Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27953 del 23/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27953 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: LORITO MATILDE

ORDINANZA
sul ricorso 9202-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
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VANNI ANTONELLA, MANNI MARCO;

– intimati

avverso la sentenza n. 394/2012 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 05/04/2012 R.G.N.; 1396/09

Data pubblicazione: 23/11/2017

RILEVATO CHE
con sentenza in data 5/4/2012 la Corte d’appello di Firenze confermava le
pronunce, non definitiva e definitiva, rese dal giudice di prima istanza con
cui erano state accolte le domande proposte da Antonella Vanni e Marco
Manni nei confronti di Poste Italiane s.p.a., volte a conseguire declaratoria
di nullità del termine apposto ai contratti stipulati tra le parti ai sensi
dell’arti del D.Igs. n.368 del 2001 in relazione rispettivamente, al periodo
16/10/03-14/1/04 e 3/10/03-15/1/04; parzialmente riformava dette
pronunce in relazione alle domande risarcitorie, liquidando a tale titolo la
somma di quattro mensilità ai sensi dell’art.32 1.183/2010;
i contratti erano stati stipulati’ per ragioni di carattere sostitutivo, correlate
alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale
inquadrato nell’area operativa e addetto al servizio di recapito,
smistamento e trasporto presso il Polo Corrispondenza Toscana di Siena,
assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro;
avverso la suddetta sentenza, la spa Poste Italiane proponeva ricorso per
cassazione fondato su quattro motivi;
le parti intimate non hanno svolto attività difensiva;
CONSIDERATO CHE
1.con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art.1372
c. 1 e 2 c.c. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e nullità del
procedimento ex art.360 comma primo n.3, 4 e 5 c.p.c. con riferimento al
mancato accertamento della intervenuta risoluzione del rapporto inter
partes per mutuo consenso;
2. il motivo è infondato;
ed invero, questa Corte ha più volte affermato il principio alla cui stregua
“nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto,
affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del
comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative —
una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del
significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al
giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di
legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (vedi, ex plurimis,
Cass. 10/11/2008 n. 26935, Cass. 1/7/2015 n.13535, ed in motivazione
Cass.31/3/2015 n.6549);

n. r.g. 9202/2013

n. r.g. 9202/2013

nella specie la Corte d’Appello ha osservato che il decorso del tempo è solo
uno dei possibili elementi oggetto della indagine giudiziale, cui devono
aggiungersi ulteriori dati positivi ed univoci che obiettivamente depongano
per l’avvenuto scioglimento del contratto;
ha, quindi, rimarcato la mancanza di ogni diversa allegazione di altre
condotte del lavoratore, concludenti nel senso di una implicita volontà
solutoria del rapporto ed ulteriori rispetto al mero decorso del tempo;
la statuizione emessa dalla Corte territoriale, in quanto sorretta da congrua
motivazione e coerente con i dicta giurisprudenziali emessi sulla delibata
questione, si sottrae alle critiche formulate dalla società;
3. con il secondo motivo si denunzia – ai sensi dell’articolo 360 co. 1 n.5
c.p.c. – omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia nonché – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli articoli 12 disp. prel. c.c. 1419 cc., 1
D.Lvo 368/2001, 115 c.p.c. sul rilievo della erronea statuizione di
conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato;
4. anche questo motivo va disatteso;
secondo l’insegnamento di questa Corte, “l’art. 1 del d.lgs. n. 368 del
2001, anche anteriormente alla modifica introdotta dall’art. 39 della legge
n. 247 del 2007, ha confermato il principio generale secondo cui il
rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato,
costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel
sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale
legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di insussistenza
delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che
sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi
generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione
della disciplina contrattuale, nonché alla stregua dell’interpretazione dello
stesso art.1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria
1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale
dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla
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tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre che,
come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la
risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle
quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (cfr.Cass. 4/8/2011
n.16932);

n. r.g. 9202/2013

5. con la terza censura si deduce – ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.violazione e falsa applicazione dell’art. 1 D.Lgs. 368/2001, nonché nullità del
procedimento ai sensi dell’art.360 nr. 4 c.p.c. per aver la Corte di merito
ritenuto generica la clausola di apposizione del termine, giacchè l’obbligo di
specificità era stato assolto con la indicazione della ragione sostitutiva, delle
mansioni, della durata del contratto e dell’ufficio di applicazione del
dipendente;
6. la censura non è meritevole di accoglimento;
la Corte di merito, nel proprio incedere argomentativo, ha infatti rimarcato
come, secondo la deposizione testimoniale assunta in primo grado, fosse
emerso che alle esigenze sostitutive se ne erano affiancate altre correlate
ad una strutturale carenza di organico;
deve quindi ritenersi che la statuizione, nello scrutinare la effettività della
ricorrenza dei presupposti di legittimità della causale, secondo l’ambito di
valutazione che le competeva, reputava inadeguata la relativa prova;
tale apprezzamento, congruo sotto il profilo logico e corretto sul versante
giuridico, rientra nella sfera discrezionale devoluta al giudice di merito,
esulando dall’ambito della facoltà di controllo consentita in questa sede di
legittimità;
7. con il quarto motivo si denunzia – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 c.p.c.l’erronea applicazione dell’articolo 32 L. 183/2010 in ordine alla
quantificazione del danno scaturito dalla illegittimità del termine apposto al
contratto con specifico riferimento alla omessa applicazione del comma 6
della citata disposizione secondo cui”In presenza di contratti ovvero accordi
collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni
sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che
prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già
occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il
limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 (dodici mesi) è ridotto
alla metà” ;
8. il motivo è infondato;
ed invero, secondo i dicta di questa Corte ai quali si intende dare continuità
(vedi Cass.14/2/2014 n.3027), quel che rileva non è la circostanza che la
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Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine
ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso, consegue
l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto
di lavoro a tempo indeterminato” ( in questi sensi, vedi Cass. 27/3/2014
n.7244, Cass.21/5/2008 n.12985);

n. r.g. 9202/2013

società Poste abbia, in assoluto, stipulato accordi di stabilizzazione, quanto
la loro effettiva esistenza ed applicabilità al lavoratore al momento della
cessazione del rapporto (circostanza esclusa dalla medesima società), la cui
possibilità di aderirvi deve ritenersi il presupposto per la riduzione della
misura dell’indennità di cui al citato;
onde, sotto tale profilo la pronuncia impugnata non resta scalfita dal
presente ricorso, che va, pertanto, integralmente rigettato;
9. nessuna statuizione va, infine, emessa in punto spese, non avendo la
parte intimata svolto attività difensiva;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte della ricorrente, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r.
n,.115/2002, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115/2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13

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