Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27929 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. I, 30/10/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 30/10/2019), n.27929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19626-2018 proposto da:

K.M., rappresentato e difeso dall’avv. Antonella Macaluso del

foro di Caltanissetta;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 234/2018 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

K.M., cittadino originario del Pakistan, di fede musulmana sunnita (del gruppo etnico Rajput) propone ricorso per cassazione, con tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta, che, confermando le statuizioni di prime cure, ha respinto le domande proposte dal richiedente, ritenendo che non sussistessero i presupposti per nessuna delle forme di protezione richiesta.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso di denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 Conv. Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), artt. 5, 7 e 8 censurando la valutazione di scarsa credibilità della narrazione, fatta propria dalla Corte territoriale, lamentando in particolare che il racconto non sia stato calato all’interno della situazione socio-economica del paese di provenienza.

Il motivo non ha pregio.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito(Cass. 3340/2019).

Nel caso di specie, tale valutazione, con espresso riferimento ai criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 è stata specificamente effettuata onde non è ravvisabile la dedotta violazione di legge.

Il secondo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ed omesso esame di un fatto decisivo, lamentando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di valutare la circostanza che, tornando in Pakistan, il richiedente avrebbe potuto subire trattamenti inumani e degradanti da parte del gruppo sunnita integralista, omettendo di rilevare il clima di assoluta instabilità e di frequenti attentati terroristici che caratterizza il paese.

Il motivo è infondato.

Premesso che nel caso in esame vengono astrattamente in rilievo i profili di cui all’art. 14, lett. b) e c), il ricorrente incentra essenzialmente la censura sul solo profilo sub c) lamentando, in buona sostanza l’omesso rilievo da parte del giudice al presupposto della violenza indiscriminata in situazione di conflitto interno o internazionale.

La censura relativa alla sussistenza di una minaccia privata dalla quale lo Stato di provenienza non sarebbe in grado di proteggere il richiedente è invece del tutto generica e va dunque dichiarata inammissibile per difetto di specificità, in quanto non vengono dedotti gli elementi costitutivi di detta forma di protezione.

In ogni caso, la Corte, richiamando la statuizione di primo grado, ha evidenziato le incongruenze e la scarsa credibilità del racconto in ordine all’episodio di persecuzione per motivi religiosi riferito dal richiedente.

Quanto alla fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), la Corte territoriale ha escluso la sussistenza dei presupposti con riferimento al luogo di provenienza del richiedente, vale a dire la parte centrale della regione del Punjab: sulla base di fonti internazionali qualificate, quali il Dipartimento Generale degli affari esteri della confederazione elvetica (DFAE), la Corte ha ritenuto che, pur a fronte di un elevato rischio di sequestro e di aggressioni armate, non possa ritenersi sussiste in tale area, una situazione tale da integrare la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale.

La statuizione è conforme a diritto.

In conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza della Corte di Giustizia del 30.1.2014 (causa C-285/12 – Diakitè) il presupposto di cui all’art. 14 lett c.) del D.Lgs. n. 251 del 2007 dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ovvero il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel paese o regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass.13858 del 31.5.2018).

Nel caso di specie, a fronte dell’accertamento del giudice di appello, fondato su fonti internazionali autorevoli ed aggiornate citate in motivazione (Cass. 11312/2019), non risultano indicati dal ricorrente specifici elementi idonei ad evidenziare una minaccia individuale alla vita o alla persona, nè una situazione di violenza tanto generalizzata, nel paese di provenienza, si che il solo rientro nel paese di origine integri in sè pericolo di vita.

Il terzo motivo denuncia violazione a falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1 in ordine alla mancata concessione della protezione umanitaria, lamentando che la Corte non abbia tenuto conto della situazione oggettiva del paese di origine del richiedente, nel quale vi era una generalizzata situazione di privazione dei diritti fondamentali.

Il motivo è inammissibile, in quanto non si confronta con la ratio della statuizione di rigetto.

La Corte ha infatti rilevato che l’inattendibilità del racconto del richiedente non consentiva una compiuta verifica di tutti i requisiti richiesti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

La statuizione è conforme a diritto.

Ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente, e dunque solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Anche in relazione alla protezione umanitaria, infatti, l’attivazione da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria, presuppone l’allegazione da parte ricorrente di una ben determinata situazione di “vulnerabilità” che va specificamente delineata nei suoi elementi costitutivi e che risulti credibile, onde consentire di effettuare una effettiva valutazione comparativa della situazione del richiedente con riferimento al paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. 4455/2018).

La censura è peraltro, anche in questa sede, del tutto generica e non contiene una allegazione della specifica situazione di fragilità del richiedente.

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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