Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27959 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. I, 30/10/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 30/10/2019), n.27959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29239/2018 proposto da

O.J., elettivamente domiciliato in Roma presso la

cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Marco Giorgetti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza 384/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA

depositata il 22/3/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/07/2019 dal Cons. Dott. MARULLI MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.J., cittadino nigeriano, ricorre a questa Corte avverso l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Ancona, attinta dal medesimo ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19 e art. 702-quater c.p.c., ha confermato il diniego di protezione internazionale ed umanitaria decretato nei suo confronti dal giudice di primo grado e ne chiede la cassazione sul rilievo: 1) del vizio di motivazione apparente che inficia il provvedimento impugnato, posto che il decidente si è indotto a rilevare la non credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente “sulla base di una valutazione del tutto personale, perciò sottratta ad una concreta possibilità di controllo, circa una presunta non verosimiglianza del racconto”; 2) della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5 e 7 e D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 27, comma 1 e del vizio di motivazione, atteso che il decidente avrebbe dovuto accertare, avvalendosi dei suoi poteri istruttori anche ufficiosi, “l’effettività della tutela in Nigeria con riguardo alle persecuzioni perpetrate dalle numerose sette e confraternite”; 3) della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del vizio di motivazione dato che il decidente aveva fatto carico al ricorrente di un onere probatorio circa i fatti dal medesimo allegati, senza tuttavia procedere a “previa doverosa (perchè imposta dalla legge) disamina dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”; 4) della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del vizio di motivazione vera che il decidente non avrebbe “adeguatamente valutato la situazione oggettiva e attuale del paese di origine”; 5) del vizio di motivazione in relazione agli artt. 3 e 19 Cost., dal momento che il decidente non avrebbe “preso posizione alcuna circa un motivo di gravarne esplicitato dallo scrivente in relazione alla fede cristiana del ricorrente”.

Non ha svolto attività difensiva l’amministrazione intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Il primo motivo non ha fondamento e la sua infondatezza si riflette assorbendolo anche sul terzo motivo di ricorso.

Posto, invero, che il vizio in questione si concreta, secondo quel che si insegna abitualmente, nell’omessa indicazione da parte del giudice degli elementi da cui abbia tratto il proprio convincimento ovvero nell’indicazione dei medesimi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, nella specie l’impugnato provvedimento, pur ove possa credersi che abbia attinto a precedenti deliberati, non è comunque venuto meno all’ufficio della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che lo hanno indotto a decretare l’inattendibilità del narrato di parte ricorrente, evidenziandone in particolare, insieme al mancato apporto chiarificatore delle dichiarazioni rese in sede di audizione, l’inverosimiglianza con specifico riferimento ai riti della magia nera di cui egli sarebbe rimasto vittima a seguito del rifiuto di succedere nel ruolo di shamano al padre dopo la sua uccisione ed il carattere stereotipato con riferimento ancora ai condizionamenti di fonte rituale e alla sottrazione all’arresto per opera di un vicino.

3. Infondato è pure il secondo motivo, leggendosi nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. VI-I, 27/06/2018, n. 16925) che il dovere di cooperazione istruttoria, a cui la legge chiama il giudice delle protezione internazionale in ragione dell’onere probatorio attenuato che grava sul richiedente, sorge e si configura quando la valutazione di credibilità del ricorrente, condotta secondo gli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, metta capo ad un giudizio positivo, onde non se può lamentare il mancato esercizio se quella valutazione si sia invece, come qui, risolta in un giudizio negativo.

4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile poichè – ove la doglianza non debba considerarsi anch’essa assorbita per effetto dell’infondatezza del secondo motivo atteso che il dovere di cooperazione istruttoria viene meno, in caso di inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente anche quando egli denunci il rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Cass., Sez. VI-I, 19/02/2019, n. 4892) – quanto oggetto di essa non è prospettabile nè come violazione motivazionale, non compendiando essa un vulnus apprezzabile alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente, nè tantomeno come violazione di legge, postulando questa la fermezza del fatto oggetto di ricognizione normativa ed è perciò più esattamente espressione di un dissenso valutativo che non può essere fonte di un vizio cassatorio.

5. Il quinto motivo è parimenti inammissibile poichè, fermo che la circostanza non è stata comunque ignorata dal decidente (se ne fa cenno alle pagg. 4 e 9), chiama la Corte a sindacare il giudizio di fatto a cui ha proceduto il decidente di merito, ancorchè notoriamente spetti solo a lui selezionare le fonti del proprio convincimento e scrutinare, tra le argomentazioni sottopostegli dalla parti, quelle più idonee a suffragare il proprio convincimento.

6. Il ricorso va dunque nel suo complesso giudicato privo di fondamento e quindi va per questo respinto.

7. Non si fa luogo alla liquidazione delle spese dato che l’amministrazione intimata non si è costituita e non ha svolto perciò alcuna attività processuale.

Non ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, godendo il ricorrente del patrocinio gratuito a spese dello Stato.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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