Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27970 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 21/12/2011), n.27970

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3171-2008 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO

91, presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CHIVASSO;

– intimato –

sul ricorso 6283-2008 proposto da:

COMUNE DI CHIVASSO in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA TARO, 56, presso lo studio dell’avvocato

RAZZANO PAOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato CAPIROSSI

MASSIMO, giusta delega a margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 50/2006 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 09/12/2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

Preso atto che il P.G. non ha formulato osservazioni sulla relazione

ex art. 380 bis c.p.c. notificatagli.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. C.M. propone ricorso per cassazione nei confronti del Comune di Chiasso (che resiste con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale) e avverso la sentenza con la quale – in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento in rettifica relativamente alla Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani relativa agli anni 2000/2003 – la C.T.R. Piemonte, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la sanzione alle quote minime previste per il primo anno.

2. Deve essere innanzitutto disposta la riunione dei due ricorsi siccome proposti avverso la medesima sentenza.

Con riguardo ai motivi 1, 3, 4, 5, 6, 7 e 8 del ricorso principale, giova evidenziare che, in relazione alla denuncia di violazione e mancata applicazione delle norme di legge esposte nell’epigrafe di ciascuno dei suddetti motivi, manca la proposizione del quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., e che, con riguardo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ciascuno dei motivi in esame risulta carente per mancanza della indicazione prevista dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale il motivo di censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 deve contenere una indicazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare nella esposizione chiara e sintetica del fatto controverso e decisivo in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è viziata deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. cass. n. 8897 del 2008), E’ poi appena il caso di sottolineare che l’indicazione de qua deve sempre avere ad oggetto (non più un “punto” o una questione ma) un fatto preciso, inteso sia in senso naturalistico che normativo, ossia un fatto “principale” o eventualmente anche “secondario”, purchè controverso e decisivo, e che nella specie manca non solo una indicazione costituente un quid pluris rispetto alla illustrazione del motivo, ma manca altresì l’individuazione di un fatto precìso rispetto al quale la motivazione risulti omessa nonchè l’evidenziazione della carattere decisivo e della natura controversa del medesimo.

Peraltro, ove anche si volesse ritenere dal tenore dei motivi in esame, prescindendo dalla mancata denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 e della violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 che il ricorrente abbia voluto denunciare l’error in procedendo consistente nella mancanza assoluta (o mera apparenza) della motivazione, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, anche il motivo di ricorso per cassazione con cui si denuncia error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), deve essere concluso in ogni caso con la formulazione di un quesito di diritto ai sensi dell’art. 366- bis (v. cass. n. 4329 del 2009).

In ogni caso, pur volendo aderire alla giurisprudenza secondo la quale la formulazione del quesito non è configurabile se l’inosservanza delle regole processuali abbia dato luogo ad un mero errore di fatto e si chiede alla Corte di cassazione soltanto di riscontrare, attraverso l’esame degli atti del processo, la correttezza dell’attività compiuta, occorre specificare che questa stessa giurisprudenza precisa che la proposizione del quesito è in ogni caso necessaria se la violazione denunciata comporta necessariamente la soluzione di una questione di diritto (v. cass. n. 19558 del 2009), come nella specie, in cui non si chiede il mero riscontro della correttezza o meno dell’attività compiuta dai giudici d’appello (come potrebbe accadere in alcune ipotesi di denuncia ex art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia) bensì (e in ogni caso anche) valutazioni in diritto, quale ad esempio quella concernente i limiti di ammissibilità della motivazione per relationem.

Il secondo motivo del ricorso principale (col quale, deducendo violazione e mancata applicazione di norme di diritto, il ricorrente chiede a questa Corte: “Può essere soddisfatto l’obbligo motivazionale per relationem ad un atto fornito dalla stessa parte oggetto di attività impositiva? E se si, a quali condizioni?”) è inammissibile per assoluta inadeguatezza del quesito proposto, atteso che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la funzione propria del quesito di diritto è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il motivo che (come nella specie) si concluda con un quesito assolutamente generico in quanto privo di ogni specificità in relazione alla corrispondente “ratio decidendi” della sentenza impugnata e la cui formulazione sia del tutto inadeguata ad esprimere la rilevanza della risposta al quesito ai fini della decisione del motivo (v. tra molte altre cass. n. 7197 del 2009 e n. 8463 del 2009, nonchè SU n. 7257 del 2007 e SU n. 7433 del 2009). E’ poi appena il caso di aggiungere che nella specie si tratta di un quesito multiplo, peraltro formulato in maniera da non consentire alla Corte una risposta in termini semplicemente negativi o positivi (per l’inammissibilità di un quesito proposto in tali termini v, tra le altre cass. n. 1906 del 2008).

Il primo motivo del ricorso incidentale (col quale, deducendo violazione di norme di legge, il Comune di Chivasso si duole che i giudici d’appello abbiano ritenuto applicabile nella specie il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 1 pur vertendosi in ipotesi di pluralità di violazioni non formali della stessa norma in riferimento ad un obbligo che si rinnova anno per anno e deve essere perciò sanzionato tante volte quanti sono i periodi di imposta) è manifestamente infondato alla luce della giurisprudenza di questo giudice di legittimità, secondo la quale, in tema di sanzioni amministrative tributarie, le previsioni del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 12 operano anche in caso di violazioni della stessa disposizione commesse in periodi di imposta diversi, non rilevando la natura periodica del tributo, rapportato all’anno solare (v. cass. n. 16051 del 2010, pronunciata in materia di ICI).

Il secondo motivo del ricorso incidentale (col quale, denunciando violazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1 e art. 92 c.p.c., comma 2, la ricorrente incidentale si duole del fatto che, pur in presenza di soccombenza in primo e secondo grado, sia stata disposta la compensazione delle spese e che la disposta compensazione sia stata motivata con generiche ragioni di equità) è manifestamente infondato, innanzitutto perchè la decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa e non semplicemente quando non vi sia stata condanna della parte soccombente, avendo il successivo art. 92, comma 4 previsto la possibilità di compensazione delle spese, ed in ogni caso perchè nella specie l’appello del ricorrente è stato parzialmente accolto, pertanto è configurabile (soccombenza, reciproca, ipotesi per la quale l’art. 92 c.p.c., comma 2 prevede espressamente la possibilità di compensazione delle spese.

E’ infine da aggiungere che solo per l’ipotesi di compensazione disposta per la concorrenza di “altri giusti motivi” (non pertanto nel caso di soccombenza reciproca) la norma in esame prevede l’obbligo di esplicita indicazione in motivazione dei suddetti motivi.

Alla luce di quanto sopra esposto, i due ricorsi in esame devono essere rigettati. Considerata la soccombenza reciproca, si dispone la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta.

Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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