Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27960 del 07/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 07/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 07/12/2020), n.27960

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17912/2013 R.G. proposto da:

MABIMPEX s.r.l., in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura

speciale in atti, dall’Avv. Fabio Pace, con domicilio eletto presso

lo studio di quest’ultimo in Milano, Corso di Porta Romana, 89/b,

domiciliata in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 01/02/2013, depositata il 17 gennaio 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’8 ottobre 2020

dal Consigliere Dott. Michele Cataldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo

dichiararsi inammissibile, o in subordine rigettarsi, il ricorso;

uditi l’Avv. Fabio Pace per la ricorrente e l’Avv. dello Stato Davide

Giovanni Pintus per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.La Mabimpex s.r.l. ha impugnato, dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Milano, l’avviso d’accertamento con il quale, per quanto qui interessa, l’Agenzia delle Entrate, relativamente all’anno d’imposta 2004, previo invio di appositi questionari e valutazione della documentazione esibita in risposta dalla contribuente, ha rettificato ai fini Ires, Irap ed Iva – il suo reddito imponibile, determinando le maggiori imposte dovute in conseguenza, oltre agli interessi ed alle sanzioni, a seguito del disconoscimento dei costi relativi alle fatture passive emesse dalla Tralimenta Establishment, avente sede nel (OMISSIS), paese inserito nella lista di quelli a fiscalità privilegiata (c.d. black list).

L’Amministrazione ha fondato l’accertamento sul D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, commi 10 e 11, applicabile ratione temporis, il quale così disponeva:

“10. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti.

11. Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. L’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l’Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento. La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 10 è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti.”.

L’Ufficio ha infatti ritenuto che, tramite la documentazione prodotta in risposta al questionario inviatole, la contribuente non avesse fornito la prova liberatoria in ordine a nessuna delle circostanze esimenti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, predetto art. 110, comma 11.

Inoltre, l’Amministrazione, previo invio di apposito questionario, con il medesimo atto impositivo ha imputato alla contribuente, per lo stesso anno d’imposta, anche l’indebito utilizzo di un plafond Iva, recuperando di conseguenza a tassazione le maggiori imposte, oltre agli accessori.

2.La medesima Mabimpex s.r.l. ha impugnato, sempre dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Milano, l’atto di contestazione, sempre relativo all’anno d’imposta 2004, con il quale le veniva irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria per omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi, delle operazioni poste in essere con paesi a fiscalità privilegiata.

3.L’adita CTP ha riunito i ricorsi della contribuente, accogliendoli integralmente in ordine all’indeducibilità dei costi relativi alle fatture passive emesse da soggetti residenti in paesi a fiscalità privilegiata.

I ricorsi sono stati invece accolti solo in parte sia relativamente alle sanzioni, ritenendo la CTP applicabile esclusivamente quella per infedele dichiarazione; sia riguardo all’utilizzo del plafond Iva, che la CTP ha ritenuto indebito per un importo minore rispetto a quello accertato dall’Ufficio, con conseguente riduzione della maggior imposta pretesa.

4. L’Ufficio ha quindi impugnato la sentenza di primo grado dinnanzi la Commissione tributaria regionale della Lombardia.

La contribuente ha proposto appello incidentale avverso il capo della sentenza che le attribuiva, sia pur in misura inferiore a quella accertata dall’Ufficio, l’indebito utilizzo del plafond Iva, senza ritenere che l’importo ripreso a tassazione fosse detraibile; ed avverso l’ulteriore

capo che aveva comunque ritenuto applicabile la sanzione per infedele dichiarazione.

L’adita CTR, con la sentenza n. 01/02/2013, depositata il 17 gennaio 2013, ha accolto integralmente l’appello dell’Ufficio.

5. La contribuente ha allora proposto ricorso, affidato a dieci motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.

6. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Pare opportuno premettere che, con riferimento all’anno d’imposta controverso, la presunzione legale relativa di indeducibilità dei costi, sulla quale si fonda l’accertamento, può essere è superata dal contribuente che riesca a dimostrare alternativamente: lo svolgimento prevalente di un’attività commerciale effettiva da parte della struttura organizzativa estera; ovvero la sussistenza di un effettivo interesse economico sottostante alle operazioni, che abbiano concreta esecuzione.

Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, “In tema di reddito d’impresa, l’abolizione del previgente regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. black list), prevista dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 301, 302 e 303 ha carattere retroattivo, sicchè la deducibilità risulta subordinata solo alla prova dell’operatività dell’impresa estera contraente e della effettività della transazione commerciale, mentre la separata indicazione di detti costi è degradata ad obbligo di carattere formale, passibile unicamente di sanzione amministrativa” (Cass. 27/03/2015, ex plurimis).

Invece, sempre ratione temporis, il requisito dello svolgimento prevalente di un attività commerciale effettiva continua a far parte della fattispecie legale astratta applicabile, poichè è venuto meno solo a decorrere dall’anno di imposta 2015, a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche di cui al D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5 (Cass. 22/02/2019, n. 5264).

2.Con il primo motivo, la ricorrente contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa o insufficiente motivazione sul punto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dall’assunta mancanza di motivi specifici nell’appello erariale.

Giova premettere, anche ai fini della trattazione dei successivi motivi di ricorso, che la versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile a questo giudizio, in quanto vigente ratione temporis in relazione alla data della sentenza impugnata, è quella novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che configura il vizio esclusivamente come “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Tanto premesso, il motivo, come eccepito dalla controricorrente Agenzia, è inammissibile, in quanto la deduzione, come motivo di ricorso per cassazione, di una questione che involga l’applicazione di una norma processuale non può farsi sotto il profilo del vizio di motivazione, atteso che, in ordine alla detta questione, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto, potendo essa procedere all’apprezzamento diretto delle risultanze istruttorie e degli atti di causa, al fine di individuare il giudice competente (Cass. 28/10/2005, n. 21080; Cass. 08/03/2007, n. 5351).

Inoltre, il motivo è anche infondato.

Infatti, la valutazione – implicita nella decisione dell’impugnazione nel merito – della CTR in ordine alla sufficiente specificità del contenuto dell’atto d’appello (riprodotto nello stesso ricorso ed in parte nel controricorso), è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, nel processo tributario:

– la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass., 15/01/2019, n. 707);

– e, comunque, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (Cass., 20/12/2018, n. 32954).

3.Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “la insufficiente e/o omessa motivazione (…) sul punto controverso decisivo per il giudizio consistente nella idoneità dei documenti prodotti dal ricorrente a fornire la prova contraria rispetto alle presunzioni contenute nell’accertamento impugnato.”.

Il motivo è inammissibile, come eccepito dalla controricorrente.

Infatti, pur essendo applicabile a questo giudizio, come ante rilevato, la versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che configura il vizio esclusivamente come “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, la censura invece investe, anche sotto il profilo giuridicamente non più rilevante dell'”insufficienza”, la motivazione con riferimento non ad un “fatto”, ma ad un “punto”, che individua complessivamente nella valutazione del merito compiuta dal giudice a quo in ordine all’assolvimento della prova contraria gravante sul contribuente, alla quale la ricorrente pretende di sostituire la propria.

Al riguardo, come questa Corte ha avuto occasione anche recentemente di ribadire, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. 06/09/2019, n. 22397).

E’ quindi inammissibile il motivo, nel corpo del quale (dopo la riproduzione della sentenza impugnata, dell’elenco della documentazione prodotta in primo grado dalla contribuente e delle deduzioni delle parti nel giudizio d’appello) si ripete più volte, apoditticamente, che se la CTR avesse esaminato “in modo completo” i documenti prodotti, la decisione sarebbe stata con certezza diversa e favorevole al contribuente.

Infatti, “E’ inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito.” (Cass. Sez. Un. 27/12/2019, n. 34476).

