Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27956 del 31/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 31/10/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 31/10/2018), n.27956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7905-2014 proposto da:

EQUITALIA CENTRO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCO MARIA VALERIO RIGI LUPERTI giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.M., R.O., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato SABINA CICCOTTI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHRISTIAN

LUCIDI giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 588/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 23/09/2013 R.G.N. 729/2012.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di appello di Ancona, con sentenza del 23.9.2013, respingeva gli appelli proposti da Equitalia Centro s.p.a. avverso le decisioni del Tribunale di Ascoli Piceno che avevano rilevato per i ricorrenti C.M. e R.O. la carenza di valido progetto nei consecutivi contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto ed applicato la presunzione assoluta stabilita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 2, nel senso di considerare le prestazioni di messo di notificazione di atti esattoriali svolte dai predetti nei termini di lavoro subordinato a tempo indeterminato, escludendo per il periodo intermedio, tra la costituzione in mora e la pronunzia della sentenza, ogni risarcimento;

2. esclusa la configurabilità di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, rilevava la Corte che, mentre nel progetto la finalità essenziale era indicata nell’aggiornamento dei dati anagrafici e quindi nella ottimizzazione dei percorsi stradali per una più celere esecuzione delle notifiche, in realtà entrambi i lavoratori erano stati comandati per l’esecuzione delle notifiche di atti, restando soggetti ai termini di scadenza, alle priorità imposte e potendo dedicare soltanto il tempo residuo all’aggiornamento delle posizioni informatiche. La concreta esecuzione delle prestazioni, non contestata dall’appellante, smentiva che i lavoratori avessero dato priorità alla finalità indicata nei progetti, onde, di fatto, i contratti avevano avuto una finalità elusiva della disciplina prevista per i rapporti di lavoro subordinato;

3. osservava la Corte che entrambi i lavoratori avevano ricevuto con c.nuità elenchi di atti da notificare e proceduto essenzialmente ai tentativi di notifica a domicilio, oppure nelle forme dell’art. 140 c.p.c., e ad ogni altra funzione del messo notificatore, che l’aggiornamento della base dati anagrafica dei contribuenti, con verifica delle rispettive risultanze anagrafiche, indicato nel progetto, aveva rappresentato nulla più che una diversa modalità delle mansioni affidate alle parti appellate, del tutto coincidenti con l’oggetto della attività della società appellante, e che sempre, se la notifica non andava a buon fine, era necessario l’aggiornamento delle risultanze anagrafiche;

4. aggiungeva il giudice del gravame che, considerata la finalità antielusiva della disposizione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 1, il progetto non poteva consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente e non potevano le mansioni consistere nello svolgimento continuativo di compiti meramente esecutivi e ripetitivi, dovendo la finalità del lavoro a progetto ravvisarsi nel raggiungimento di un risultato specificamente apprezzabile e distinguibile dalla semplice attuazione dell’attività dell’impresa. L’inosservanza del divieto connesso alla necessità di perseguimento di uno specifico progetto determinava, ai sensi dell’art. 69 D.Lgs. citato, la configurazione dei rapporti di lavoro come subordinati a tempo indeterminato sin dalla loro costituzione, essendo la conversione determinata solo dalla carenza di uno specifico progetto – da gestire in autonomia da parte del collaboratore, senza vincolo di subordinazione ed in funzione del risultato nell’ambito di una durata determinata o determinabile – senza necessità di ulteriori accertamenti sulla natura del rapporto in essere.

5. di tale decisione domanda la cassazione Equitalia Centro s.p.a., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resistono, con controricorso, la C. e l’ O..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, sono dedotte violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed omessa e/o contraddittoria motivazione circa un punto della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, rilevandosi che, a fronte di un’evidente specificazione del progetto, non avrebbe la Corte dovuto spingersi a valutare le effettive mansioni svolte dai ricorrenti, se non dopo un’attenta valutazione delle stesse come descritte dalle parti nei loro scritti difensivi e dopo avere avviato una fase istruttoria. Il progetto era individuato nell’ampliamento ed aggiornamento della base dati anagrafica dei contribuenti con verifica delle risultanze anagrafiche, ampliamento gestione ed aggiornamento base dati stradario – contribuenti di agglomerati urbani a mezzo notifica di atti del servizio riscossione tributi della provincia di Ascoli Piceno.

