Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27971 del 31/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 31/10/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 31/10/2018), n.27971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6396/2017 proposto da:

TOWERS WATSON DELAWARE INC., quale successore a titolo universale di

Towers Watson Pennsylvania Inc. per effetto di fusione per

incorporazione, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SAN NICOLA

DA TOLENTINO N. 67, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO LI BASSI,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.A.;

– intimata –

e da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

GIUSEPPE MAZZINI 27, (STUDIO LEGALE TRIFIRO’ & PARTNERS), presso

lo studio degli avvocati GIACINTO FAVALLI e PAOLO ZUCCHINALI, che la

rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

TOWERS WATSON DELAWARE INC., quale successore a titolo universale di

Towers Watson Pennsylvania Inc. per effetto di fusione per

incorporazione;

– intimata –

avverso la sentenza n. 691/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/09/2016 r.g.n. 1701/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/09/2018 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento dell’incidentale per quanto di ragione;

udito l’Avvocato TOMMASO LI BASSI;

udito l’Avvocato ALFONSO MANDARA per delega verbale Avvocati GIACINTO

FAVALLI E PAOLO ZUCCHINALI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano, in accoglimento del ricorso presentato da C.A., dirigente apicale della società Tower Watson Pennsylvania Inc., aveva dichiarato l’ingiustificatezza del licenziamento irrogato alla predetta con lettera del (OMISSIS) e condannato la società al pagamento dell’ indennità sostitutiva del preavviso (Euro 284.327,39), dell’indennità supplementare (Euro 463.257,56, di ulteriore importo a titolo di risarcimento del danno all’immagine per Euro 15.000,00, dell’indennità sostitutiva per ferie non godute (Euro 60.843,39) e di Euro 4.698,00 a titolo di illegittima trattenuta operata dalla società.

2. Con sentenza del 16.9.2016, in parziale riforma della pronuncia suddetta, la Corte di appello meneghina respingeva la domanda della C. relativamente alla domanda di pagamento dell’indennità supplementare, di risarcimento del danno all’immagine, nonchè di riconoscimento dell’indennità sostitutiva delle ferie.

3. Osservava in particolare che non poteva sostenersi, come ritenuto dal Tribunale, che l’utilizzo contestuale della viacard e del telepass fosse tollerato dalla società, essendo quest’ultima all’oscuro dell’uso distorto delle stesse, e riteneva che ciò inficiasse il rapporto di fiducia instauratosi con la società in ragione anche dell’elevata considerazione personale della dirigente. Rilevava che la contestazione esaminata era di tale gravità che anche in un rapporto di natura non dirigenziale avrebbe giustificato da sola il licenziamento, aggiungendo che, tuttavia, per la particolarità del rapporto, il cambio di gestione della società e la circostanza che le violazioni non riguardavano la qualità dell’attività svolta, doveva escludersi l’impossibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro, sicchè andava riconosciuta l’indennità sostitutiva del preavviso.

4. Aggiungeva che le contestazioni diverse da quelle riguardanti i pedaggi autostradali dovevano, invece, ritenersi infondate o non provate, che la sussistenza del danno all’immagine doveva escludersi per mancanza di ogni prova e che, quanto alle ferie, posto che il dirigente aveva il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore, laddove lo stesso non esercitasse il relativo potere e non usufruisse del periodo di riposo annuale, come nella specie, non aveva diritto all’indennità sostituiva, a meno che non provasse la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali, ostative alla sua fruizione.

5. Di tale decisione domanda la cassazione la società con unico motivo di impugnazione, cui resiste con controricorso la C., che spiega ricorso incidentale, affidato ad un motivo. Resiste a quest’ultimo, con proprio controricorso, la società.

6. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale:

1. Vengono denunziate violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte del merito ritenuto insussistente la giusta causa di licenziamento, osservandosi che la contestazione era relativa ad illecito di tale gravità che anche in un rapporto di natura non dirigenziale, avrebbe giustificato da sola il licenziamento e che la conclusione della Corte del merito sulla esclusione dell’impossibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro, desunta anche e principalmente dal fatto che le condotte ascritte non riguardavano la qualità dell’attività svolta dall’appellata dirigente, violava la nozione di giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c.. Si assume che tale nozione, quale elaborata dalla S.C., integra una clausola generale che deve essere concretizzata dall’interprete tramite la valorizzazione di fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. Si rileva che l’espediente di presentare per il rimborso note spese non dovute, inframmezzate da altre regolari, approfittando del rapporto fiduciario che ne induce a ritenere la correttezza fra le parti, può rientrare nel concetto di artificio di cui all’art. 640 c.p., idoneo ad ingannare, o comunque ad integrare l’ipotesi di appropriazione indebita, sicchè il comportamento addebitato alla C. non poteva non ritenersi connotato da rilevante gravità. Si aggiunge che l’esclusione della giusta causa contrasta anche con l’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., cui deve essere improntato il rapporto di lavoro (Cass. 11220/2004).

