Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27935 del 23/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27935 Anno 2017
Presidente: BALESTRIERI FEDERICO
Relatore: DE GREGORIO FEDERICO

ORDINANZA

sul ricorso 10184-2012 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585,in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo studio
dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e
difende,giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
2711

SAMPAOLESI PAOLA, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO
RIZZO, che la rappresenta e difende, giusta delega in
atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3145/2011 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 23/11/2017

di ROMA, depositata il 22/04/2011 RG 10291/06;

Il P.M.ha depositato conclusioni scritte.

10184/12 r.g. — c.c. 20.06.17

ORDINANZA

LA CORTE
esaminati gli atti e sentito il consigliere relatore;
RILEVATO che POSTE ITALIANE S.p.a. con ricorso in data 11-18 aprile 2012 ha impugnato la
sentenza n. 3145 del sei / 22 aprile 2011, mediante la quale la Corte d’Appello di ROMA aveva
respinto il gravame interposto dalla medesima società avverso la pronuncia emessa dal locale
giudice del lavoro, di accoglimento della domanda di conversione a tempo indeterminato di vari
contratti di lavoro subordinato a termine, il primo dei quali stipulato dal primo marzo 2000 fino
al 30 giugno dello stesso anno, nonché della connessa pretesa risarcitoria in proposito azionata

che il ricorso per cassazione di POSTE ITALIANE è affidato a quattro motivi motivi, variamente
articolati (con richiesta, ad ogni modo, di applicare lo jus superveniens di cui all’art. 32 L. n.
183/2010, in vigore dal 24-11-2010):
I. erronea motivazione in ordine agli artt. 1372, 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 c.c., nonché
100 c.p.c., relativamente all’esclusa risoluzione consensuale del contratto;
II. violazione e falsa applicazione dell’art. 23 L. n. 56/1987, dell’art. 8 c.c.n.l. 26 nov. 1994,
nonché degli accordi sindacali in data 25 settembre 1997, ed altri successivi fino a quello del 18
gennaio 2001 in connessione con gli artt. 1362 e ss., relativamente alla data del 30 aprile 1998,
individuata dal giudice dell’appello quale termine ultimo di validità e di efficacia temprale del
suddetto accordo integrativo 25-09-1997;
III. omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
ovvero in ordine alla fonte di individuazione della volontà delle parti collettive di fissare alla data
del 30 aprile 1998 il termine di efficacia dell’accordo 25 settembre 1997, atteso che dalla
motivazione non era dato comprendere in forza di quale ragionamento logico o di quale percorso
argomentatívo la Corte di Appello era approdata a tale decisione;
IV insufficiente e contradditoria motivazione in ordine all’applicabilità dell’art. 32 L. n. 183/2010,
contestando l’affermazione secondo la quale la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto
formato il giudicato in tema di risarcimento del danno, «in mancanza di apposito motivo di
gravame», per cui non era possibile applicare lo jus superveniens di cui all’art. 32, laddove la
società appellante nelle conclusioni del relativo ricorso aveva chiesto anche il rimborso di ogni
somma che nelle more del giudizio fosse stata corrisposta in forza della sentenza impugnata
provvisoriamente esecutiva, tenuto altresì conto della consolidata giurisprudenza formatasi in
materia prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina introdotta dall’art. 32. Ad ogni modo,
pur aderendo in astratto all’argomentazione sul punto svota dalla sentenza di appello, il
giudicato interno poteva formarsi soltanto su di un capo autonomo di sentenza, così da integrare
una decisione del tutto indipendente; ciò che non era avvenuto nel caso di specie, atteso che la
condanna al risarcimento del danno era stata disposta per effetto dell’impugnata declaratoria di
nullità del termine apposto al contratto, laddove però non si era nemmeno tenuto conto
dell’integrale portata della nuova disciplina in materia, applicabile a tutti i giudizi pendenti,
anche in sede di legittimità;

1

dall’istante SAMPAOLESI Paola;

10184112 r.g. — c.c. 20.06.17

VISTO il controricorso in data 23/24 maggio 2012 -con il quale la SAMPAOLESI ha resistito
all’impugnazione avversaria- seguito poi da apposita memoria illustrativa;
rilevato che risultano dati rituali e tempestivi avvisi alle parti dell’adunanza camerale fissata al
20 giugno 2017 ex art. 380-bis.1 c.p.c.;
esaminata, altresì, la requisitoria del Pubblico Ministero in data 17 maggio 2017, con allegata
peraltro altra precedente richiesta scritta del medesimo Ufficio requirente;
CONSIDERATO
che i primi tre motivi risultano ad ogni modo infondati alla luce del granitico orientamento

