Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27932 del 13/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27932 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 18730-2010 proposto da:
BALDI ANGELO C.F. BLDNGL45D11A191K, BEDESCHI PAOLO
C.F.

BDSPLA55C31H199T,

BZKGNN57H23H199T,

DI

BEZIAK
CARA

GIOVANNI

C.F.

LORENZO

C.F.

CRLNZ43S20Z243L, GENTILI MAURO C.F. GNTMRA54C29H1990,
PETRONI NAZZARENO C.F.PTRNZR55A01I661B, TONINI TONINO
2013
3321

C.F. TNNTNN41SDO6F641, URBINATI VALTER C.F.
RBNVIR51R04F476S, VUKICH GIORGIO C.F.
VKCGRG43TO4H199N, tutti elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 17, presso lo studio

A

dell’avvocato ZARDO FULVIO, rappresentati e difesi

Data pubblicazione: 13/12/2013

dall’avvocato CASADIO GIANNI, giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante

DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale
v
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocatt
RICCIO ALESSANDRO, PREDEN SERGIO, MAURO RICCI, giusta
delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1158/2009 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 17/03/2010 r.g.n. 117/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/11/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato CASADID GIANNI;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 17 marzo 2010 la Corte d’appello di Bologna, per quanto
rileva in questa sede, in riforma della sentenza del Tribunale di Ravenna
del 22 novembre 2004, ha rigettato la domanda degli attuali ricorrenti
indicati in epigrafe, intesa ad ottenere la dichiarazione del proprio diritto

n. 257 del 1992. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia sulla base
del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione secondo cui,
per ottenere i benefici in questione, il lavoratore deve provare di essere
stato esposto al rischio di inalazioni di amianto in misura almeno pari a
quello di cui al d.l. 277 del 1991, e considerando in fatto che la consulenza
tecnica di ufficio non aveva accertato l’esposizione dei ricorrenti a valori di
rischio rilevanti ai fini del beneficio.
Avverso tale sentenza gli originari ricorrenti propongono ricorso per
cassazione articolato su due motivi.
Resiste l’INPS con controricorso eccependo preliminarmente
l’inammissibilità del ricorso di Gentili Mauro per difetto di mandato
speciale.
Lo stesso INPS ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dichiarato inammissibile il ricorso relativamente a
Gentili Mauro che non ha rilasciato procura alle liti a margine del ricorso
per cassazione.
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di
diritto per violazione dell’art. 13, comma 8 della legge 257 del 1992, e
degli artt. 24 e 31 del d.lgs. 277 del 1991 in relazione all’art. 360, n. 3 cod.
proc. civ. con riferimento all’affermazione secondo cui è necessario il

alla maggiorazione contributiva prevista dall’art. 13, comma 8 della legge

raggiungimento delle soglie di esposizione di cui a detto d.lgs 277 del
1991, e si deduce che, ai fini del riconoscimento del beneficio richiesto,
sarebbe sufficiente l’esposizione all’amianto per un periodo superiore a
dieci anni, senza la necessità del raggiungimento delle soglie in questione.
Con il secondo motivo si assume violazione e falsa applicazione degli artt.

motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia ex art.
360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si lamenta l’erroneità della CTU
posta a fondamento della decisione impugnata osservandosi
preliminarmente che il consulente d’ufficio avrebbe dovuto astenersi
essendosi in precedenza pronunciato in occasione di altra vertenza
riguardante la medesima società presso cui lavoravano i ricorrenti.
Il primo motivo è infondato. È stato infatti più volte affermato dalla
giurisprudenza di legittimità (tra le tante Cass. n. 4913 del 3 aprile 2001)
che il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, va interpretato
nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto va attribuito
unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano valori di rischio per
esposizione a polveri d’amianto superiori a quelli consentiti dal D.Lgs. n.
277 del 1991, artt. 24 e 31; quindi nell’esame della fondatezza della relativa
domanda, il giudice di merito deve accertare – nel rispetto dei criteri di
ripartizione dell’onere probatorio – se l’assicurato, dopo aver provato la
specifica lavorazione praticata e l’ambiente dove ha svolto per più di dieci
anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause “fisiologiche”, quali
riposi, ferie e festività) detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale
ambiente ha presentato una concreta esposizione al rischio alle polveri di
amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel D.Lgs. n. 277 del
1991. Nè la esposizione alla soglia prescritta può essere dimostrato, come
afferma la sentenza impugnata, dalla esistenza dell’obbligo del datore di
pagare il premio supplementare di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124,

