Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27951 del 23/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27951 Anno 2017
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: BOGHETICH ELENA

ORDINANZA
sul ricorso 17001 2012 proposto da:
RA.KNI EMILIO C.F. RPNMLE65A08F764K,

el ettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

38,

presso

lo studio dell’avvocato BARBARA AQUILANI,
rappresentato e difeso dall’avvocato GABRIELE RAPALI,
giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
3276

CE.DI. SISA CENTRO NORD S.P.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, PIAZZALE CLODIO 61, presso lo studio
dell’avvocato ANNA MATTIOLI, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato GIAN LUIGI POLATO,

Data pubblicazione: 23/11/2017

giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la

sentenza n.

D’APPELLO di L’AQUILA,

1025/2011

della CORTE

depositata il 05/01/2012

R.G.N. 1438/2010.

• n. 17601/2012 R.G.

RILEVATO
che con sentenza del 5.1.2012 la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma della
sentenza del Tribunale di Teramo, ha condannato la società CE.DI.SISA Centro Nord
s.p.a. alla restituzione delle somme trattenute a titolo di indennità sostitutiva del
preavviso a Emilio Rapini, ritenendo intervenuta una risoluzione del rapporto di lavoro
subordinato per mutuo consenso, confermando, per il resto, il rigetto delle domande

che avverso questa pronuncia ricorre il Rapini per cassazione prospettando sette
motivi di ricorso, a loro volta ulteriormente articolati ed illustrati da memoria;

che la società resiste con controricorso;
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art.
2909 cod.civ., nullità della sentenza per giudicato interno, vizio di motivazione
avendo, la Corte distrettuale, trascurato la formazione di giudicato interno sulla
illegittimità della sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per il
periodo 25.8-9.9.2005, profilo che avrebbe modificato radicalmente la valutazione
della sussistenza di un comportamento di mobbing;

che, con il secondo ed il sesto motivo, il ricorrente denunzia violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ. e degli artt. 2119 e 1372 cod.civ., nullità della
sentenza per vizio di ultrapetizione, avendo, la Corte distrettuale, trascurato che la
domanda proposta concerneva la sussistenza della giusta causa di dimissioni e
rinvenuto, per contro, lo scioglimento per «mutuo dissenso» del rapporto di lavoro;

che con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.
2697 cod.civ., 5 della legge n. 604 del 1966 e 116 cod.proc.civ., nonché vizio di
motivazione avendo, la Corte distrettuale, ritenuto provate tutte le contestazioni
disciplinari (ad esclusione di una) nonostante in primo grado il datore di lavoro,
costituito tardivamente avverso il secondo ricorso giudiziale proposto dal Rapini, non
avesse articolato alcun mezzo di prova per dimostrare la legittimità delle contestazioni
disciplinari del 22, 23, 25 agosto 2005;

che con il quarto motivo ed il quinto motivo deduce vizio di motivazione avendo, la
Corte distrettuale, trascurato di illustrare gli elementi probatori posti a fondamento
1

di risarcimento del danno per mobbing;

.. n. 17601/2012 R.G.

della ritenuta legittimità delle contestazioni disciplinari intimate al Rapini ed
insussistenza di un comportamento mobbizzante da parte dei superiori gerarchici;

che con il settimo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art.
2087 cod.civ. nonché vizio di motivazione lamentando che la Corte distrettuale non
ha valutato esaustivamente i singoli episodi di conflitto tra Rapini e i suoi superiori
(episodi analiticamente descritti da pag. 76 a pag. 142 del ricorso) ai fini

comportava la verifica, in ottemperanza agli obblighi di tutela sanciti dall’art. 2087
cod.civ., di ogni singolo comportamento datoriale nonché del quadro complessivo;

che il ricorso è inammissibile, in quanto le svolte censure si traducono in critiche ed
obiezioni avverso la valutazione delle risultanze istruttorie quale operata dal giudice
del merito nell’esercizio del potere di libero e prudente apprezzamento delle prove a
lui demandato dall’art. 116 cod. proc. civ. e si risolvono altresì nella prospettazione
del risultato interpretativo degli elementi probatori acquisiti, ritenuto dallo stesso
ricorrente corretto ed aderente alle suddette risultanze, con involgimento, così, di un
sindacato nel merito della causa non consentito in sede di ‘legittimità (cfr. in
motivazione, ex plurimis, Cass. 21 ottobre 2014 n.22283);

che, in conclusione, il ricorrente lamenta l’erronea applicazione delle disposizioni di
legge dettate in materia di riparto dell’onere probatorio, del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, della formazione di giudicato interno ed
illustra la carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta effettuata
dalla Corte territoriale, procedendo a contestare la valutazione delle risultanze di
causa. Il ricorrente, pertanto, non ha contestato al giudice di merito di aver errato
nella individuazione della norma regolatrice della controversia bensì di aver
erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, la ricorrenza
degli elementi costitutivi di una determinata fattispecie. Tale censura comporta un
giudizio non già di diritto, bensì di fatto, eventualmente impugnabile sotto il profilo del
vizio di motivazione. Sotto questo ultimo aspetto, la sentenza si presenta, peraltro,
immune da vizi logico-formali, essendosi dato esaustivamente conto delle condotte
tenute da entrambi le parti del rapporto di lavoro (il Rapini e i suoi superiori
gerarchici) tali da aver concorso ad ingenerare un rapporto conflittuale (con «aggravio
di responsabilità de/lavoratore»);

2

dell’individuazione di una condotta di mobbing adottata nei suoi confronti che

, n. 17601/2012 R.G.

che, quanto alle censure vertenti sulla omessa considerazione di fatti ritenuti decisivi,
costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi del’art. 360 cod.proc.civ., primo comma,
n. 5, (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art.
54, comma 1, lett. b, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134),
quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una
decisione diversa (Cass. n.18368 del 31 luglio 2013), e la nozione di decisività
concerne non il fatto sulla cui ricostruzione il vizio stesso ha inciso, bensì la stessa

ricostruzione e, dunque, inerisce al nesso di casualità fra il vizio della motivazione e la
decisione, essendo peraltro necessario che il vizio, una volta riconosciuto esistente, sia
tale che, se non fosse stato compiuto, si sarebbe avuta una ricostruzione del fatto
diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o
probabilità di essa. (v., ex plurimis, Cass. n. 3668 e 20612 del 2013);

che la Corte

distrettuale ha logicamente e congruamente motivato in ordine

all’assenza di un comportamento mobbizzante, ben consapevole della necessità di
esaminare i fatti nel suo complesso, avendo questa Corte affermato che integra il c.d.
mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta
nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo,
in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico,
e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di
lavoro di arrecare danni – di vario tipo ed entità – al dipendente medesimo (cfr Cass.
nn. 18836/1013; 17698/2014; 158/2016);
c ■-,6

che il ricorso va dichiarato inammissibile ebe spese di lite sono regolate secondo il
criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro
5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15°/0 ed accessori di
legge.
Così deciso nella camera di consiglio del 18 luglio 2017.

-to

idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinarne una diversa

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