Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27965 del 14/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/10/2021, (ud. 17/09/2021, dep. 14/10/2021), n.27965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18020/14 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

M.E., rappresentato e difeso, in virtù di procura in calce

al controricorso, dagli avv.ti Carlo Boursier Niutta e Antonio

Armentano, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale

Giulio Cesare, n. 23;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Campania n. 320/46/14 depositata in data 14 gennaio 2014.

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre

2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.E. ricorreva avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria all’istanza di rimborso delle somme trattenute a titolo di Irpef, per gli anni d’imposta dal 2003 al 2005, sul trattamento pensionistico percepito in quegli anni quale ex dipendente dello staff internazionale dell’organizzazione N. A.T.O.

A sostegno della domanda deduceva che, avendo prestato servizio, in qualità di funzionario civile, trovava applicazione la disposizione di cui al D.P.R. n. 2083 del 1962, art. 8, comma 1, lett. c), che prevedeva la totale esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi derivanti dagli stipendi e dagli emolumenti corrisposti dai Quartieri Generali Interalleati.

2. L’adita Commissione tributaria provinciale di Napoli accoglieva il ricorso, ritenendo, in linea con la tesi difensiva del contribuente, che il trattamento pensionistico dovesse essere trattato alla stregua di una “retribuzione differita”.

3. Avverso tale decisione proponeva appello l’Ufficio finanziario dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania che, confermando la sentenza di primo grado, lo respingeva, osservando: “nell’interpretazione del D.P.R. n. 2083 del 1962, art. 8, comma 1, lett. c), assume decisivo rilievo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3995/2004 laddove precisa che i trattamenti di pensione corrisposti dal datore di lavoro e non da un centro autonomo di imputazione “hanno natura di retribuzione differita costituendo l’oggetto di obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro”. Ciò consente quindi di far rientrare il trattamento economico corrisposto al contribuente nell’ambito oggettivo di applicazione del D.P.R. n. 2083 del 1962, citato art. 8, comma 1, lett. c), con conseguente esenzione dal pagamento delle imposte”.

4. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, con un unico motivo, cui resiste il contribuente mediante deposito di controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale il contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso la difesa erariale deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 2083 del 1962, art. 8, comma 1, lett. c), nonché del D.P.R. n. 917 del 1960, artt. 1, 3, 6 e 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere i giudici di appello ritenuto che il trattamento di quiescenza corrisposto direttamente dalla Nato all’ex dipendente fosse qualificabile come “retribuzione differita” e godesse, pertanto, degli stessi benefici fiscali previsti per la “ordinaria” retribuzione.

Espone, in particolare, la ricorrente che la norma richiamata prevede l’esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi derivanti dagli stipendi ed emolumenti corrisposti esclusivamente al personale dei Quartieri Generali Interalleati e non al personale civile a statuto locale, ma non sui redditi derivanti da trattamento pensionistico, dal momento che il legislatore ha stabilito che, ai fini della spettanza del beneficio fiscale, devono sussistere le due condizioni tassative di “redditi derivanti dagli stipendi ed emolumenti” corrisposti al personale civile “dai Quartieri Generali Interalleati nella loro qualità di impiegati di detti Quartieri Generali”. L’esenzione d’imposta, dunque, in assenza di una espressa disposizione legislativa in tal senso, non può estendersi anche ai redditi di pensione, considerato che le norme fiscali che prevedono agevolazioni o esenzioni sono di stretta interpretazione e non possono trovare applicazione al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dalla legge.

Ad ulteriore sostegno di tale tesi interpretativa, ad avviso della ricorrente, soccorre l’art. 42 Regolamento pensionistico delle “organizzazioni coordinate”, applicabile “al personale permanente che ricopra un incarico a tempo indeterminato o a tempo determinato presso…l’organizzazione del Trattato Nord Atlantico” (Nato) (art. 1), che prevede la tassazione delle pensioni nello Stato in cui risiede il beneficiario, secondo le norme fiscali vigenti nello Stato stesso. Avendo il contribuente nazionalità italiana, la pensione, benché corrisposta da un organismo internazionale, rimane soggetta a tassazione in Italia secondo le norme vigenti nello Stato italiano che prevedono l’esenzione fiscale delle sole retribuzioni percepite in costanza di rapporto lavorativo. Infatti, l’art. 8, lett. c) Accordo internazionale 26 luglio 1961 tra l’Italia ed il Comandante supremo alleato in Europa stabilisce che “a norma del paragrafo 2 dell’art. VII Protocollo, il personale civile di cui al paragrafo a 1) del presente articolo è esente dal pagamento delle imposte erariali e locali sui redditi derivanti dagli stipendi ed emolumenti ad esso corrisposti dai Quartieri Generali Interalleati nella loro qualità di impiegati di detti Quartieri Generali”, in tal modo esentando da imposta soltanto le somme corrisposte in costanza del rapporto di lavoro dipendente.