2. si assume, in particolare: che i controricorrenti provvedevano ad aggiornare la base dati riportando la rispettiva certificazione al rappresentante del concessionario ed erano sempre stati remunerati in base al numero dei “pezzi” lavorati, non avendo alcun orario parificabile a quello dei lavoratori a tempo indeterminato del concessionario della riscossione, non erano sottoposti a vincolo gerarchico e non timbravano elettronicamente il badge di accesso, oltre a recarsi nei locali aziendali del tutto sporadicamente; che, una volta bonificata la base dati anagrafica, si tendeva all’individuazione dei percorsi; che l’ultimo contratto era stato poi opportunamente certificato presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Ascoli Piceno in data 22.2.2006 nel rispetto della normativa di riferimento e che non corrispondesse al vero che la società aveva ammesso quanto sostenuto dalla Corte;

3. con il secondo motivo, si lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69 e, richiamatosi il contenuto del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69 antecedente alle modifiche apportate dalla Legge Fornero, si osserva che, pur avendo la Corte del merito precisato l’irretroattività di queste ultime, aveva fatto applicazione della nuova normativa, ritenendo che la valutazione legale tipica effettuata dalla nuova normativa potesse valere anche per la disciplina previgente, indipendentemente dalla norma irretroattiva di interpretazione autentica. Si evidenzia che ciò aveva viziato l’esame condotto, essendo stato violato il principio del contraddittorio ed essendo stati valutati in conformità di disciplina successiva i progetti in considerazione;

4. si assume inoltre che, a fronte dell’esistenza di un progetto valido ed esistente, lo stesso era stato, invece, ritenuto irrilevante a fronte di una coincidenza del suo contenuto con le tipiche mansioni dei messi notificatori in rapporto di subordinazione, impedendosi ogni verifica processuale ed applicando una presunzione iuris et de iure, pure essendo consentita al datore una prova contraria e dovendo, pertanto, la presunzione considerarsi di carattere relativo;

5. omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio e violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 31 sono dedotte nel terzo motivo, contestandosi che, in relazione all’ultimo contratto oggetto di certificazione da parte della DPL di Ascoli Piceno, non sia stato esperito l’obbligatorio tentativo di conciliazione;

6. con il quarto motivo, ci si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1372 – insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla risoluzione per mutuo consenso, sulla base di un’asserita esistenza di una condotta non solo incompatibile sotto il profilo obiettivo con la funzionalità del rapporto di lavoro, ma anche incompatibile con l’esistenza, sotto il profilo psicologico, di un interesse delle parti resistenti alla ripresa dello stesso;

7. in primo luogo, si rilevano profili di inammissibilità del ricorso, riconducibili alla mancata specificazione della sede di produzione del contratto a progetto ed al rilievo che l’interpretazione del contratto è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, non solo con astratto riferimento alle regole legali di interpretazione previste dal codice civile che si assumono violate, ma attraverso la necessaria specificazione dei criteri in concreto non osservati dal giudice di merito e, soprattutto, del modo in cui questi si sia da essi discostato, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole;

8. in relazione al primo motivo, si osserva che il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, recante “Misure urgenti per la crescita del Paese” (c.d. decreto sviluppo), ha proceduto all’ulteriore riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 facendo riferimento all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, prevedendo, oltre ad una riformulazione in termini restrittivi, due ipotesi di esclusione, definite, rispettivamente, dell’art. 348-ter c.p.c., commi 4 e 5 introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54,comma 1, lett. a), ipotesi accomunabili nel riferimento alla minore impugnabilità della c.d. doppia conforme. Un’ipotesi riguarda il caso in cui il giudice di appello abbia dichiarato inammissibile l’impugnazione perchè sprovvista di “una ragionevole probabilità di essere accolta”, nel qual caso, “quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata”, il ricorso per cassazione – proponibile per saltum avverso la sentenza di primo grado – “può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4”. L’altra ipotesi deriva dall’estensione di questa disposizione “al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado”. Ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2 le regole sulla doppia conforme si applicano “ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012);

9. nella specie, si ricade anche temporalmente nella seconda ipotesi, ed in ogni caso la censura proposta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 è formulata secondo la vecchia formulazione non più in vigore;

