Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27952 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. I, 30/10/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 30/10/2019), n.27952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1947/2018 proposto da:

E.F., elettivamente domiciliato in Roma presso

l’avvocato Maria Stefania Nasini, rappresentato e difeso

dall’avvocato Stefano Mannironi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza 928/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

depositata l’8/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/07/2019 dal Cons. Dott. MARULLI MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. E.F., cittadino (OMISSIS), ricorre a questa Corte avverso l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Cagliari, attinta dal medesimo ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19 e art. 702-quater c.p.c., ha confermato il diniego di protezione internazionale ed umanitaria decretato in primo grado e ne chiede la cassazione sul base di cinque motivi di ricorso, illustrati pure con memoria.

Non ha svolto attività difensiva l’amministrazione intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, artt. 4, 28 e 32, art. 97 Cost. e dell’omesso esame di un fatto decisivo. Il decidente avrebbe invero rigettato il motivo di appello afferente ai criteri di composizione della Commissione territoriale, alla mancata attribuzione al suo Presidente del compito di estensione della decisione e alla mancanza della certificazione del provvedimento adottato da parte del segretario negando la conferenza dei rilievi in relazione alla natura del procedimento, senza avvedersi che “il rispetto delle disposizioni previste dall’ordinamento giuridico italiano non è meno importante del diritto del richiedente ad ottenere la protezione richiesta”; in ragione del che, riconoscendo perciò la illegittimità del provvedimento impugnato, avrebbe dovuto disapplicarlo in adesione alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, diversamente dovendo eccepirsi l’illegittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., delle norme in rubrica e della L. n. 2248 del 1865, citati artt. 4 e 5.

2.2. Il motivo, anche laddove denuncia un preteso vizio di incostituzionalità nell’interpretazione fatta propria dal decidente, non ha fondamento.

Va qui ribadito a conforto della contestata decisione, il convincimento ancora di recente enunciato da questa Corte “che, in materia di protezione internazionale, il ricorso giurisdizionale proposto dal richiedente, all’esito negativo della fase amministrativa – nell’ambito della quale un collegio di esperti esamina la domanda previa sua audizione – non ha per oggetto un giudizio d’impugnazione del provvedimento della Commissione territoriale, ma il diritto soggettivo dell’istante alla protezione invocata”, sicchè il relativo giudizio non può concludersi con il mero annullamento del diniego amministrativo della protezione, in tesi, illegittimo, ma deve pervenire alla decisione sulla spettanza o meno del diritto alla stessa e ciò in quanto la legge stabilisce che la sentenza del Tribunale può contenere, alternativamente, il rigetto del ricorso ovvero il riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, o umanitaria e non prevede il puro e semplice annullamento della decisione della Commissione (Cass., Sez. I, 21/11/2018, n. 30105).

2.3. Nè, per vero si ha ragione di dubitare della legittimità costituzionale delle norme in indirizzo.

Inammissibile si rivela, in questa direzione, la pretesa violazione cui l’interpretazione anzidetta condurrebbe in relazione all’art. 97 Cost., poichè, ove non altrimenti assorbita dalle pregresse ragioni di infondatezza (Cass., Sez. I, 21/11/2018, n. 30105), difetta, nella prospettazione della relativa eccezione, l’illustrazione delle ragioni in guisa delle quali risulterebbero lesi i principi del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione, posto che la fase amministrativa del procedimento, per come è concretamente disciplinata dalla legge, non contrasta dette finalità, ma anzi ne assicura la puntuale realizzazione per mezzo di una regolazione dei singoli momenti che ne scandiscono l’iter in grado di garantire, nel superiore interesse del richiedente, l’efficacia delle procedure ed insieme la piena trasparenza dei meccanismi decisionali.

Altrettanto inammissibile si mostra la pretesa violazione allegata in relazione all’art. 3 Cost., facendo difetto nella sua prospettazione l’indicazione del tertium comparationis in rapporto al quale risulterebbe violato il principio di uguaglianza. E del tutto inconferenti sono poi le doglianze di incostituzionalità degli artt. 4 e 5 della legge di abolizione del contenzioso, non avendo dette norme costituito oggetto di applicazione nella specie.

3.1. Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. e) e art. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo. Il decidente avrebbe invero rigettato il motivo di appello afferente al mancato riconoscimento dello status di rifugiato, quantunque appartenente ad un gruppo sociale che non può avvalersi della protezione statuale nel paese di provenienza atteso il livello di corruzione diffuso negli apparati dello stato.

3.2. Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi hanno escluso la sussistenza di un pericolo persecutorio legittimante il riconoscimento dello status di rifugiato affermando che nel racconto del ricorrente non sono ravvisabili atti persecutori motivati da ragioni di razza, di nazionalità, di religione e di appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica.

