Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27932 del 23/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27932 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: TORRICE AMELIA

ORDINANZA

sul ricorso 9047-2012 proposto da:
IMPARATO SILVANO c.f. MPRSVN38M27H501Y, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA GEROLAMO BELLONI N 88 presso
lo studio dell’avvocato DANIELA DAL BO che lo
rappreseta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

ENAC – ENTE NAZIONALE PER L’AVIAZIONE CIVILE, in
2017
2423

persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in
ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 23/11/2017

avverso la sentenza n. 2201/2011 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 12/04/2011 R.G.N. 9976/2005.

N. R. G. 9047 2012

RILEVATO

che la Corte di Appello di Roma, adita dall’Enac ( Ente Nazionale per l’Aviazione
Civile), con la sentenza 2201 in data 12.4.2011, in parziale riforma della sentenza di
primo grado, ha condannato l’Enac a pagare a Silvano Imparato la somma di C

della naturale scadenza del contratto, oltre interessi legali, la somma di C 100.000,00
a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale all’immagine già attualizzata alla
data della sentenza oltre interessi, e la somma di C 59.865,00 a titolo di risarcimento
del danno non patrimoniale per l’illegittima dequalificazione professionale, oltre
interessi legali;
che, per quanto ancora oggi rileva, la Corte territoriale ha ritenuto che: la domanda
risarcitoria correlata alla illegittima pubblicazione nel sito internet dell’Enac del
provvedimento di revoca e delle ragioni ad esso sottese e alla non esatta attuazione
del provvedimento giudiziale cautelare che ne aveva disposto l’immediata rimozione,
per essere stata quantificata dall’Imparato senza puntuale specificazione del quantum
di lesione dei singoli beni della vita assunti come vulnerati era fondata solo con
riguardo al danno all’immagine e/o alla reputazione, che andava quantificata
equitativamente in C 100.000,00 in quanto sfornita di prova quanto alle lesioni subite
ed alla violazione i altri beni costituzionalmente protetti; che non era stata fornita
alcuna prova in ordine alla dedotta responsabilità per mobbing; che il danno
patrimoniale alla professionalità ed esistenziale, conseguito alla avvenuta privazione in
danno dell’Imparato delle funzioni di capo del dipartimento della sicurezza Enac,
doveva essere liquidato in C 59.865,00 ( corrispondente al compenso fisso mensile
moltiplicato per il tempo di durata del demansionamento, novembre 2003/giugno
2004); che il ricorrente nel ricorso di primo grado non aveva fornito alcuna
dimostrazione delle altre voci di danno non patrimoniale assunte come subite
(immagine, perdita di chance, biologico alla salute, capo F del ricorso introduttivo); in
particolare l’Imparato non aveva dedotto variazioni dello stile o delle condizioni di vita
o della salute non apprezzabili sotto il profilo reddituale, eziologicamente riferibili alla
condotta dell’Enac , nè aveva allegato elementi a sostegno del danno subito; la
lesione alla integrità psicofisica era stata documentata solo nel giudizio di appello

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337.694,43 a titolo di compensi maturati dalla data della revoca dirigenziale a quella

N. R. G. 9047 2012

attraverso la produzione di una consulenza tecnica di parte non allegata nel giudizio di
_
primo grado;

che avverso detta sentenza Silvano Imparato ha proposto ricorso per cassazione
affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con
controricoso l’Enac.

che il ricorrente con il primo motivo denuncia , ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 e n.5
c.p.c., violazione degli artt. 115 c. 2, 421 c. 2 e 432 c.p.c., e contraddittoria
motivazione circa il punto decisivo della controversia relativo al danno alla salute , per
avere la Corte territoriale escluso la liquidazione del danno biologico per la mancata
produzione della perizia medico legale di parte nel giudizio di primo grado, nonostante
il giudice di primo grado avesse accertato l’esistenza del danno biologico da
demansionamento in esercizio dei poteri officiosi previsti dall’art. 421 c.p.c. e in
applicazione della disposizione contenuta nell’art. 115 c. 2 c.p.c. che consente al
giudice di porre a fondamento della decisione la propria personale esperienza;

