Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27933 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. I, 30/10/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 30/10/2019), n.27933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18440/2018 proposto da:

D.L., elettivamente domiciliato in Roma Via Otranto, 12

presso lo studio dell’avvocato Grispo Marco che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale

Brescia;

– intimato –

e contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 38/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/06/2019 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

L.D., nato in Senegal, con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 impugnava dinanzi il Tribunale di Brescia, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il richiedente proponeva gravame, insistendo per il riconoscimento della protezione in tutte le sue forme, dinanzi alla Corte di appello di Brescia che lo respingeva.

Egli aveva riferito di provenire dalla regione di Casamance, in Senegal, di essere di religione mussulmana, di essere stato rapito dai ribelli del MFDC ed essere stato assegnato, una volta portato presso il loro accampamento, alla compagna del leader D.; di essere stato indotto dalla donna ad avere rapporti sessuali con lei, e di essere stato punito da D. che lo aveva scoperto; di essere stato, infine, aiutato a fuggire proprio dalla donna che gli aveva fornito anche il danaro.

La Corte, nel respingere l’appello, riteneva non credibile ed incoerente il racconto sulle cause della fuga.

Nell’escludere la possibilità di riconoscimento della protezione sussidiaria, ha ritenuto dirimente la circostanza che, sulla base del report di Amnesty Intenational 2017, non emergeva alcuna criticità con riferimento al conflitto che aveva interessato il Casamance; che il MFDC aveva dichiarato il cessate il fuoco unilaterale e che da allora vi erano stati sporadici scontri tra gruppi separatisti e forze di sicurezza; che anche sul sito (OMISSIS) era segnalata la progressiva normalizzazione del Casamance.

Ha, infine, negato la protezione umanitaria sulla considerazione che la richiesta era stata fondata sul narrato, ritenuto non credibile, rimarcando che non era stato nemmeno comprovato un significativo livello di integrazione sul territorio italiano.

Il ricorso è articolato in due mezzi; il Ministero dell’Interno e la Commissione Territoriale sono rimasti intimati.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,7,14,16 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo. Il ricorrente si duole che non sia stato ritenuto credibile il suo narrato e sollecita il riesame di fatti e valutazioni; si duole che sia stato escluso il rischio di subire trattamenti inumani o degradanti o la minaccia grave (art. 14, lett. b e c) solo facendo leva sull’esame di due fonti – pur riconoscendo egli stesso un miglioramento situazione del Senegal – e ricorda precedenti di merito che hanno riconosciuto la protezione in situazioni analoghe; infine deduce un aggravamento della condizioni politiche a causa di attacchi di bande armate a cittadini senegalesi.

1.2. Il motivo è inammissibile, perchè la Corte di appello ha adeguatamente valutato la situazione socio/politica della zona di provenienza ed il ricorrente non indica se e quando le altre fonti su cui si sofferma in ricorso siano state sottoposte ai giudici di merito, sollecitando sostanzialmente un riesame del merito.

Va aggiunto che i precedenti giurisprudenziali citati sono irrilevanti, giacchè riguardano fattispecie autonomamente valutate in ragione della loro specificità.

2.1. Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la mancata concessione della protezione umanitaria. Sostiene il ricorrente che la Corte di appello avrebbe dovuto meglio approfondire la sussistenza dei presupposti ed espone che si sarebbe integrato in Italia.

2.2. Il motivo è inammissibile.

Come già affermato da questa Corte, “Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 2178 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito)” (Cass. n. 17072 del 28/06/2018e n. 4455 del 23/02/2018); invero, anche ove il cittadino straniero abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, il riconoscimento della protezione umanitaria deve fondarsi “su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso in esame, non sono state allegate ragioni personali di vulnerabilità diverse da quelle esaminate per le altre forme di protezione delle quali era stata già esclusa la rilevanza, tanto più che la riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari non può esser surrogata dalla situazione generale del Paese di origine, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese in termini del tutto generali ed astratti.

Ne consegue la non decisività, ai fini della valutazione di vulnerabilità, del livello di integrazione sociale e lavorativa del richiedente, integrazione che la Corte di appello ha, comunque, escluso che ricorresse e di cui, peraltro, il ricorrente non illustra nemmeno il reale e circostanziato contenuto.

3. In conclusione il ricorso dichiarato inammissibile. Non si provvede sulle spese stante l’assenza di attività difensiva della controparte.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater stante l’ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13,v.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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