesi il ricorso avesse superato il vaglio di ammissibilità, le censure proposte risultano manifestamente infondate considerato che la decisione dei secondi giudici è conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di accertamento analitico e di onere della prova, avendo confutato l’accertamento dell’Ufficio a fronte di precise giustificazioni documentali addotte dalla contribuente sull’esistenza di costi deducibili (cfr. Sez. 5, n. 22868 del 29/09/2017; Sez. 5, n. 13300 del 26/05/2017; Sez. 5, n. 899 del 16/01/2019).

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza dell’amministrazione e si liquidano come da dispositivo.

Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo, trattandosi di amministrazione pubblica ammessa a prenotazione a debito.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dei ricorrenti che liquida in complessivi Euro 5.600,00 oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge, oltre 200,00 Euro per esborsi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2020

 

 

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