Inoltre, il ripetuto richiamo, nel corpo del motivo, all'”insufficienza” della motivazione, che “non esplicita in modo esaustivo e completo” le ragioni della valutazione, evidenzia ulteriormente lo scostamento sostanziale della censura proposta dal modello legale tassativo applicabile, che non annovera il canone della mera “insufficienza”.

Tanto premesso, già sufficiente a determinare l’inammissibilità del motivo, deve poi darsi atto che alcuni di quei documenti di cui nel ricorso si lamenta l’esame non “completo” sono stati invece espressamente menzionati e valutati nella motivazione della sentenza impugnata, come la corrispondenza, anche bancaria, e le fatture dei fornitori stranieri. Non può, pertanto, sollecitarsi in questa sede un’inammissibile mera rivalutazione del loro apprezzamento in fatto, come operato dal giudice d’appello.

Tanto meno, poi, può legittimamente sindacarsi la selezione, tra le diverse risultanze istruttorie, di quelle ritenute dal giudice del merito idonee a fondare il suo convincimento in fatto: ” Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.” (Cass. 13/01/2020, n. 331).

E comunque ” Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa.” (Cass. 28/09/2016, n. 19150; conformi, ex plurimis, Cass. 26/06/2018, n. 16812; Cass. 05/12/2014,n. 25756), ovvero “delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale)” (Cass. 13/12/2017, n. 29883).

Nel caso di specie, la ricorrente è venuta meno alla puntuale ed argomentata indicazione delle specifiche ragioni per le quali l’esame di alcuni dei documenti che essa ha prodotto nel giudizio di merito avrebbe dovuto necessariamente condurre ad una decisione di segno opposto a quella che la CTR, motivando in fatto, ha adottato sulla base delle risultanze istruttorie che ha ritenuto più idonee a fondare il suo convincimento. E tale carenza, oltre che con riferimento ai documenti meramente elencati nel motivo, si riscontra anche rispetto a quelli autonomamente individuati, ai quali la rilevanza decisiva è attribuita in modo solo assertivo.

4.Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7. Il motivo è inammissibile, come eccepito dalla controricorrente.

Premessa l’incomprensibile invocazione, non altrimenti esplicitata, della norma processuale (il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7), sui poteri del giudice tributario di merito, il corpo del motivo ripropone di fatto le medesime censure di cui al secondo mezzo d’impugnazione, e comunque non attinge la ratio decidendi esposta nella decisione impugnata, nella quale l’attribuzione ed il contenuto dell’onere della prova nella materia de qua, per effetto della indiscussa applicazione della predetta presunzione legale e della prova liberatoria conformata dal legislatore, sono del tutto pacifici, come emerge dallo stesso ricorso.

Non è quindi ammissibile la violazione di legge riferita all’art. 2697 c.c., perchè “In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.”. (Cass. 23/10/2018, n. 26769).

5.Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 cod. proc. civ., dell’art. 2697 c.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7.

Sostiene la ricorrente che il giudice a quo avrebbe violato il giudicato interno che si sarebbe prodotto a seguito della mancata impugnazione, da parte dell’Ufficio appellante, “dei capi della sentenza impugnata nei quali il giudice di prime cure aveva affermato che l’Ufficio non spiega perchè non considera sufficiente la documentazione ricevuta e che è evidente l’interesse economico della Mabimpex ad agire per suo tramite”. Quindi, la CTR avrebbe “eluso il giudicato in ordine alla prova proveniente dalla mancata contestazione (non impugnata dall’Ufficio”. Anche a prescindere dall’eccepita non puntuale individuazione dei parametri normativi in materia di giudicato e dall’equivoca sovrapposizione del riferimento, nella parte finale della censura, all’omessa pronuncia, il motivo è comunque infondato.

Infatti, va richiamato quanto già osservato, in sede di trattazione del primo motivo, in merito al contenuto dell’appello erariale, che appare idoneo ad investire criticamente l’intera decisione di merito di primo grado, compresi i suoi presupposti fattuali, e quindi anche le relative valutazioni effettuate dalla CTP.

