Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27945 del 23/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27945 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE FELICE ALFONSINA

ORDINANZA

sul ricorso 24641-2012 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA C.F. 8018440587, in persona
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI,
12;
– ricorrente contro
2017
3030

MONTELEONE MARIA ASSUNTA, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio
dell’avvocato BRUNO COSSU, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati SAVINA BOMBOI, PAOLO
TOFFOLI, giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 23/11/2017

- controrícorrente

avverso la sentenza n. 65/2012 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 27/04/2012 R.G.N. 143/2009;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

R.G. 24641/2012

RILEVATO

Che la Corte d’Appello di Trieste in data 27/04/2012, confermando la
sentenza del Tribunale di Pordenone n.103/2009, ha condannato il Ministero

transitato nei ruoli del Ministero della Giustizia, dal 1998, avendo usufruito
della mobilità volontaria, di cui all’art. 18, co.6, del d.P.R. n.465/1997,
nell’area della dirigenza ai sensi dell’art. 1, co. 49, I. n.311/2004.
Che avverso tale decisione ha interposto ricorso in Cassazione il Ministero
della Giustizia, affidando le sue ragioni a un unico motivo, cui si è opposta
Maria Assunta Monteleone con tempestivo controricorso.

CONSIDERATO

Che nell’unico motivo di censura il Ministero ricorrente lamenta la
violazione e/o falsa applicazione dell’art.1, commi 48 e 49 della I. n.311/2004,
deducendo che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che l’art. 1,
co. 49 della I. n. 311/2004 potesse applicarsi retroattivamente nei confronti dei
segretari comunali che, al momento della sua entrata in vigore, prestavano già
servizio presso altre pubbliche amministrazioni, con la qualifica di funzionari,
escludendo il loro diritto ad ottenere il diverso e più favorevole inquadramento
come dirigenti presso i medesimi enti in presenza di un’anzianità di servizio nel
ruolo superiore a tre anni.
Che la censura è fondata.
Che la questione è stata recentemente affrontata dalle Sezioni Unite di
questa Corte (sentenze n.n. 784, 785, 786/2016) perché ritenuta di
particolare importanza ai sensi dall’art. 374, co. 2, cod. proc. civ.
Che le Sezioni Unite, in seguito a una dettagliata ricostruzione del
quadro normativo e contrattuale in materia di procedure di mobilità dei
segretari comunali (disciplinate, inizialmente, dagli artt. 18 e 19 del d.P.R. n.
465/1997 e, successivamente, dall’art. 32, del c.c.n.l. per i segretari

della Giustizia a reinquadrare Maria Assunta Monteleone, segretario comunale

omunali e provinciali 1998-2001; dalla legge n.186/2004, di abrogazione
dell’art. 18 del d.P.R. n. 465/1997; dalla legge n.246/2005 d’interpretazione
autentica della I. n. 311/2004) hanno ritenuto che l’art. 1, co. 49, della legge
n. 311/2004 – che stabilisce la possibilità di reinquadramento e di accesso
alla dirigenza a seguito del passaggio ad altra P.A. – non sia applicabile ai
segretari comunali o provinciali trasferiti per effetto di procedure di mobilità

Che tanto affermano le Sezioni Unite, alla luce di un’interpretazione
letterale, sistematica e teleologica dell’art. 1, co.49, della I. n.311/2004.
Che tale inapplicabilità è primariamente desumibile dal tenore letterale
della norma (l’incipit del comma 49, che rinvia ai processi di mobilità
disciplinati dal comma 48; lo stesso comma 48, collegato al blocco delle
assunzioni previsto dal comma 47, che detta una disciplina derogatoria
rispetto al contratto collettivo di settore 1998-2001 e rivolta al futuro, in
quanto delimitata dalle regole che le parti sociali, in sede di rinnovo del
contratto collettivo, vorranno adottare; la previsione di un limite di spesa nel
comma 49) ma risulta altresì confermata da un’interpretazione sistematica e
teleologica della stessa all’interno del quadro normativo complessivo di
riferimento, il quale indica un graduale e costante processo di restrizione
nell’accesso alla dirigenza, incoraggiato sia dal legislatore che dalle parti
sociali.
Che i passaggi normativi, orientati al processo sopra richiamato sono
contenuti: nel d.P.R. n. 465 del 1997, norma regolamentare la quale aveva
previsto che, al dipendente che transitasse ad altra pubblica
amministrazione dovesse essere attribuita la qualifica di provenienza; nel
c.c.n.l. 1998-2001 per i segretari comunali e provinciali, il quale aveva da un
lato rivisto il sistema di classificazione della categoria, e, dall’altro, limitato
l’accesso alla dirigenza solamente ai segretari in possesso delle qualifiche più
elevate; nella legge n. 186 del 2004, che, nell’uniformare la mobilità dei
segretari comunali e provinciali alla disciplina generale introdotta dal T.U. sul
pubblico impiego (art. 30 d.lgs. n. 165 del 2001), era stata oggetto
d’interpretazione autentica poco dopo la sua emanazione da parte della

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già esaurite alla data di entrata in vigore della citata legge.