Il motivo, senza offrire argomenti che facciano decampare la vicenda personale dal ricorrente dal quadro di una questione che, pur con significative implicazioni esteriori, resta comunque confinata in un ambito privato, non si confronta con le ragioni della decisione ed in particolare non ne censura la ratio, dato che omette di indicare quale delle diverse motivazioni persecutorie previste dall’art. 2, lett. e) siano ravvisabile nel caso specifico, mentre del tutto generico è il riferimento alla sua appartenenza ad un gruppo sociale che non potrebbe avere accesso alla protezione statuale.

4.1. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 16 e l’omesso esame di un fatto decisivo afferente al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, quantunque sia evidente l’esposizione del richiedente, in relazione alla vicenda narrata, al rischio di una pena capitale, ad un trattamento inumano e degradante se imprigionato nelle carceri del paese di provenienza e sia ricorrente nella specie una situazione di conflitto armato.

4.2. Il motivo è nel suo complesso inammissibile.

Le prime due allegazioni, integranti i casi regolati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), di cui la Corte d’Appello ha escluso la sussistenza nella specie non essendo provato che per i fatti commessi nel suo paese il ricorrente sia stato denunciato (il ricorrente “non ha mai parlato di denunce alle autorità”, “lo stesso ricorrente non ha saputo riferire se le autorità stessero svolgendo indagini”) sono frutto di un’illazione argomentativa, che, mentre colloca il motivo fuori dalla denunciabilità per cassazione dell’errore di diritto, anche dove mette capo ad una denuncia motivazionale, non deduce un “fatto” di cui sia stato omesso l’esame, ma un mero giudizio.

La terza allegazione, integrante il caso regolato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), di cui la Corte d’Appello ha escluso la sussistenza nella specie, corroborando il proprio giudizio a mezzo della consultazione di fonti informative specifiche, porta a rinnovare il sindacato di fatto condotto dal decidente di merito al riguardo. E’ noto infatti che “l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito” (Cass., Sez. I, 21/11/2018, n. 30105), mentre la residuale censurabilità per cassazione sotto il profilo motivazionale va qui esclusa non concretando l’illustrazione del motivo l’enunciazione di un “fatto” di cui sia stato omesso l’esame.

5.1. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo afferente al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, quantunque sia evidente che le minacce subite e l’inidoneità degli apparati statali del paese di provenienza a prestare la dovuta protezione, ove debitamente valutati, avrebbero dovuto portare ad una diversa conclusione, non diversamente del resto da quanto si era parimente allegato in relazione alla permanenza del ricorrente in Libia, riguardo alla quale il decidente non aveva inteso far uso dei poteri istruttori officiosi conferitegli dalla legge.

5.2. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’Appello ha escluso la sussistenza nella specie delle condizioni per far luogo alla misura qui reclamata rilevando la genericità delle deduzioni del ricorrente sul punto, limitatosi a richiamare la normativa in materia e ad asserire la situazione di instabilità interna dei paese di provenienza caratterizzata da gravi conflitti e attentati terroristici, senza omettere di rilevare, riguardo alla Libia, oltre alla novità della questione, che le situazioni tutelabili sono solo quelle del paese di origine.

Anche al riguardo si impone perciò di osservare che il motivo manca di confrontarsi con le ragioni della decisione, non formulando riguardo ad esse censure di carattere specifico in grado di incrinare il rilievo ostativo operato dal decidente, onde esso si risolve in una laconica perorazione a rinnovare il giudizio di fatto già sfavorevolmente operato dal decidente a supporto del rigetto pronunciato al riguardo.

5.3. Nè per vero si rivela condivisibile – stante il difetto nella specie di allegazioni pertinenti al riguardo – la doglianza riguardo alla Libia, posto che, seppure il riconoscimento della misura non possa ignorare anche la situazione del paese di transito, nondimeno occorre pur sempre evidenziare, ai fini di imporne la valutazione quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, diversamente derivandone l’inconferenza della relativa allegazione (Cass., Sez. VI-I, 20/11/2018, n. 29875) e, per riflesso, anche l’insussistenza della lamentata violazione dell’art. 8, dato che come si è precisato esso “deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte” (Cass., Sez. I, 21/11/2018, n. 30105).

6.1. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 136, comma 2 e della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 e l’omesso esame di un fatto decisivo afferente alla pronunciata revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio, motivato dal decidente sul presupposto della pretestuosità dell’iniziativa processuale dispiegata nella specie dal ricorrente, quantunque ciò dovesse escludersi alla luce delle vicende narrate dal medesimo e la statuizione fosse volta a scoraggiare la tutela giurisdizionale in favore dei meno abbienti.

6.2. Il motivo è inammissibile.

Ed invero, come ancora di recente statuito, “la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 della stesso D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con sentenza, sia” per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 del D.P.R. citato” (Cass., Sez. III, 8/02/2018, n. 3028).

7. In conclusione il ricorso va respinto.

8. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria.

Non ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, godendo il ricorrente del gratuito patrocinio a spese dello Stato.

PQM

Respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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