22489 del 04/11/2016, secondo cui in tema di mutuo consenso alla risoluzione del rapporto
di lavoro, non è sufficiente il mero decorso del tempo fra il licenziamento e la relativa
impugnazione giudiziale, essendo necessario il concorso di ulteriori e significative
circostanze, della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro; non costituiscono, da
sole, circostanze significative idonee ad integrare la fattispecie di tacita risoluzione
consensuale l’avere il lavoratore, nelle more, percepito il t.f.r., ovvero cercato o reperito
un’altra occupazione. In senso analogo id. n. 8604 del 03/04/2017.
Quanto poi al superamento della data del 30-04-1998, v. tra le altre, Cass. lav. n. 9259 del
09/04/2008, secondo cui l’art. 23 della legge n. 56 del 1987, nel consentire alla
contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi rispetto a quelle previste dalla legge n.
230 del 1962, non impone di fissare contrattualmente dei limiti temporali alla facoltà di
assumere lavoratori a tempo determinato, ma, ove un limite sia stato invece previsto, la
sua inosservanza determina la illegittimità del termine apposto, dovendosi ritenere,
diversamente opinando, che la clausola contenuta nell’accordo attuativo sia “senza senso”,
in violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ.; né – avuto riguardo alle
assunzioni effettuate oltre il 30 aprile 1998, limite temporale stabilito con l’accordo attuativo
del 16.1.1998, con cui era stato prorogato l’originario termine del 31 gennaio 1998 previsto
con l’accordo del 25 settembre 1997 – può attribuirsi efficacia sanante all’accordo del 18
gennaio 2001, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche
mediante lo strumento dell’interpretazione autentica, di intervenire su diritti indisponibili dei
lavoratori in quanto già perfezionati e, quindi, di autorizzare retroattivamente la stipulazione
di contratti a termine non più legittimi. In senso analogo: Cass. Sez. 6 – L, ordinanza n.
22015 del 28/10/2010; Sez. L, sentenza n. 9259 del 09/04/2008, id. n. 3116 11/02/2010; Sez. 6 – L, ordinanza n. 21355 del 15/10/2011);
che, per contro, va accolto soltanto il quarto motivo, limitatamente alla richiesta
applicazione dello jus superveniens di cui all’art. 32 L. n. 183/2010, restando assorbite sul
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interpretativo in materia consolidatosi presso questa Corte di legittimità (v. Cass. lav. n.

10184/12 r.g. — c.c. 20.06.17

punto le altre censure ivi formulate, atteso che l’impugnata pronuncia, non passata in
giudicato a causa dell’intervenuta tempestiva e rituale impugnazione, resta soggetta
comunque alle successive previsioni introdotte dalla L. 4 novembre 2010 n. 183 (c.d.
collegato lavoro), alla stregua dei principi affermati di recente dalle Sezioni unite civili di
questa Corte con la sentenza n. 21691 in data 5 luglio – 27 ottobre 2016, che ha accolto il
motivo di ricorso concernente l’applicazione dell’art. 32 cit., cassando quindi la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di merito per ogni

definito le menzionate questioni, affermando i seguenti principi di diritto:
1) l’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. deve essere interpretato nel senso che la violazione
di norme di diritto può concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della
sentenza impugnata, qualora siano applicabili al rapporto dedotto in giudizio perché dotate
di efficacia retroattiva. In tal caso è ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di
legge sopravvenuta;
2) il ricorso per violazione di legge sopravvenuta incontra il limite del giudicato. Se la
sentenza si compone di più parti connesse tra loro in un rapporto per il quale l’accoglimento
dell’impugnazione nei confronti della parte principale determinerebbe necessariamente
anche la caducazione della parte dipendente, la proposizione dell’impugnazione nei confronti
della parte principale impedisce il passaggio in giudicato anche della parte dipendente, pur
in assenza di impugnazione specifica di quest’ultima);
che, pertanto, l’applicazione dei succitati principi, segnatamente del secondo, anche al caso
qui in esame comporta raccoglimento della doglianza riguardante la violazione dell’art. 32,
commi 5-7, della L. 4-11-2010, n. 183 (comma quinto peraltro oggetto d’interpretazione
autentica dalla L. 28 giugno 2012, n. 92 con l’art. 1, comma 13, nel senso che la
disposizione di cui al comma 5 va intesa nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per
intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e
contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del
provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro),
e quindi la cassazione della sentenza de qua sul punto con rinvio al giudice di merito.
P.Q.M.
la Corte RIGETTA accoglie il quarto e ultimo motivo di ricorso, rigettati i primi tre;
CASSA la sentenza impugnata in relazione al solo motivo accolto e rinvia, quindi, alla
Corte di Appello di ROMA, in diversa composizione, anche per le spese4:1i questo
giudizio di legittimità.
IL PRESIDENTE
Così deciso in Roma il 20 giugno 2017
dr. Federico Balestrieri
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conseguente statuizione (le Sezioni civili, con ampia ed articolata motivazione, hanno

Ilnzionati o Giugl A rrio
/

•CORTE SUPREMA DI CASSAZIONW t
IV Sezione 111111111111111WiU

G:

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