2. In controricorso il contribuente ha eccepito l’inammissibilità o improcedibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, con riferimento all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, sia perché la ricorrente ha riepilogato le doglianze del ricorso di primo grado in modo insufficiente, omettendo di riportarne le conclusioni, per cui dalla lettura del ricorso risulta difficile comprendere la ricostruzione dei fatti di causa e, soprattutto, le ragioni poste a fondamento delle tesi rispettivamente sostenute dalle parti, sia perché ha omesso la specifica indicazione degli atti processuali sui quali il ricorso si fonda.

L’inammissibilità del ricorso, secondo il controricorrente, deriva anche dall’omessa trascrizione del Regolamento pensionistico delle organizzazioni coordinate (art. 42), trattandosi di una fonte di diritto internazionale, non recepita nel nostro ordinamento, il cui testo avrebbe dovuto essere riportato per esteso nel corpo del ricorso per cassazione, nonché dall’omessa contestazione delle circostanze di fatto su cui i giudici di merito hanno fondato la decisione, tendendo l’unico motivo di ricorso ad una illegittima rivisitazione del merito della controversia, pacificamente escluso dall’ambito di azione del giudizio di legittimità.

2.1. Le eccezioni sollevate dal controricorrente devono essere disattese.

2.2. Nel ricorso per cassazione costituisce essenziale requisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, l’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, la cui mancanza, impedendo alla Corte di comprendere l’oggetto della pretesa ed il tenore della sentenza impugnata in coordinamento con i motivi di censura, determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (ex plurimis, Cass., sez. 2, 24/04/2018, n. 10072).

In particolare, il requisito della “esposizione sommaria dei fatti della causa” (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), che deve avere ad oggetto sia i fatti sostanziali che i fatti processuali necessari alla comprensione dei motivi, è in stretto rapporto di complementarietà con quello della “esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione” (art. 366 c.p.c., n. 4), essendo l’esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intelligibili, da parte della Corte, i motivi di ricorso formulati.

L’esposizione sommaria dei fatti della causa, per essere funzionale alla comprensione dei motivi, dev’essere “sintetica”, come si evince dal richiamo al suo carattere “sommario”, e, in ogni caso, deve essere assolta necessariamente con il ricorso e non può essere ricavata da altri atti, quali la sentenza impugnata o il controricorso, perché la causa di inammissibilità non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo, peraltro, riferibile ad un unico atto (Cass., sez. 6 – 3, 22/09/2016, n. 18623).

Nella specie, il ricorso per cassazione, seppure attraverso una riassuntiva esposizione dei fatti e dello svolgimento del processo, rispetta il “modello legale” apprestato dall’art. 366 c.p.c. e consente a questa Corte di avere contezza sia del rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia dello sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti, cosicché, in ossequio all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, dalla sua lettura è ben possibile non solo la ricostruzione della vicenda processuale, ma anche la individuazione sia delle questioni dibattute tra le parti, sia delle censure rivolte alla sentenza impugnata.

2.3. Neppure è ravvisabile la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6,. Occorre, al riguardo, rammentare che nel processo tributario di cassazione il ricorrente non è tenuto a produrre nuovamente i documenti, in ragione dell’indisponibilità del fascicolo di parte che resta acquisito, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 25, comma 2, al fascicolo d’ufficio del giudizio svoltosi dinanzi alla commissione tributaria – del quale è sufficiente la richiesta di trasmissione ex art. 369 c.p.c., comma 3 – ma deve rispettare, a pena d’inammissibilità del ricorso, il diverso onere di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass., sez. 5, 15/01/2019, n. 777; Cass., sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., sez. U, 3/11/2011, n. 22726).