10. quanto alle censure di cui al primo ed al secondo motivo, che denunciano errori in diritto, va osservato che l’interpretazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 69 eseguita dalla Corte territoriale è conforme a quella di legittimità secondo cui “il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61 prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale determinati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione; ne deriva che il progetto concordato non può consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nella previsione di prestazioni, a carico del lavoratore, coincidenti con l’ordinaria attività aziendale” (Cass. sez. lav. n. 17636 del 6.9.2016; conf. a Cass. sez. lav. n. 15922 del 25.6.2013);

11. si è, altresì, specificato (Cass. sez. lav. n. 8142 del 29.3.2017) che “in tema di rapporti D.Lgs. n. 276 del 2003, ex artt. 61 e ss. l’assenza del progetto di cui all’art. 69, comma 1, medesimo decreto, che ne rappresenta un elemento costitutivo, ricorre sia quando manchi la prova della pattuizione di alcun progetto, sia allorchè il progetto, effettivamente pattuito, risulti privo delle sue caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia”;

12. la Corte di merito ha chiarito che, affinchè il progetto potesse ritenersi specifico, determinato dal committente e gestito autonomamente dal lavoratore, era fondamentale che lo stesso non coincidesse con l’interesse finale dell’impresa e che fosse dotato di una sua compiutezza ed autonomia, oltre ad essere realizzato dal collaboratore con la propria prestazione e reso all’impresa quale adempimento della propria obbligazione;

13. ha ritenuto, tuttavia, che i compiti di cui al progetto erano coincidenti con l’oggetto delle attività della società, per essere l’attività di aggiornamento dei dati anagrafici connaturata ai compiti di notifica degli atti per la riscossione dei tributi e che l’inesistenza di un valido progetto aveva trovato riscontro nella stessa descrizione delle modalità di esecuzione delle prestazioni, che aveva evidenziato come l’aggiornamento dei dati costituisse una minima parte della complessiva attività dei controricorrenti;

14. rispetto alle premesse in diritto ed alla ricostruzione in fatto parte ricorrente lamenta nella sostanza una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, che non è sindacabile nella presente sede di legittimità se non veicolata dalla denunzia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, mal prospettato nella specie, come sopra osservato;

15. in tema di lavoro a progetto, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, (“ratione temporis” applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f)), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso” (cfr. Cass. sez. lav. n. 17127 del 17.8.2016; conf. a Cass. sez. lav. n. 12820 del 21.6.2016, richiamata da CAss. 24379/2017);

16. ciò consente di disattendere il rilievo che non era stata consentita verifica processuale applicandosi una presunzione iuris et de iure, dovendo osservarsi che l’ipotesi in esame è differente da quella in cui il progetto sia valido ma si accerti in fatto che il rapporto sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato e che alla diversità dei fatti costitutivi delle due distinte fattispecie corrisponde una diversa distribuzione di oneri probatori, così come articolatamente chiarito da questa Corte in vari precedenti (cfr., per una articolata disamina delle due ipotesi Cass. 10.5.2016 n. 9741);

17. il terzo motivo è connotato dalla novità della questione posta all’esame, non riportandosi i termini di formulazione della stessa già nelle precedenti fasi di merito, in dispregio del principio di specificità ed autosufficienza cui deve uniformarsi la formulazione dei motivi di ricorso:

18. con riferimento alla questione posta con il quarto motivo, alla stregua di indirizzo giurisprudenziale consolidato di legittimità, il solo decorso del tempo, in assenza di circostanze significative (essendo stati solo genericamente evocati, ma non specificamente dedotti “altri elementi indiziari” concorrenti), è inidoneo a costituire manifestazione di una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (Cass. 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass. 1 luglio 2015, n. 13535; Cass. 22 dicembre 2015, n. 25844) e, inoltre, si tratta comunque di valutazione, tanto del significato che della portata del complesso degli elementi di fatto acquisiti, di competenza del giudice di merito (Cass. 13 febbraio 2015, n. 2906) le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (Cass. 4 agosto 2011, n. 16932 con principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1; Cass. 12 dicembre 2017, n. 29781);

19. alla stregua delle svolte considerazioni, il ricorso deve essere complessivamente respinto;

20. le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate come da dispositivo, con attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario;

21. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%, con distrazione in favore dell’avv. Christian Lucidi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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