legge n. 246 del 2005, nella quale era accolto il principio di maggiore rigore
per cui, l’accesso alla dirigenza non avrebbe potuto più ritenersi la regola,
neanche per i segretari comunali e provinciali appartenenti alle qualifiche più
elevate.
Che interpretare, pertanto, il co. 49 dell’art. 1 della legge n. 311 del
2004 in maniera così estensiva, tale da imporre una generalizzazione

segretario svolto per almeno tre anni ed esercizio dell’opzione per la
mobilità, prevista dal d.P.R. n. 465 del 1997) equivarrebbe a introdurre
nell’ordinamento un fattore di stridente discontinuità rispetto alla più recente
evoluzione normativa e contrattuale in materia di mobilità dei segretari
comunali e provinciali. Né, a ben vedere, gioverebbe invocare il principio di
conservazione degli atti negoziali affermato dall’art. 1367 c.c., il quale
rappresenta un criterio sussidiario che non si attaglia all’interpretazione delle
fonti esterne, sia eteronome sia autonome, pur se volesse ammettersi che
all’entrata in vigore della legge n. 311 del 2004 fossero ancora in corso
procedure di mobilità.
Che il Collegio intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale
espresso nelle decisioni sopra richiamate, che hanno confermato le
conclusioni alle quali questa Sezione era già pervenuta con le sentenze n.n.
165/2014, 1047/2014, 1324/2014, orientamento ripreso dalle recenti
ordinanze n.n. 16521, 12035, 12034, 12033 e 7620 del 2016.
Che

le argomentazioni sviluppate dalle Sezioni Unite appaiono

confermate dalle riforme in itinere, dalle quali allo stato non si ricavano
elementi idonei a incidere sull’interpretazione seguita, andando il legislatore
– così come si desume dall’ampio contenuto della delega – nella direzione di
una rimodulazione a largo raggio degli assetti del personale della P.A. (da
cui emerge con sufficiente chiarezza l’intento di assecondare la tendenza
all’unificazione, alla soppressione ovvero all’istituzione di ruoli, gradi e
qualifiche e alla rideterminazione dei fabbisogni di personale, superando lo
strumento della pianta organica), secondo criteri sia di semplificazione sia di
valorizzazione del merito e della professionalità.

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dell’accesso alla dirigenza sulla base dei due requisiti ivi previsti (servizio di

Che neppure è ipotizzabile un’ingiustificata disparità di trattamento a
fronte di una disciplina diversificata in capo alla stessa categoria di soggetti
in momenti temporali diversi. L’eccezione d’illegittimità costituzionale
dell’art. 1, co. 49, della legge n. 311 del 2004 con riferimento all’art. 3
Cost., è stata ritenuta manifestamente infondata, oltre che per le ragioni già
indicate dalle Sezioni Unite (cfr. punti 60-64 sentenza n. 784, 59-62

affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui «lo stesso naturale fluire
del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche » (cfr.
fra le tante Corte Cost. n.n. 61/2010, 170/2009, 94/2009, 341/2007).
Che ragioni analoghe portano a escludere ogni eventuale contrasto con il
principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della CEDU, giacché,
anche a voler prescindere dalla questione dell’applicabilità della norma nelle
sole ipotesi in cui vengano in rilievo le altre norme sostanziali della
Convenzione preposte a tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (fra le più recenti Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo
contro Italia, § 54; 7 febbraio 2013, Fabris contro Francia, § 47; 22 marzo
2012, Konstantin Markin contro Russia), la giurisprudenza della Corte è
costante nell’affermare che una disparità di trattamento assume valenza
discriminatoria solo qualora «manchi di una giustificazione oggettiva e
ragionevole», «quando non persegua un fine legittimo» ovvero non sussista
«un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati ed il fine
perseguito» (Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, § 59;
25 ottobre 2005, Niedzwiecki contro Germania; 27 marzo 1998, Petrovic
contro Austria, § 30; 1° febbraio 2000, Mazurek contro Francia, § 46 e 48).
Che dette condizioni difettano laddove – come nel caso in esame l’inquadramento è stato disposto nel rispetto della normativa all’epoca
vigente in relazione alla quale il diritto di opzione era stato esercitato, per
cui nessuna compromissione dei diritti riconosciuti dalla Carta potrebbe mai
ravvisarsi, posto che il trattamento più favorevole per gli appartenenti alla
categoria, invocato quale termine di comparazione, è sopravvenuto in un
momento in cui la procedura di mobilità si era conclusa.

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sentenza n. 785, 60-64 sentenza n. 786), per il principio costantemente

Che ciò porta, pertanto, a escludere qualsiasi profilo discriminatorio della
disciplina in oggetto.
Che il ricorso è fondato e va accolto. La sentenza impugnata va cassata,
con l’adozione di pronuncia ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. di rigetto
dell’originaria domanda.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo
nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., rigetta l’originaria domanda;
le spese si compensano tra le parti per intero.

Così deciso nell’Udienza Camerale del 28/06/2017

Che le ragioni che hanno portato all’intervento delle Sezioni Unite,
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giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo”
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