Inoltre, come è stato chiarito dalle Sezioni Unite (Cass., sez. U, 5/07/2013, n. 16887), “non in tutti i motivi, però, si pone la necessità di far capo a documenti di cui faccia difetto la specifica indicazione, essendo questa richiesta solo in relazione alle censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti fungano da vero e proprio fondamento: cioè quando senza l’esame di quell’atto o di quel documento – non necessariamente da riprodurre per esteso nel corpo del ricorso, ma che deve essere indicato e poi allegato in modo tale da consentirne l’immediata reperibilità e l’agevole lettura da parte del giudice di legittimità – la comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonché la valutazione della sua decisività, risulterebbero impossibili”.

Nella fattispecie, la questione prospettata con il motivo di ricorso non esige la trascrizione o l’esame di un documento o di un atto processuale, ben potendo dalla lettura del solo ricorso per cassazione evincersi le ragioni che sorreggono la censura.

2.4. Quanto poi all’ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso derivante dall’omessa trascrizione del testo dell’art. 42 Regolamento pensionistico delle organizzazioni coordinate, è ben vero che l’obbligo del giudice di ricercare le fonti del diritto applicabili alla fattispecie dedotta in giudizio non opera con riferimento alle norme giuridiche secondarie ed agli atti amministrativi, nel cui ambito rientra il Regolamento di cui si discute (Cass., sez. 3, 29/09/2007, n. 20594; Cass., sez. 2, 20/07/2007, n. 16089; Cass., sez. 3, 12/02/2015, n. 2737; Cass., sez. 3, 18/02/2020, n. 3997), trattandosi di una fonte di diritto internazionale non recepita nel nostro ordinamento.

Non può sottacersi, tuttavia, che l’Agenzia delle entrate ha invocato l’applicazione di tale Regolamento al solo fine di rafforzare la propria tesi difensiva, trattandosi soltanto di uno degli argomenti difensivi richiamati a sostegno della prospettata interpretazione del D.P.R. n. 2083 del 1962, art. 8, comma 1, lett. c), con la conseguenza che la mancata trascrizione o allegazione del testo della fonte di diritto internazionale non può determinare l’inammissibilità del ricorso.

2.5. Va, pure, escluso che il mezzo di ricorso, così come formulato dall’Agenzia delle entrate, tenda surrettiziamente ad una non consentita rivisitazione del merito della controversia.

Come è stato di recente precisato da questa Corte (Cass., sez. 1, 14/01/2019, n. 640), “le espressioni violazione o falsa applicazione di legge descrivono e rispecchiano i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, ossia: a) il momento concernente la ricerca e l’interpretazione della norma regolatrice del caso concreto; b) il momento concernente l’applicazione della norma stessa al caso concreto, una volta correttamente individuata ed interpretata. In relazione al primo momento, il vizio dii violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella erronea negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non ha riguardo alla fattispecie in essa delineata; con riferimento al secondo momento, il vizio di falsa applicazione di legge consiste, alternativamente: a) nel sussumere la fattispecie concreta entro una norma non pertinente, perché, rettamente individuata ed interpretata, si riferisce ad altro; b) nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione (Cass., sez. 3, 26/09/2005, n. 18782). Ricorre in altri termini la violazione di legge ogni qualvolta vi è un vizio nell’individuazione o nell’attribuzione di significato ad una disposizione normativa; ricorre invece la falsa applicazione qualora l’errore si sia annidato nella individuazione della esatta portata precettiva della norma, che il giudice di merito abbia applicato ad una fattispecie non corrispondente a quella descritta nella norma stessa.

Dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass., sez. 11/01/2016, n. 195; Cass., sez. 5, 30/12/2015, n. 26110; Cass., sez. 5, 4/04/2013, n. 8315; Cass., sez. L, 16/07/2010, n. 16698; Cass., sez. L, 26/03/2010, n. 7394; Cass., sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313).

Nel caso in esame, la censura in discorso pone in discussione il significato e la portata applicativa della disposizione richiamata in rubrica, non estendendosi alla valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito e, pertanto, anche sotto tale profilo, il ricorso sfugge alla dedotta inammissibilità.

3. Il ricorso è fondato e va accolto.

3.1. I giudici di appello all’esito di una disamina dei presupposti richiamati dal contribuente a base della domanda di rimborso – non oggetto di specifica contestazione da parte dell’Ufficio finanziario – ha riconosciuto che gli emolumenti corrisposti al controricorrente direttamente dalla N.A.T.O. successivamente alla sua collocazione a riposo conservano natura retributiva e sono, per tale motivo, esenti da imposizione.

