Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27962 del 14/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/10/2021, (ud. 15/09/2021, dep. 14/10/2021), n.27962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9194/2015 R.G. proposto da:

C.R.E., rappresentata e difesa dall’Avv. Tiziana Viccione,

come da procura speciale in calce al ricorso, elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’Avv. Francesco Oliveti, in Roma,

Via Cunfida n. 20 – Angolo Via della Giuliana;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 8677/34/2014, depositata il 13 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 settembre

2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto da C.R.E., esercente attività di parrucchiera, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Caserta (n. 43/15/2013), che aveva accolto solo in parte il ricorso presentato dalla contribuente contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, ai fini Irpef, per l’anno 2007, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), anche con l’utilizzo degli studi di settore. In particolare, il giudice di prime cure aveva accolto in parte il ricorso della contribuente, in quanto l’Ufficio, in sede di accertamento con adesione, aveva proposto un ridimensionamento dei ricavi, tenendo conto che l’attività veniva svolta in un piccolo paese di montagna di circa 1000 abitanti e la contribuente si era sottoposta ad un intervento chirurgico alla mano (tunnel carpale). Il giudice d’appello, confermando la decisione di prime cure, evidenziava che la contribuente aveva dichiarato un reddito di impresa pari ad Euro 3010,00, a fronte di ricavi pari ad Euro 4 544,00, con evidente antieconomicità della gestione imprenditoriale.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente, depositando memoria scritta.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione la contribuente deduce la “violazione e falsa applicazione della L. n. 177 del 2000, art. 6, della L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 3-bis, e del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5”, in quanto tali norme impongono, a pena di nullità dell’atto, l’avvio di un contraddittorio preventivo con il contribuente prima della notificazione dell’avviso di accertamento. Sarebbe stato, quindi, necessario contraddittorio con il contribuente. Peraltro, l’applicazione degli studi di settore impone il contraddittorio preventivo con Amministrazione finanziaria. Pertanto, sussisterebbero un “difetto di motivazione e violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c.”.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Invero, a prescindere dalla considerazione che non risulta che la contribuente abbia articolato tale motivo nel ricorso introduttivo del giudizio, con conseguente inammissibilità dello stesso, si rileva che l’accertamento dell’Agenzia delle entrate è fondato non solo sugli studi di settore e sulla conseguente incongruenza tra i dati di dichiarati e quelli fondatamente desumibili dallo svolgimento dell’attività imprenditoriale, ma anche sulla antieconomicità della gestione imprenditoriale, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d).

1.3. Il fatto che l’accertamento sia basato sullo studio di settore non esclude, dunque, che esso possa trovare anche altre giustificazioni, come nel caso di gestione antieconomica. Si è affermato, quindi, che un accertamento tributario può dirsi fondato su uno studio di settore solo nel caso in cui trovi in esso il suo fondamento prevalente. Ciò non si verifica quando, mediante l’utilizzo degli studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’Ente accertatore ad approfondire l’analisi, scoprendo altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata, raccogliendo l’Amministrazione finanziaria elementi gravi, precisi e concordanti, posti a fondamento dell’accertamento tributario (Cass., 5 dicembre 2019, n. 31814, Cass., 6 giugno 2019, n. 15344).

1.4. Per questa Corte, a sezioni unite, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635).

1.4. Pertanto, poiché l’accertamento non è fondato in via esclusiva sugli studi di settore, non era necessario alcun contraddittorio preventivo con la contribuente.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7”, con conseguente “omessa motivazione e violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c.”. In particolare, sarebbe stata omessa la “motivazione dell’atto tributario”.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Invero, a prescindere dalla circostanza, pure dirimente, che la ricorrente non ha riprodotto, neppure per stralcio, l’avviso di accertamento oggetto di impugnazione, non consentendo a questa Corte di comprendere appieno l’effettiva portata di tale avviso, con conseguente inammissibilità del motivo, emerge, però, dal controricorso che nell’avviso di accertamento era contestata anche l’antieconomicità della condotta imprenditoriale della contribuente, in quanto era stato dichiarato un reddito annuo di Euro 3.010,00, a fronte di ricavi per Euro 4544,00 (cfr. pagina 2 del controricorso “l’accertamento analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), si fonda sull’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili e dalle condizioni dell’attività svolta. In particolare, dall’esame dei dati indicati nel mod. Unico 2008 per il periodo di imposta 2007 si è rilevata una gestione antieconomica dell’attività, in quanto la ricorrente dichiarava un reddito di impresa pari a Euro 3.010,00 fronte di ricavi di Euro 4.544,00”.).