Inoltre, a conferma ulteriore dell’effetto interamente devolutivo che l’appello ha avuto nel caso di specie, va ricordato che, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. 04/02/2016, n. 2217), “Ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico. Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione.”.

Inoltre, deve considerarsi che il giudicato interno può formarsi solo su capi di sentenza autonomi, che cioè risolvano una questione controversa avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; mentre sono privi del carattere dell’autonomia i meri passaggi motivazionali, ossia le premesse logico-giuridiche della statuizione adottata, come pure le valutazioni di meri presupposti di fatto che, unitamente ad altri, concorrono a formare un capo unico della decisione (Cass. 04/10/2018, n. 24358; Cass. 31/01/2018, n. 2379; Cass. 18/09/2017, n. 21566); sicchè l’acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata non si verifica quando queste si pongano in nesso conseguenziale con altra e trovino in essa il suo presupposto (Cass. 23/09/2016, n. 18713; Cass. 25/06/2020, n. 12649).

Nel caso di specie, con riferimento all’oggetto della censura della ricorrente, non ricorrono le predette caratteristiche del preteso giudicato.

Tanto premesso, va altresì rilevata l’inammissibilità del quarto motivo anche nella parte in cui, attraverso la ripetizione dell’invocazione di parte delle medesime norme richiamate nel terzo motivo, intenda riproporre le censure di quest’ultimo, dovendosi allora rinviare alle già rilevate ragioni di inammissibilità.

6.Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione o falsa applicazione dell’art. 76 t.u.i.r. (vigente negli anni 2002 e 2003), e art. 110, (vigente nell’anno 2004)”, la sentenza impugnata “avendo escluso che i documenti prodotti dalla ricorrente non siano idonei a fornire la prova contraria.”.

Il motivo (pure a prescindere dall’incongruo riferimento anche alla disciplina legale che contemporaneamente assume inapplicabile all’anno d’imposta, il 2004, sub iudice) costituisce, come palesato nel corpo dello stesso, la riedizione del precedente secondo motivo e, come quest’ultimo, è inammissibile, come eccepito dalla controricorrente. Infatti, “E’ inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito.” (Cass. Sez. Un. 27/12/2019, n. 34476)

7.11 sesto motivo, per motivi di ordine logico, va trattato successivamente, unitamente al nono ed al decimo.

8.Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della tabella A), parte II, allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per non avere il giudice a quo, ai fini dell’accertamento del superamento del plafond Iva, ritenuto applicabile l’aliquota agevolata del 4%, relativamente agli acquisti della contribuente che avevano per oggetto concentrato di pomodoro.

9.Con l’ottavo motivo, la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa o insufficiente motivazione sul punto controverso per il giudizio consistente nell’asserito indebito utilizzo del plafond.

9.1. Il settimo e l’ottavo motivo vanno trattati congiuntamente

per la loro connessione e sono fondati, nei limiti che si diranno.

E’ opportuno premettere che, a differenza di quanto ritenuto per motivi antecedenti, nel caso dell’ottavo motivo la formulazione, nella rubrica, della censura in termini non conformi alla versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile a questo giudizio ratione temporis, non ne determina di per sè sola l’inammissibilità.

Infatti, dal corpo del motivo si ricava che, nel caso di specie, la ricorrente sostanzialmente non censura genericamente la valutazione della CTR circa i presupposti di fatto del superamento del plafond Iva; nè sostiene meramente che si tratti di un’ apprezzamento fattuale “incompleto” o “insufficiente”; nè, infine, si limita a contrapporre una propria diversa versione dei fatti a quella accertata dal giudice a quo, sulla base dei mezzi istruttori che quest’ultimo abbia eventualmente selezionato ed indicato come idonei a sostenere la tesi dell’Ufficio.