3.2. La decisione resa dalla Commissione regionale, che depone per il riconoscimento dei benefici fiscali ai redditi da pensione, qualora questi siano previsti per i redditi da lavoro dipendente, prende le mosse dai principi di diritto espressi dalla pronuncia della Sezione lavoro di questa Corte (Cass., sez. L, 27/04/1994, n. 3995), secondo cui “la funzione previdenziale di una prestazione pecuniaria non è sufficiente per qualificare di natura previdenziale il credito, occorrendo invece che sussista l’elemento strutturale della sua inerenza ad un rapporto giuridico distinto da quello di lavoro, ancorché connesso; di conseguenza, i trattamenti di pensione corrisposti dallo stesso datore di lavoro, e non da un centro autonomo d’imputazione di un distinto rapporto previdenziale, hanno natura di “retribuzione differita”, costituendo l’oggetto di obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro”, cosicché l’emolumento aggiuntivo, sulla base di tale orientamento, sfugge alla normativa che regola le pensioni e viene sottoposto alle norme tipiche del rapporto di lavoro in corso di svolgimento.

3.3. Come già affermato da questa Corte (Cass., sez. 5, 15/01/2019, n. 705; Cass., sez. 5, 14/02/2019, n. 4422; Cass., sez. 5, 16/09/2020, n. 19287), il citato D.P.R. n. 2083 del 1962, art. 8, comma 1, lett. c), ai fini della esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi, presuppone per l’applicabilità del beneficio due condizioni tassative, ossia che si tratti di “redditi derivanti da stipendi ed emolumenti” e che essi siano corrisposti al personale civile “dai Quartieri Generali Interalleati nella loro qualità di impiegati di detti Quartieri Generali”.

La disposizione normativa fa, quindi, esclusivo riferimento agli stipendi ed agli “emolumenti” percepiti in costanza del rapporto lavorativo, senza menzionare le pensioni corrisposte dopo la cessazione del medesimo.

3.4. Tale limitazione, come è stato evidenziato nella Risoluzione dell’Agenzia delle entrate del 16/12/2009, n. 285/E, trova la sua ratio nella funzione stessa della norma che ha lo scopo di prevedere un trattamento speciale in relazione alle finalità istituzionali perseguite dalle organizzazioni internazionali attraverso la loro struttura, della quale fa parte il personale in servizio, per cui tale regime agevolativo non trova applicazione per coloro che non vi prestano più la loro opera.

3.5. A supporto della diversa interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria soccorre il Regolamento pensionistico delle “Organizzazioni Coordinate”, tra le quali rientra la N. A.T.O., ed in particolare la disciplina dettata dall’art. 42 detto Regolamento (“Pensioni soggette alla legislazione fiscale nazionale”), laddove si prevede, al comma 1, che “la pensione e l’adeguamento sono tassabili quali redditi ai sensi della legislazione fiscale in vigore in tale paese” (comma 1), ossia sono assoggettate ad imposizione nello Stato di appartenenza in cui risiede il beneficiario e secondo le disposizioni contenute nella legislazione fiscale dello Stato stesso.

3.6. Il regolamento sopra richiamato, per quello che attiene il trattamento tributario delle pensioni erogate ai dipendenti della N. A.T.O., non introduce una disciplina difforme rispetto a quanto già previsto dalle fonti internazionali N.A.T.O.)., le quali, con riguardo alle esenzioni fiscali, escludono dalla tassazione i soli salari e gli emolumenti, e dunque quelle attribuzioni che sono erogate in costanza del rapporto di lavoro, senza fare mai riferimento al trattamento pensionistico.

3.7. Ciò si evince, in particolare, dalla lettura dell’Accordo di Ottawa del 20 settembre 1951 (ratificato con L. n. 1126 del 10 novembre 1954), il cui art. 19 utilizza i termini “salaries and emoluments”, come pure dall’art. X della Convenzione di Londra del 1951 (ratificata con L. n. 1335 del 1955) e dall’art. 7 Protocollo di Parigi del 28.8.1952 (ratificato con L. 30 novembre 1955, n. 1338), nei quali è assente qualsiasi riferimento al termine “pensione”.