che con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c. 1 e c. 3 c.p.c., per avere la Corte
territoriale ritenuto di non poter valutare la consulenza tecnica medico legale di parte
che non avrebbe potuto essere prodotta nel giudizio di primo grado perchè relativa ad
un danno (disturbo dell’adattamento cronico con ansia e umore depresso”) acuitosi
successivamente alla pronuncia della sentenza di primo grado e che esso ricorrente
per ” naturale ritrosia” non aveva riconosciuto per tempo, e tanto nonostante il
giudice di primo grado ne avesse accertato la sussistenza facendo uso dei poteri
officiosi di cui all’art. 421 c.p.c.;

che con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c. 2 e 116 c.p.c. e degli artt. 2697,
2103, 2043, e 2059 c.c. in relazione alla dimostrazione e alla quantificazione dei danni
non patrimoniali derivati dal demansionamento e dalla revoca dell’incarico direttivo
per avere la Corte territoriale utilizzato quale unico parametro per la liquidazione del
danno non patrimoniale derivato dal demansionannento il solo elemento relativo alla
durata di quest’ultimo omettendo di fare ricorso alla prova per presunzioni per tal via
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CONSIDERATO

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non coprendo l’intera “congerie di danni derivati sul piano biologico ( esistenziale,
all’immagine ed alla vita di relazione sul luogo di lavoro)”;

che con il quarto motivo il ricorrente denuncia , ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 3 n. 5
c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. per avere la Corte territoriale
ritenuto che la parziale e fuorviante applicazione data dall’Enac al provvedimento

all’avvenuta pubblicazione sul sito Internet delle notizie relative alla revoca
dell’incarico dirigenziale, ma solo un aggravamento del danno e per avere errato nel
riunire in una sola voce le due distinte voci di danno;

che i motivi non sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., disposizione che,
nella lettura datane nella recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 7155
del 2017, condivisa da questo Collegio, esonera la Suprema Corte dall’esprimere
compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così
consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”, inconsistenza non
sussistente nella fattispecie in esame per quanto si osserva di seguito;

che le censure formulate nel primo e nel secondo motivo di ricorso, che addebitano
alla sentenza violazione degli artt. 115 c. 2, 421 c. 2 e 432 c.p.c. ( primo motivo) e
dell’art. 345 c. 1 e 3 ( secondo motivo), da trattarsi congiuntamente, sono prive di
pregio perchè la Corte territoriale, nel fondare la statuizione di rigetto della domanda
di risarcimento dei danni non patrimoniali sulla accertata mancanza di allegazioni e di
prova in ordine alla sussistenza di siffatti danni ed in particolare del danno alla salute,
ha fatto corretta applicazione del principio secondo il quale il potere officioso deve
essere esercitato “pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel
processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse”( Cass. 23652/2016,
15899/2011, 6205/2010, 11847/2009) e del principio secondo il quale in tema
di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore
al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne
deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale non può prescindere, da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio,
sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo ( Cass. SSUU 6572/2006,
6797/2013,4712/2012, 24864/2010, 19785/2010, 29832/2008);

che, diversamente da quanto opina il ricorrente, alle controversie di lavoro in grado di
appello trova applicazione non l’ art. 345 c.p.c. ma l’art. 437, che consente al c.2,
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cautelare giudiziale avesse determinato non una voce di danno autonomo rispetto

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l’ingresso di nuovi di mezzi di prova, ove ritenuti indispensabili dal Collegio, ferma
l’inammissibilità di nuove domande ed eccezioni ( art. 437 c. 1 c.p.c.);
che la censura che addebita alla sentenza contraddittorietà della motivazione ( primo
motivo) è inammissibile perchè non risulta specificato, in violazione della disposizione
contenuta nell’art. 366n. 4 c.p.c., quale sia il fatto storico in relazione al quale la