Piuttosto, la ricorrente lamenta la totale omissione, da parte della CTR, della motivazione in ordine ai presupposti fattuali del rilievo in questione ed alla conseguente applicazione della norma invocata dall’Amministrazione.

Il motivo, traducendosi nella sostanza della denuncia di una omissione totale di motivazione sul punto, è ammissibile è fondato.

Infatti, la lettura dei paragrafi della motivazione della sentenza d’appello sulla questione del plafond Iva, e su quella correlata dell’aliquota Iva applicabile in considerazione della natura quanto meno di una parte dei prodotti commerciati, rivela inequivocabilmente a che la CTR si è limitata ad argomentare in ordine alle ritenute carenze della

motivazione della sentenza di primo grado (” sul punto il Giudice di prime cure si dimostra generico…”; “… sulle aliquote IVA la sentenza appellata è generica e non incisiva cosicchè non si facilita l’attività di appello”; “…nè il Giudice di prime cure ripercorre criticamente la procedura di calcolo…”), addirittura attribuendo impropriamente alla CTP un onere di contestazione rispetto alle allegazioni erariali (“Non si rilevano insomma valide contestazioni da parte dei Giudici sui rilievi dell’ufficio…”).

Tali argomenti, tuttavia, potrebbero al più considerarsi adempimento dell’obbligo di motivazione, almeno entro la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, rispetto alla fase puramente rescindente del giudizio d’appello, ovvero, nel caso di specie, al fine di non confermare, in tutto o in parte, la decisione impugnata.

Priva invece di motivazione, anche minima, è rimasta la decisione di merito, sostitutiva di quella di primo grado, che la CTR ha adottato nel caso di specie, esercitando quella ulteriore funzione rescissoria che le imponeva e consentiva il mezzo d’impugnazione (sul cumulo, nel giudizio d’appello, davanti al medesimo giudice, delle fasi rescindente e rescissoria, cfr. da ultimo, ex plurimis, Cass. 17/04/2019, n. 10744). Nè peraltro, nel caso di specie, potrebbe logicamente ritenersi che la motivazione della diversa decisione di merito adottata in appello sia implicita nelle critiche mosse dalla CTR alla non confermata sentenza della CTP. Infatti, con riguardo alla fattispecie sub iudice, il mero rilievo della genericità della sentenza appellata non comporta necessariamente la condivisione, nel merito, della tesi erariale all’esito dell’esame delle contrapposte difese delle parti e del materiale istruttorio.

Deve ravvisarsi, pertanto, la mera apparenza, se non la totale omissione, della motivazione della sentenza impugnata in ordine ai presupposti fattuali del rilievo in materia di Iva, con conseguente accoglimento dell’ottavo motivo ed assorbimento del settimo (atteso che, tra gli elementi relativi al calcolo del plafond, era controversa anche l’aliquota applicabile, a sua volta dipendente in fatto anche dalla natura quanto meno di una parte dei prodotti oggetto delle relative operazioni commerciali).

La sentenza va quindi cassata in parte qua, con rinvio al giudice a quo.

10. Con il sesto e con il nono motivo, la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione in ordine alle censure, sollevate dalla ricorrente nel giudizio di merito e riproposte in appello, in ordine, rispettivamente, alla carenza di motivazione dell’atto impositivo, relativamente alla parte in cui esso irroga le sanzioni pecuniarie; ed alla irrogazione della sanzione pecuniaria per infedele dichiarazione, piuttosto che per dichiarazione irregolare. Tali motivi vanno trattati congiuntamente, per la loro connessione, e sono fondati.

E’ opportuno premettere che anche nel caso del sesto e del nono motivo la formulazione, nella rubrica, della censura in termini non conformi alla versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile a questo giudizio ratione temporis, non ne determina di per sè sola l’inammissibilità.

Infatti, dal corpo dei motivi si ricava che, nel caso di specie, la ricorrente lamenta la totale omissione, da parte della CTR, della motivazione in merito alle plurime questioni attinenti le sanzioni, sollevate e riproposte nei gradi di merito dalla contribuente.