3.8. La disciplina dettata dalla legge del 1962 non può, ovviamente, discostarsi da quella sovranazionale emergente dal richiamato art. 42 Regolamento pensionistico, in virtù del quale l’importo della pensione concorre alla formazione del reddito imponibile del percettore residente, considerato che il D.P.R. n. 2083 del 1962, art. 8, comma 1, lett. c), si configura come norma speciale di stretta interpretazione, il cui tenore letterale depone per l’applicabilità del beneficio solamente a coloro che rivestono la qualità di “impiegati” e con riguardo esclusivamente agli “stipendi ed emolumenti” percepiti.

3.9. Tale conclusione e’, d’altro canto, ulteriormente avvalorata dalla considerazione che lo schema pensionistico applicato alle cd. “organizzazioni coordinate” prevede anche il meccanismo del tax adjustment, ovvero del rimborso ai pensionati delle organizzazioni di circa il 50 per cento delle imposte sul reddito pagate sulla pensione, con ciò riconoscendo implicitamente la legittimità della tassazione delle pensioni stesse.

Lo stesso art. 42 Regolamento parla, inoltre, del calcolo e “dell’importo delle imposte sul reddito per tutti i beneficiari di pensioni che sono contribuenti nel paese interessato” (comma 3) e di “detrazioni e sgravi fiscali” per carichi familiari (comma 4), elementi tutti che evidenziano la esistenza di un regime diverso tra il trattamento economico esente in corso di rapporto, espressamente previsto dal citato art. 8, e quello non esente dopo la cessazione del rapporto, spiegabile solo con l’intento di limitare al massimo ogni forma di soggezione o pressione, diretta o indiretta, degli Stati membri sul singolo dipendente N. A.T.O.

3.10. La interpretazione letterale del D.P.R. n. 2083 del 1962, art. 8, comma 1, lett. c), che impone di attribuire la esenzione unicamente agli emolumenti derivanti dai rapporti di lavoro in corso di svolgimento, trova, peraltro, conferma nei principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 16098 del 18/8/2004 (che ha deciso in ipotesi analoga in cui era prevista l’esenzione per i redditi da lavoro prestato all’estero), secondo cui “i redditi da pensione sono equiparati ai redditi da lavoro dipendente solo ai fini della loro inclusione nella base imponibile, ma non anche ai fini della loro esclusione, per cui l’esenzione disposta per gli uni (quali, appunto, i redditi da lavoro dipendente prestato all’estero) non si estende, in mancanza di una espressa disposizione di legge, ai redditi da pensione derivanti dal medesimo lavoro”, e ciò in quanto “le norme fiscali che prevedono esclusioni o esenzioni sono regole di stretta interpretazione, che non trovano applicazione se non nelle ipotesi da esse espressamente contemplate”.

L’equiparazione dei redditi da pensione a quelli da lavoro dipendente e’, infatti, dettata dalla finalità di “omogeneizzare il relativo trattamento tributario” e non anche per estendere ai primi una disposizione speciale prevista solo per una categoria ben precisa di lavoro dipendente.

Peraltro, occorre rammentare che le Sezioni Unite, sempre nell’ambito di controversie di lavoro, hanno precisato che gli emolumenti pensionistici, anche qualora siano erogati dallo stesso datore di lavoro ed abbiano natura di “retribuzione differita”, conservano la loro funzione previdenziale e non sono esattamente equiparabili ai redditi da lavoro dipendente, perché “sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa” (Cass., sez. U., 1/02/1997, n. 974) e sono conseguentemente sottratti al criterio inderogabile di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro che caratterizza gli emolumenti da lavoro.

4. Nel caso de quo, la C.T.R. della Campania, affermando che il trattamento pensionistico percepito dal contribuente, avendo natura di “retribuzione differita”, è assoggettato alla medesima esenzione prevista per gli stipendi erogati in vigenza del rapporto di lavoro, ha introdotto, in via interpretativa, una eccezione al principio generale che prevede l’assoggettabilità delle pensioni ad imposizione fiscale, non espressamente prevista da una specifica disposizione di legge, violando in tal modo la regola della stretta interpretazione delle norme eccezionali sancita dall’art. 14 sulla legge in generale.

5. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

Le spese dei gradi del giudizio di merito e le spese relative al presente giudizio di legittimità, essendosi l’orientamento di questa Corte di legittimità consolidato in data successiva a quella di proposizione del ricorso, vanno integralmente compensate.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dal contribuente. Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

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