L’avviso di accertamento, dunque, risulta correttamente motivato con riferimento, non solo all’incongruenza con gli studi di settore, ma anche in relazione alla dedotta antieconomicità della gestione imprenditoriale.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39”, in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti che potessero far ritenere non dichiarati i ricavi, soprattutto in presenza di una contabilità attendibile. L’Agenzia delle entrate, invece, con l’avviso di accertamento non avrebbe evidenziato una molteplicità di presunzioni connotate dalla gravità, precisione e concordanza, essendosi limitata a verificare una discordanza tra il dichiarato e quanto accertabile in virtù degli studi di settore.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione e disapplicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito nella L. n. 427 del 1993”, in quanto l’Ufficio ha individuato nella sola condotta antieconomica dell’azienda la grave presunzione, non rinvenendosi altri dati nell’atto impugnato.

4.1. I motivi terzo e quarto del ricorso, che vanno congiuntamente esaminati per ragioni di stretta connessione, sono infondati.

4.2. Invero, la ricorrente chiede a questa Corte una nuova valutazione di merito, non consentita in sede di legittimità, in relazione agli elementi istruttori già congruamente valutati dal giudice d’appello.

4.3. Inoltre, deve rilevarsi che l’avviso di accertamento è fondato, oltre che sulle incongruenze emerse dagli studi di settore, anche sulla antieconomicità della gestione imprenditoriale. Deve, infatti, tenersi conto della circostanza che la contribuente ha dichiarato, per l’anno 2007, un reddito di Euro 3.010,00 a fronte di ricavi pari ad Euro 4.544,00. Peraltro, il coniuge della contribuente, L.P., per l’anno 2007, ha percepito a titolo di pensione solo la somma di Euro 54,00.

4.4.Peraltro, si rileva che per questa Corte l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purché preciso e grave (Cass., sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27552, che evidenzia l’abnormità della percentuale di ricarico; Cass., sez. 5, 25 ottobre 2017, n. 25257; Cass., sez. 5, 18 maggio 2012, n. 7871).

Si è affermato che, in tema di imposte sui redditi, la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non è di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base presuntiva, ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie – nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che aveva contraddetto, senza addure argomentazioni utili a proprio sostegno, il quadro emergente contrassegnato da una persistente perdita del profitto negli anni di esercizio di riferimento, un reddito di esercizio negativo, un esorbitante costo del lavoro, un incremento progressivo del costo del lavoro in misura inversamente proporzionale al “trend” degli utili – (Cass., sez. 5, 14 ottobre 2020, n. 22185).

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “contraddittorietà della motivazione” in quanto il giudice d’appello, pur condividendo i rilievi della contribuente, tanto che la Commissione provinciale aveva disapplicato l’automatismo dell’accertamento in base agli studi di settore, aveva però ritenuto immune da censure l’operato dei giudici di prime cure, confermando nella sentenza. In realtà, la ricorrente ha dimostrato che nell’anno 2007 non aveva potuto esercitare l’attività di parrucchiera a causa di un lungo periodo di degenza ospedaliera e convalescenza per interventi chirurgici (sindrome da tunnel carpale), con conseguenti terapie riabilitative. La situazione economica era, dunque, perfettamente in linea con i redditi dichiarati anche se modesti. L’antieconomicità della gestione non può essere considerata una presunzione idonea a giustificare l’accertamento analitico-induttivo e l’applicabilità della redditività media degli studi di settore. La pensione del marito ammontava, poi, ad Euro 1.600;00.

5.1. Il motivo è inammissibile.

5.2. La ricorrente chiede a questa Corte, in sede di legittimità, senza peraltro incasellare il motivo di ricorso nella griglia di cui all’art. 360 c.p.c., una nuova valutazione dei fatti di causa, correttamente valutati dal giudice di merito, non consentita dunque in questa sede. Inoltre, poiché la sentenza del giudice d’appello è stata depositata in data 13 ottobre 2014, quindi in epoca successiva all’entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pronunciate a decorrere dall’11 settembre 2012, il vizio di motivazione della sentenza di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere declinato come omesso esame di un fatto decisivo è controverso tra le parti, non essendo più consentita la doglianza di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

Invero, per questa Corte, a sezioni unite, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Nella specie, non v’e’ alcuna contraddizione tra affermazioni inconciliabili, in quanto il giudice di appello, dopo aver confermato la sentenza del giudice di prime cure, che aveva ridotto gli importi dovuti, discostandosi in qualche misura dalle risultanze degli studi di settore, ha però sottolineato anche l’antieconomicità della condotta imprenditoriale, tenendo conto pure delle condizioni di salute della contribuente, oltre che dalla pensione del coniuge pari ad Euro 1.600,00 mensili (cfr. pagina 1 della motivazione della CTR).

6. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare l’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidandole in complessivi Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

 

 

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