Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27949 del 07/12/2020

Cassazione civile sez. I, 07/12/2020, (ud. 12/11/2020, dep. 07/12/2020), n.27949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5018/2019 proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Walter Galeotti, del Foro

di Forlì, come da procura in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di BOLOGNA n. 2076/2018,

pubblicata il 2 agosto 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 2 agosto 2018, la Corte di appello di Bologna, ha rigettato l’appello proposto da A.M., cittadino proveniente dal (OMISSIS), nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di Bologna del 25 ottobre 2016, che non aveva accolto le domande di protezione internazionale ed umanitaria.

2. Il ricorrente ha dichiarato di avere lasciato il Bangladesh per motivi prettamente economici e ha raccontato che i suoi fratelli lo maltrattavano e non gli volevano riconoscere una parte dei terreni che erano di suo padre e dei quali si erano impossessati completamente.

3. La Corte di appello di Bologna ha condiviso la valutazione operata dal Tribunale in ordine alle motivazioni meramente economiche riferite dal ricorrente e alla non credibilità dell’arricchimento del racconto effettuato in sede giudiziale, peraltro non confutata in sede di appello; che il giudizio di non attendibilità del dichiarante esimeva il giudice dall’onere di cooperazione, avuto particolare riguardo all’acquisizione di aggiornate informazioni sul paese di origine del ricorrente e che, in ogni caso, non vi erano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, stante anche la genericità delle affermazioni del ricorrente che aveva riferito di non essersi rivolto alla Polizia perchè il fratello era ricco e poteva pagare la Polizia; non sussistevano nemmeno le gravi ragioni umanitarie, non essendo state dedotte situazioni idonee ad integrare i motivi di protezione umanitaria, nè erano elementi significativi, a tal fine, le condizioni di povertà e la situazione sociale e politica del Bangladesh.

4. A.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

5. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2000, art. 8, comma 3 (rectius: 2008) per vizio di motivazione, perchè il Tribunale in primo grado e poi la Corte di appello hanno ignorato la situazione generale del paese di origine disattendendo i documenti prodotti, nonchè le dichiarazioni del richiedente asilo rese in sede di audizione.

1.1 Il primo motivo è infondato.

1.2 Come si evince dalla lettura della sentenza, la Corte territoriale ha condiviso la valutazione operata dal Tribunale in ordine alle motivazioni meramente economiche riferite dal ricorrente e alla non credibilità dell’arricchimento del racconto effettuato in sede giudiziale e che, in ogni caso, non vi erano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, stante anche la genericità delle affermazioni del ricorrente che aveva riferito di non essersi rivolto alla Polizia perchè il fratello era ricco e poteva pagare la Polizia.

1.3 I giudici di secondo grado hanno, quindi, compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale hanno ritenuto inattendibile la narrazione del richiedente, elemento questo di fondamentale importanza, poichè secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5″ (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Con la conseguenza che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e con l’ulteriore corollario che il giudice deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate.

Ciò nel rispetto dei principi affermati da questa stessa Corte sull’onere della prova in materia di protezione internazionale, materia che non si sottrae al principio dispositivo, pur nei limiti esposti in relazione al principio della cooperazione istruttoria del giudice, principio quest’ultimo che concerne il versante dell’allegazione e non quello della prova (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27336.

Ne deriva che il giudicante non può supplire attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi alle deficienze probatorie del ricorrente su cui grava, invece, l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza”.

Inoltre, “Una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

1.4 Con riguardo alla protezione sussidiaria, la Corte territoriale, in ragione della non attendibilità del dichiarante e della genericità delle minacce riferite, ha ritenuto insussistente il pericolo per il ricorrente di subire una delle forme di danno grave previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, affermando, altresì, che dalle fonti informative non risultava che il Bangladesh fosse attualmente interessato da una situazione di violenza indiscriminata quale quella descritta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Infatti è evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato art. 3” (Cass., 14 novembre 2018, n. 29358).

1.5 In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività.

Il ricorrente non solo, non indica quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di acquisire informazioni sulle condizioni sociali e politiche del paese di provenienza, senza spiegare neppure l’incidenza di tali fatti nella fattispecie in esame.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione per non avere ritenuto sussistenti il Tribunale in primo grado e poi la Corte di appello le condizioni per la concessione del permesso umanitario.

2.1 Il motivo è inammissibile.

2.2 Con specifico riferimento alla domanda di protezione umanitaria, i giudici di secondo grado, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, hanno evidenziato che gli elementi dedotti, quali le condizioni di povertà e la situazione sociale e politica del Bangladesh, non offrivano alcuna evidenza in ordine ad una peculiare situazione di vulnerabilità del ricorrente e non assumevano valore decisivo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

Il ricorrente, peraltro, anche in questa sede si è limitato ad una critica sterile indirizzata alla motivazione della sentenza, senza nulla aggiungere, in concreto, con riferimento alla posizione personale e ad una qualche situazione di vulnerabilità in grado di giustificare le ragioni umanitarie richieste per il permesso di soggiorno.

2.3 Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Ed infatti, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza e, tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

Così facendo, infatti, si prenderebbe altrimenti in considerazione, piuttosto che la situazione particolare del singolo soggetto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

3. Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2020

 

 

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