Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27929 del 23/11/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 27929 Anno 2017
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: LEO GIUSEPPINA

SENTENZA
sul ricorso 22547-2014 proposto da:

ADRIATICO

DOMENICO

C.F.

DRTDNC53R16D643C,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 109,
presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI D’AMICO,
rappresentato e difeso dagli avvocati MARIA
ANTONIETTA PAPADIA,
2016

FRANCESCO VINCENZO PAPADIA,

giusta delega in atti;
– ricorrente –

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contro

TRENITALIA S.P.A. C.F. 05403151003, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 23/11/2017

domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta
e difende unitamente all’avvocato VALERIA COSENTINO,
giusta delega in atti;
– controricorrente

di BARI, depositata il 18/03/2014 R.G.N. 905/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

17/11/2016

dal

Consigliere

Dott.

GIUSEPPINA LEO;
udito l’Avvocato PAPADIA FRANCESCO VINCENZO;
udito l’Avvocato GIANNI’ GAETANO per delega verbale
Avvocato MORRICO ENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 494/2014 della CORTE D’APPELLO

R.G. n. 22547/14
Udienza del 17 novembre 2016
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Adriatico Domenico, nei confronti di Trenitalia S.p.A., ed aveva dichiarato
l’illegittimità della sanzione disciplinare, comportante la sospensione dal servizio
per sette giorni, irrogata al medesimo dalla datrice di lavoro il 23/12/2008.
La Corte territoriale di Bari, con sentenza pubblicata il 18/3/2014, respingeva
l’appello principale e l’appello incidentale avverso la predetta sentenza.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Adriatico Domenico
articolando tre motivi.
Trenitalia S.p.A. ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 del codice di
rito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c. e 59 del
CCNL di categoria del 16/7/2003, poiché la Corte distrettuale non avrebbe
adeguato le predette norme alla realtà da disciplinare e non avrebbe dato una
specifica interpretazione al modulo generico normativo.
1.1. 11 motivo non è fondato.
Va, innanzitutto, osservato che la giusta causa di licenziamento è una nozione di
legge che si viene ad inscrivere in un ambito di disposizioni caratterizzate dalla
presenza di elementi “normativi” e di clausole generali (Generalklauseln) —
correttezza (art. 1175 c.c.); obbligo di fedeltà, lealtà, buona fede (art. 1375 c.c.);
giusta causa, appunto (art. 2119 c.c.) — il cui contenuto, elastico ed indeterminato,

Il Tribunale di Foggia aveva respinto l’impugnativa del licenziamento di

richiede, nel momento giudiziale e sullo sfondo di quella che è stata definita la
“spirale ermeneutica” (tra fatto e diritto), di essere integrato, colmato, sia sul
piano della quaestio facti che della quaestio iuris, attraverso il contributo
dell’interprete, mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla coscienza

determinate cerchie sociali o di particolari discipline o arti o professioni, alla cui
stregua poter adeguatamente individuare e delibare altresì le circostanze più
concludenti e più pertinenti rispetto a quelle regole, a quelle valutazioni, a quei
giudizi di valore, e tali non solo da contribuire, mediante la loro sussunzione, alla
prospettazione e configurabilità della tota res (realtà fattuale e regulae iuris), ma
da consentire inoltre al giudice di pervenire, sulla scorta di detta complessa realtà,
alla soluzione più conforme al diritto, oltre che più ragionevole e consona.
Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica,
come in più occasioni sottolineato da questa Corte, e la disapplicazione delle
stesse è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. Pertanto,
l’accertamento della ricorrenza, in concreto, nella fattispecie dedotta in giudizio,
degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della
loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, è sindacabile
nel giudizio di legittimità, a condizione che la contestazione non si limiti ad una
censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga una specifica
denuncia di incoerenza rispetto agli “standards – conformi ai valori
dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale (Cass. n. 25044/15; Cass. n.
8367/2014; Cass. n. 5095/11). E ciò, in quanto, il giudizio di legittimità deve
estendersi pienamente, e non solo per i profili riguardanti la logicità e la
completezza della motivazione, al modo in cui il giudice di merito abbia in
concreto applicato una clausola generale. perché nel farlo compie, appunto,

