Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27945 del 07/12/2020

Cassazione civile sez. I, 07/12/2020, (ud. 04/11/2020, dep. 07/12/2020), n.27945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.A., rappr. e dif. dall’avv. Nicola Viscanti,

viscanti0438.cert.avvmatera.it, elett. dom. presso lo studio, in

Matera, via Giacomo Matteotti n. 9, come da procura spillata in

calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e difeso

ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in

Roma, via del Portoghesi n. 12 è domiciliato;

– costituito –

per la cassazione della sentenza App. Cagliari 2.5.2019, n. 385/2019,

in R.G. 769/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 4.11.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. S.A. impugna la sentenza App. Cagliari 2.5.2019, n. 385/2019, in R.G. 769/2018 di rigetto dell’appello avverso l’ordinanza 22.5.2017 del Tribunale di Cagliari che a sua volta aveva rigettato l’impugnazione del provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. la corte, premettendo di dover circoscrivere l’appello solo alle questioni della protezione sussidiaria e umanitaria, stanti i limiti del gravame, ha ritenuto: a) non credibile il narrato, per contraddizioni rispetto alle versioni offerte dal richiedente (musulmano) rispetto alla pregressa sede amministrativa, nella quale l’allontanamento dal Bangladesh era stato prospettato unicamente con riguardo alla povertà, conseguente alla vendita di un terreno per curare il genitore e non anche alle minacce pretesamente subite ad opera del padre di una ragazza incinta (induista) e con matrimonio ostacolato, tanto più che le COI riportavano g piuttosto l’incapacità dello Stato di dare protezione non ai musulmani ma proprio alla minoranza induista; b) insussistenti conflitti armati ai sensi dell’art. 14, lett. c), D.Lgs. cit., non risultando segnalazioni in tal senso; c) infondata la richiesta di protezione umanitaria, per omessa allegazione e prova di elementi ulteriori rispetto a quelli recati a supporto delle altre forme di protezione, mancando altre situazioni di vulnerabilità o radicamenti apprezzabili in Italia, nè potendo costituire – stante anche la non credibilità – condizione di comparazione il generico richiamo alla povertà al rientro, tenuto conto della giovane età;

3. il ricorrente propone tre motivi di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, avendo omesso la corte di verificare il serio pericolo di vita in cui incorrerebbe il richiedente al rimpatrio, considerandone la credibilità e la esposizione a persecuzione, tenuto conto della situazione del Bangladesh;

2. con il secondo mezzo si deduce l’erroneità della sentenza ove ha escluso la protezione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nonostante il trattamento sanzionatorio cui sarebbe esposto il ricorrente al rientro;

3. con il terzo motivo si censura la violazione dell’art. 19 T.U. Immigrazione, posto che nessuna espulsione può essere disposta verso un Paese in cui lo straniero sia assoggettabile a persecuzione o minacce alla vita;

4. con il quarto motivo si invoca il vizio di motivazione sulla situazione del Bangladesh, per la sua povertà e sulla mancata concessione della protezione umanitaria per mancato esame adeguato della integrazione;

5. il primo motivo è inammissibile per la parte in cui espone, peraltro in modo del tutto generico, doglianze relative alla mancata concessione dello status di rifugiato, senza censurare in modo autosufficiente la decisione, laddove essa ha circoscritto il gravame alle altre forme di protezione, nel chiaro presupposto che la prima di esse non fosse stata rimessa in discussione, dopo la pronuncia del tribunale;

6. sotto altro profilo il motivo è inammissibile, alla luce del principio, pienamente osservato nella motivazione, per cui “del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali, tuttavia, fondandosi sull'”id quod plerumque accidit”, non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese, non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a), della medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sè inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza” (Cass. 20580/2019); va invero ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/20149);

7. il secondo motivo, al pari del terzo profilo del primo motivo, è inammissibile poichè, per un verso, il giudizio di credibilità (negata dal giudice di merito) orienta negativamente quello sulla protezione sussidiaria di cui alle lett. a) e b) di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, oltre che per la qualificazione siccome privato del conflitto prospettato e della ragione economica dell’allontanamento (per la parte di versione creduta); parimenti, non appare idoneamente censurata l’altra ratio decidendi su cui s’impernia il rigetto, e cioè l’assenza in Bangladesh, secondo le fonti indicate, di un conflitto armato ai sensi e per gli effetti di protezione invocati D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c);

8. esso invero rileva “solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 26094/2018); ciò determina l’assorbimento del terzo motivo;

9. quanto al quarto motivo, oltre a difettare di specificità laddove si richiama ad una generica situazione di povertà del proprio Paese senza una correlazione più diretta con la vicenda personale, la menzionata lacuna e le ragioni economiche dell’allontanamento mostrano di reagire negativamente anche sul giudizio proprio della protezione umanitaria, non permettendo di attuare una comparazione effettiva sulla situazione di vulnerabilità che graverebbe sul richiedente al rientro; non basta invero e in ogni caso la segnalazione di alcuni indici di inserimento in Italia, rispetto ai quali la motivazione della pronuncia impugnata comunque ha preso posizione, indicando in modo specifico la loro insufficienza, perchè labili e provvisori, non avendo oltre tutto il ricorrente allegato altre circostanze; nè il ricorrente – anche in questa sede – ha indicato altro fattore oltre alla sua presenza nel territorio italiano e la giovane età, così rispettando il principio per cui già Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), ha statuito che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″ (indirizzo ribadito da Cass. s.u. 29460/2019);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2020

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