incoerenti e contraddittorie e perchè , al di là della titolazione contenuta nella rubrica,
il motivo si risolve in una inammissibile critica all’attività valutativa svolta dal giudice
del merito sulle allegazioni delle parti desunte dagli scritti difensivi del ricorrente nel
ricorso di primo grado, nemmeno riprodotto nel ricorso nelle sue parti salienti e
rilevanti (ex plurimis Cass. SSUU 8053/2014; Cass. n. 1541/2016, 15208 /2014,
24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, . 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005,
8718/2005);
che il terzo motivo è infondato avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione
dei principi di diritto ripetutamente affermati da questa Corte secondo cui: non solo
ogni accertamento e valutazione di fatto circa la concreta sussistenza e la
individuazione della specie del danno, ma anche la sua liquidazione – in ipotesi anche
equitativa – sono sindacabili, in sede di legittimità, soltanto per vizio di motivazione
(Cass. 12253/2015, 9138/2011, 2352/2010, 10864/2009); i criteri di valutazione
equitativa, la cui scelta ed adozione è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice,
debbono consentire una valutazione che sia adeguata e proporzionata (Cass.
12408/2011) in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico, al
fine di ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato e permettere la
personalizzazione del risarcimento (Cass. SSUU 26972/2008; Cass. 12253/2015,
7740/2007, 13546/2006); essendo la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro
del danno non patrimoniale inevitabilmente caratterizzata da un certo grado

di

approssimazione, si esclude che l’esercizio del potere equitativo del giudice di merito
possa di per sè essere soggetto a controllo in sede di legittimità, se non in presenza di
totale mancanza di giustificazione che sorregga la statuizione o di macroscopico
scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle
argomentazioni (cfr. 12253/2015, 18778/2014, 12918/2010, 26666/2005);
che

la Corte territoriale ha esposto in maniera chiara e lineare le ragioni poste a

fondamento della quantificazione del danno da demansionamento tenendo
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motivazione sia contraddittoria, quali siano le argomentazioni motivazionali tra loro

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correttamente conto del tempo di durata del demansionamento, idoneo a
compromettere la possibilità per l’Imparato di portare a termine l’incarico affidatogli e
di accrescere il proprio bagaglio di esperienze e di specifiche capacità, del fatto che
durante il periodo di demansionamento il ricorrente aveva continuato a percepire la
retribuzione pattuita e ha ancorato la liquidazione alla entità della retribuzione fissa ed
ha rilevato che non risultava nè allegata nè dimostrata la verificazione di danni non

patrimoniali (immagine, perdita di chance, biologico alla salute, di cui al capo F del
ricorso introduttivo) non incidenti sulla professionalità in senso stretto ( privazione
della possibilità di concludere l’incarico affidato e di accrescere il bagaglio di
esperienze e di specifiche capacità); ha spiegato, in particolare, che la lesione alla
integrità psicofisica, che il ricorrente intendeva provare attraverso la produzione di
una perizia di parte non prodotta nel giudizio di primo grado, non era stata oggetto di
adeguata allegazione nel giudizio di primo grado, e che, in assenza di specifiche
allegazioni, i pregiudizi lamentati nel capo F ( tra questi quello alla salute) potevano
essere ricondotti congiuntamente alla voce di danno professionale o più in generale
esistenziale e sulla scorta di siffatte ampie e lineari argomentazioni motivazionali ha
proceduto alla quantificazione del danno nella misura pari , come innanzi evidenziato,
a sette mensilità di retribuzione ( € 59.865,00);

che il quarto motivo è inammissibile in quanto, al di là del titolo delle rubriche dei vizi
in esame, le doglianze formulate dalla ricorrente sollecitano una nuova, inammissibile,
lettura del materiale istruttorio ( Cass.SSU 24148/ 2013, 8054/2014; Cass.
1541/2016, 15208 /2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007;
181214/2006, 3436/2005, 8718/2005), mettendo in discussione la ricostruzione
effettuata dalla Corte territoriale in maniera lineare ed esaustiva quanto alla
riconduzione ad unità dei danni conseguiti alla avvenuta pubblicazione sul sito
Internet dell’Ente della revoca dell’incarico, e, successivamente, della sua parziale
rimozione in esecuzione del provvedimento giudiziale cautelare;

che conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con addebito al ricorrente delle
spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.

La Corte
rigetta il ricorso
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N. R. G. 9047 2012

Condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di
legittimità liquidate in € 4.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso nell’Adunanza camerale del 24.5.2017
Il Consigliere es,tensore

Il Presidente

dott.ssa A. Tor ice

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CORTE SUPREMA Di CA

IV Sezionet

dott. . Napoletano

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