2. L’esonero del datore di lavoro dal pagamento dell’indennità supplementare, generalmente prevista per i dirigenti di azienda dalla contrattazione collettiva, presuppone la giustificatezza del licenziamento, laddove l’esonero dall’obbligo del preavviso o da quello alternativo del pagamento dell’indennità sostitutiva presuppone la ricorrenza di una giusta causa, nozione non del tutto sovrapponibile a quella di giustificatezza: mentre la giusta causa consiste in un fatto che, in concreto valutato (e cioè, sia in relazione alle sua oggettività sia con riferimento alle sue connotazioni soggettive), determina una grave lesione della fiducia del datore di lavoro nel proprio dipendente, tale da non consentire la prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto, tenuto conto altresì della natura di quest’ultimo e del grado di fiducia che esso postula, la ricorrenza della giustificatezza dell’atto risolutivo – ancor più strettamente vincolata al carattere fiduciario del rapporto di lavoro dirigenziale – è da correlare alla presenza di valide ragioni di cessazione del rapporto lavorativo, come tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede, sicchè non giustificato è il licenziamento per ragioni meramente pretestuose, al limite della discriminazione, ovvero anche del tutto irrispettoso delle regole procedimentali che assicurano la correttezza dell’esercizio del diritto. Conseguentemente, possono ricorrere le condizioni per non corrispondere l’indennità supplementare, in presenza della giustificatezza del licenziamento, e non sussistere quelle per negare l’indennità sostitutiva di preavviso in assenza della giusta causa (cfr. Cass. 10.4.2012 n. 5671, Cass. 1.6.2005 n. 11691).

3. In particolare, ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, può rilevare qualsiasi motivo, purchè esso possa costituire la base per una motivazione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, a fronte del quale non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà del licenziamento in quanto riferito a circostanze idonee a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente (cfr. Cass. 27 agosto 2003 n. 12562, 19 agosto 2005 n. 17039, 10 aprile 2012n. 5671, richiamate da Cass. 17.3.2014 n. 6110, in termini).

4. Nella specie, la Corte di Milano ha rettamente escluso l’indennità supplementare in applicazione del principio sopra ricordato, ma ha nel contempo ritenuto che la condotta ascritta alla C. non fosse connotata da gravità apprezzabile per non essere la contestazione relativa alla qualità del lavoro svolto oltre che per circostanze contingenti legate al cambio di gestione della società.

5. Quest’ulteriore giudizio non sfugge alle critiche rivolte alla decisione da parte della società in ordine all’erroneità dell’applicazione dell’art. 2119 c.c., dovendo al riguardo considerarsi che l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento è sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. in tali termini, Cass. 25.5.2017 n. 13178, Cass. 23/09/2016 n. 18715, Cass. n. 8367 del 2014, Cass. n. 5095 del 2011).

6. Nella specie il giudizio espresso dalla Corte del merito si rivela erroneo per avere escluso la sussistenza di una giusta causa di recesso (ai fini del riconoscimento o meno dell’indennità sostitutiva del preavviso) in relazione ad un comportamento che collide con i doveri basilari del lavoratore, alla stregua di parametri valutativi applicabili al tipo di rapporto scrutinato, risultando la motivazione addotta fondata su elementi privi di rilevanza ai fini considerati.

7. Il ricorso principale merita, pertanto, accoglimento con la conseguente cassazione in parte qua della decisione impugnata e rinvio alla Corte designata in dispositivo – che provvederà anche alle spese del presente giudizio – per un nuovo esame conforme ai principi richiamati.

Ricorso incidentale:

8. E’ dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2735 c.c., per avere la Corte negato l’indennità sostitutiva delle ferie pure avendo la società redatto prospetti e buste paga da cui emergeva la esistenza di un periodo di ferie maturate e non godute, con efficacia vincolante per il giudice in presenza di dichiarazione sfavorevole all’azienda.

9. La censura è inconferente rispetto a quella che è la motivazione addotta dalla Corte per escludere il diritto della C. alla indennità sostitutiva di ferie non godute. La ricorrente incidentale, peraltro, al di là del richiamo all’art. 2697 c.c., non contesta l’erronea applicazione del principio di ripartizione dell’onere probatorio, posto che la pronuncia di esclusione della debenza dell’indennità sostitutiva poggia sulla natura dirigenziale della posizione del lavoratore e che il giudice di appello ha posto a fondamento della decisione il principio secondo cui il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, non ha diritto alla indennità sostitutiva a meno che non provi di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive. Ciò in conformità ad orientamento giurisprudenziale consolidato (v. in tali termini Cass. 10.10.2017 n. 23697, che richiama Cass. 14.3.2016 n. 4920; Cass. 13.6.2009 n. 13953; Cass. 7.6.2005 n. 11786; e in motivazione con riferimento alla dirigenza pubblica Cass. Sez. U. 17.4.2009 n. 9146 e Cass. 26.1.2017 n. 2000).

10. Tale ultimo orientamento da questo Collegio del tutto condiviso non risulta confutato dal ricorso della C., i cui rilievi critici, in sede di ricorso incidentale, si fondano sulla circostanza, esulante dal contesto argomentativo della decisione, che le ferie residue erano contemplate in alcune buste paga. Peraltro è stato assunto come pacifico che di questo dato documentale fosse stata operata una correzione nei successivi prospetti paga (giustificata da un erroneo calcolo delle ferie residue) e comunque ogni rilievo diretto a contrastare la valutazione del giudice del gravame favorevole alla società rileva su un piano ricostruttivo meramente fattuale ed anche le osservazioni in diritto sulla portata della disposizione di miglior favore prevista per la C. – che avrebbe asseritamente contemplato una limitazione nel godimento entro l’anno solo per i permessi – avrebbero dovuto compendiarsi in un motivo affatto diverso da quello prospettato, con richiamo alla violazione di norme diverse da quelle delle quali si assume la falsa applicazione.

11. Il ricorso incidentale va pertanto respinto.

12. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta l’incidentale, cassa la decisione impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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