I motivi, traducendosi nella sostanza della denuncia di una omissione totale di motivazione sul punto, sono ammissibili e fondati.

Infatti, la proposizione, e la riproposizione, delle predette questioni, nei gradi di merito, da parte della contribuente, risulta dalla riproduzione dei relativi atti processuali nel ricorso e comunque non è contestata dalla controricorrente.

Tuttavia la sentenza impugnata – che pure nello svolgimento del processo dà atto che le controdeduzioni dell’appellata ed appellante incidentale s.r.l. investivano altresì le sanzioni – ha reso sul punto una motivazione limitata esclusivamente al riscontro della sussistenza degli illeciti, presupposto oggettivo delle disposizioni sanzionatorie applicate, omettendo però integralmente ogni motivazione sulle ulteriori questioni proposte dalla contribuente. Nè può ritenersi che tale motivazione sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, dalla quale può ricavarsi unicamente l’avvenuta commissione degli illeciti sanzionati, non anche le ragioni del mancato accoglimento delle predette questioni sollevate dalla contribuente.

Pertanto, la CTR, accogliendo integralmente l’appello erariale, e confermando per l’effetto l’intero avviso d’accertamento, che contestualmente aveva irrogato le relative sanzioni, ha rigettato implicitamente anche le difese della contribuente riguardo queste ultime.

Tuttavia quest’ultima decisione, limitatamente al capo concernente le sanzioni, è totalmente priva di motivazione, anche implicita.

Giova, al riguardo, ricordare quanto questa Corte ha recentemente precisato (sia pur con riferimento ad un diverso contesto processuale) in ordine alla manifestazione, nella logica della decisione giudiziaria, del rigetto implicito e della motivazione implicita, ed alla relazione tra tali fattispecie: ” La motivazione implicita non può essere ridotta a decisione implicita. Quella presuppone questa, ma non viceversa. Una decisione implicita deve esserci perchè ci sia una motivazione (senza decisione non c’è motivazione), ma il fatto che ci sia una decisione implicita (rinvio per le conclusioni a fronte di una richiesta istruttoria), non significa che in essa è contenuta una motivazione implicita (che invece presuppone che si possa ricavare perchè il giudice, a fronte della richiesta istruttoria, ha mandato la causa alle conclusioni).” (Cass. 26/06/2019, n. 17066).

Nel caso di specie, nell’integrale conferma, da parte della CTR, dell’avviso d’accertamento può ritenersi implicito il rigetto delle censure che la contribuente, sin dal ricorso introduttivo, aveva indirizzato anche verso la parte dell’atto che le aveva irrogato le sanzioni; ma dalla motivazione della sentenza d’appello non può implicitamente ricavarsi quali siano le ragioni di tale rigetto.

Vanno quindi accolti i motivi in trattazione e la sentenza impugnata va cassata in parte qua, con rinvio al giudice a quo per ogni accertamento in fatto necessario.

11. Con il decimo motivo, la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione in ordine alle censure, sollevate dalla ricorrente nel giudizio di merito e riproposte in appello, in ordine, alla mancata considerazione della natura meramente formale della violazione relativa al superamento della soglia utilizzabile prevista dal plafond Iva ed alla sussistenza delle ragioni d’incertezza in ordine alla norma tributaria violata, che avrebbe giustificato la disapplicazione della relativa sanzione.

Il motivo, che risulta concentrato sulle sole sanzioni irrogate con l’accertamento a seguito della contestata violazione di indebita eccedenza nell’utilizzo del plafond Iva, è assorbito dall’accoglimento del settimo e dell’ottavo motivo, che incide sull’accertamento del medesimo rilievo sanzionato.

P.Q.M.

Accoglie il sesto, il settimo, l’ottavo ed il nono motivo, nei termini di cui in motivazione, dichiara assorbito il decimo e rigetta gli altri;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2020

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