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L-

sociale o dal costume o dall’ordinamento giuridico o da regole proprie di

un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma,
dando concretezza a quella parte mobile della stessa che il legislatore ha
introdotto per consentire l’adeguamento ai mutamenti del contesto storico-sociale
(Cass., S.U., n. 2572/2012).

Corte barese non appaiono conferenti poiché non evidenziano in modo puntuale
gli “standards^^ dai quali il Collegio di merito si sarebbe discostato e non
sottolineano in modo puntuale gli errores in iudicando che nella sentenza
apparirebbero, a parere del ricorrente, palesi. A fronte di ciò, i Giudici di seconda
istanza hanno posto l’accento sul comportamento tenuto dal lavoratore sul luogo
di lavoro e nei confronti del datore di lavoro, certamente lesivo del vincolo
fiduciario, cui l’art. 2119 c.c. ed il CCNL di categoria invocato fanno esplicito
riferimento.
Pertanto, non può non condividersi il percorso motivazionale seguito da quei
Giudici nell’operazione di sussunzione della fattispecie nelle norme di cui si
lamenta, a torto, la violazione.
2. Con il secondo motivo, allegando omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione agli artt. 115 e
116 c.p.c., la parte ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia errato nella
valutazione delle risultanze istruttorie prese in esame ai fini della decisione.
2.2. Il motivo è inammissibile.
In ordine alla valutazione degli elementi probatori, posto che la stessa è attività
istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se
non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento,
alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, qualora
il ricorrente denunci, in sede di legittimità, l’omessa o errata valutazione di prove

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Nel motivo di ricorso qui in esame, le censure formulate alla sentenza della

testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per
cassazione, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi al fine di consentire il
vaglio di decisività che avrebbe eventualmente dovuto condurre il giudice ad una
diversa pronunzia, con l’attribuzione di una diversa valutazione alle dichiarazioni

Nel caso di specie, invero, la contestazione, peraltro del tutto generica, sulle
dichiarazioni rese da un testimone, senza che le stesse siano state trascritte, si
risolve in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto di una deposizione
testimoniale e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione
sarebbe mancata o sarebbe stata illogica (cfr. Cass. n. 4056 del 2009), finalizzata
ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle
finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013;
Cass. n. 14541/2014).
3. Con il terzo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5,
c.p.c., il vizio di motivazione in ordine alla condotta del lavoratore in
relazione al requisito della proporzionalità, secondo le previsioni del CCNL.
3.3. 11 motivo è inammissibile, poiché, come, in più occasioni, ribadito dalla
Corte di legittimità (cfr., ex multis, Cass. n. 8293/2012), il giudizio di
proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è
devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di
legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria. E,
nella fattispecie, i Giudici di Appello hanno analiticamente e coerentemente
motivato perché i fatti contestati all’Adriatico configurano comportamenti
riconducibili a gravi insubordinazioni, atti a compromettere in via definitiva il
rapporto fiduciario, di cui si è detto sub 1.1., e da non consentire, quindi, la
prosecuzione del rapporto di lavoro.

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testimoniali relativamente alle quali si denunzia il vizio (Cass. n. 6023 del 2009).

Deve, dunque, affermarsi, per tutte le considerazioni che precedono, che neppure
il terzo mezzo di impugnazione è idoneo a scalfire le argomentazioni cui è
pervenuta la Corte di merito.
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso
sussistono i presupposti di cui all’art. 13. comma 1-qual er, del d.P.R. n. 115 del
2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi,
oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unilìcato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
1
Così deciso in l’i’.ma, 17 novembre 2016

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

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