201, 115, 116 e 437 cod. proc. civ. nonché contraddittorietà e carenza di

art. 153, perché questo consegue allo svolgimento delle lavorazioni
morbigene previste in tabella, qualunque sia la concentrazione della
sostanza nociva. Inoltre la Corte richiama gli accertamenti ispettivi
dell’Inail degli anni 1982 e 1986 per la determinazione del premio
supplementare, ma poi non spiega se da essi sia emersa l’esistenza del

idonei a supportare il diritto al beneficio richiesto.
2. La disciplina non è mutata a seguito delle nuove norme che sono state
emanate in tema di rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto,
essendosi già affermato (Cass. n. 21862 del 18 novembre 2004 e n. 15008
del 15 luglio 2005) che “In tema di benefici previdenziali in favore dei
lavoratori esposti all’amianto, la L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma
132, che – con riferimento alla nuova disciplina introdotta dal D.L. 30
settembre 2003, n. 269, art. 47, comma 1, (convertito con modificazioni
nella L. 24 novembre 2003, n. 326) – ha fatto salva l’applicabilità della
precedente disciplina, di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, per i
lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano già maturato il diritto ai
benefici previdenziali in base a tale ultima disposizione, o abbiano
avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL od ottenuto sentenze
favorevoli per cause avviate entro la medesima data, va interpretato nel
senso che, tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la
salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata,
abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per
l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva”.
La nuova disciplina non è quindi applicabile alla presente causa, rientrando
essa nei casi per i quali il legislatore ha espressamente fatto salva la
regolamentazione precedente di cui alla citata L. n. 257, dal momento che il
procedimento per ottenere il beneficio è già iniziato ed era in corso alla
data del primo ottobre 2003. La disposizione si spiega considerando che in

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grado di esposizione richiesto dalla legge, di talché i medesimi non sono

tali evenienze – essendo già terminato, ovvero ancora in corso il
procedimento (talvolta molto difficile e complesso) per l’accertamento dei
requisiti prescritti in precedenza – si rivelerebbe oltremodo gravoso ed
antieconomico imporre che la verifica del diritto si svolga alla luce della
normativa sopravvenuta. La nuova disciplina – ancorché non operante nella

257 del 1992, art. 13, comma 8) – vale però a confermare che anche
quest’ultima imponeva, per la concessione del beneficio, il superamento di
una certa soglia di esposizione all’amianto. Sarebbe infatti del tutto
irragionevole e contrario al principio costituzionale di uguaglianza
ipotizzare che, mentre con le nuove regole il beneficio spetta solo nei casi
di superamento della soglia, viceversa, secondo quelle anteriori, questa non
venisse affatto prevista, e fosse sufficiente qualunque grado di esposizione.
Si tratta infatti pur sempre, in entrambi i casi, di esposizioni che risalgono a
periodi lontani nel tempo, di talché non vi è motivo di trattare diversamente
fattispecie uguali. Diversamente opinando si dovrebbe ritenere che si sia
inteso applicare discipline diverse a casi del tutto uguali di esposizione per
lungo periodo alla sostanza nociva, ponendo come discrimine tra l’uno e
l’altro l’elemento del tutto estrinseco e casuale come l’epoca di richiesta del
beneficio, il che sarebbe contrario ai principi costituzionali di uguaglianza e
di ragionevolezza (Cass. 15 aprile 2009 n. 8914; Cass. 22 dicembre 2006 n,
27451).
Anche il secondo motivo è infondato. Riguardo al dedotto obbligo di
astensione del consulente tecnico d’ufficio che si sarebbe già pronunciato
sulla materia oggetto dell’incarico, va considerato che i ricorrenti non
hanno proposto rituale istanza di ricusazione del consulente tecnico
d’ufficio nel termine di cui all’art. 192 cod. proc. civ. e, la mancata
proposizione di tale istanza, preclude definitivamente la possibilità di far
valere successivamente la situazione di incompatibilità, con la conseguenza

fattispecie per cui è causa, che resta regolata dalla legge precedente (L. n.

che la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo, non rilevando
che il consulente tecnico d’ufficio non abbia osservato l’eventuale obbligo
di astensione (Cass. 25 maggio 2009 n. 12004).
Nel resto il motivo è infondato; come ripetutamente affermato da questa
Corte, non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che

di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito;
pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale
motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla
consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice “a quo”, la loro rilevanza
ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario,
una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi
dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera
prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di
legittimità (Cass. 4 maggio 2009 n. 10222). Nel caso in esame, appunto, i
ricorrenti criticano la consulenza posta a fondamento della decisione
impugnata senza allegare l’avvenuta censura già in fase di merito e la
conseguente omessa considerazione delle relative censure ritualmente
mosse nella sede competente.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di Gentili
Mauro;
Rigetta il ricorso degli altri ricorrenti;
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio liquidate in
€ 100,00 per esborsi ed € 2.500,00 per compensi professionali oltre
accessori di legge.

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Così deciso i Roma il 20 novembre 2013.

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