Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27929 del 13/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27929 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 3962-2011 proposto da:

IREN MERCATO S.P.A. C.F. 01178580997,già IRIDE

MERCATO,già SIET, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI
RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI
GERARDO, che la rappresenta e difende unitamente agli
2013
2885

avvocati

PONZONE RUGGERO,

PACCHIANA PARRAVICINI

AGOSTINO, giusta delega in atti;
– IREN S.P.A., (gia’ IRIDE S.P.A.), C.F. 07129470014,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22,

Data pubblicazione: 13/12/2013

presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati BONIN1
ATTILIO e ZAMBON FABIOLA, GUASCO MARCO, giusta delega
in atti;
– ricorrenti –

I.N.P.S.
SOCIALE,

ISTITUTO NAZIONALE
C.F.

80078750587,

DELLA PREVIDENZA

in

persona

del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F.
05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
DELLA

FREZZA

17,

presso

l’Avvocatura

Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati
SGROI

ANTONINO,D’ALOISIO

CARLA,

CALIULO

LUIGI,

MARITATO LELIO, giusta delega in atti;
– controricorrenti nonchè contro

EQUITALIA NOMOS S.P.A.;
– intimata –

avverso la sentenza n. 617/2010 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 02/08/2010 r.g.n. 603/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/10/2013 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato D’AMOLI CLAUDIO per delega VESCI

contro

GERARDO;
udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per

il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL FATTO
1. La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 617/10, depositata il

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agosto 2010, decidendo sull’impugnazione proposta,’ in ordine alla sentenza del
Tribunale di Torino del 28/30 maggio 2008, da IRIDE MERCATO spa, già società di
intermediazione energia Torino spa, IRIDE spa, già Azienda energetica metropolitana
Torino spa, nei confronti dell’INPS e di EQUITALIA NOMOS, in parziale
accoglimento dell’appello, revocava la cartella opposta e condannava IRIDE

MERCATO spa al pagamento della somma di euro 2673,04, oltre rivalutazione
monetaria ed interessi.
2. IRIDE SERVIZI e IRIDE spa (già AEM Torino spa) avevano proposto
opposizione avverso la suddetta cartella esattoriale n. 2006 0056635784000, notificata
il 12 marzo 2008, con la quale veniva ingiunto il pagamento della somma di euro
8.277,47 a titolo di contributi per disoccupazione ed indennità di malattia dei
lavoratori dipendenti per il periodo marzo 2005-dicembre 2005, comprensiva di somme
aggiuntive e interessi di mora.
Il Tribunale di Torino respingeva il ricorso, confermando l’intera cartella.
3. La Corte d’Appello ha accolto l’impugnazione con riguardo ai contributi per
la disoccupazione, e l’ha respinta con riguardo alla contribuzione di malattia, ritenendo
quest’ultima non dovuta.
3.1. La Corte d’Appello disattendeva la pro spettazione della società secondo cui
operava l’esonero di cui all’art. 40, n. 2, del RD n. 1827 del 1935, e dell’art. 36 del
DPR n. 818 del 1957, e che in forza dell’intervenuta abrogazione della disposizione
contenuta nel citato art. 40, n. 2, nell’art. 36 citato, ad opera dell’art. 20 del dl n. 112 del
2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, l’obbligo contributivo, in capo alle
imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate o a capitale misto,
veniva fissato con decorrenza dal 1° gennaio 2009, con la conseguenza che data
l’irretroattività dell’affermato obbligo, la pretesa dell’INPS formalizzata nella cartella
opposta non era dovuta, afferendo la stessa ad un periodo precedente.
Il giudice di appello ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 14847 del 2009,
che, con riguardo all’interpretazione dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. C.P.S. n. 869 del
1947, come successivamente modificato, ha disatteso la tesi interpretativa secondo cui
la locuzione “imprese industriali degli enti pubblici” non farebbe riferimento tanto alla

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proprietà o titolarità dell’impresa quanto invece ad un potere di controllo totale ed
effettivo dell’impresa stessa.
Ha precisato che SIET (poi IRIDE MERCATO), pur controllata da AEM, a sua
volta controllata dal Comune di Milano, è una società per azioni il cui capitale è
interamente detenuto da altra spa (sia pure la spa AEM soggetto diverso) e che a sua
volta IRIDE spa, nata dalla fusione di due società per azioni, AEM spa e AMGA spa,
entrambe aziende ex municipalizzate, era società per azioni con maggioranza di

capitale pubblico.
Ha, quindi, ritenuto di non accogliere la tesi secondo cui IRIDE MERCATO
spa sarebbe un’impresa pubblica, perché sottoposta all’influenza dominante sugli
assetti organizzativi e sulle finalità societarie da parte di un pubblico potere, cioè del
Comune di Torino.
Per quanto attiene ai contributi per la disoccupazione involontaria il giudice di
secondo grado ha escluso che l’appellante rientrasse tra le categorie di imprese
esonerate, atteso che alla ricorrente non poteva riconoscersi né la qualità di azienda
pubblica, né quella di azienda esercente pubblici esercizi. Neppure sarebbe sussistito il
requisito della cosiddetta “stabilità di impiego in forza del CCNL
Elettrici/Federelettrica, successivamente alla sua trasformazione da municipalizzata a
spa.
Né poteva assumere rilievo l’esonero disposto con D.M. n. 25338 del 12
novembre 1998, ai sensi dell’art. 36 del dPR n. 818 del 19578, che aveva accertato la
stabilità dell’impiego in favore del personale dipendente dalla società AEM. Si trattava,
infatti, di un provvedimento in favore di un soggetto rispondente al momento della
domanda ai requisiti richiesti, la cui efficacia non poteva essere estesa, superando
l’assenza di successivi provvedimenti della medesima natura, alle diverse
configurazioni societarie che, nel corso del tempo, si sono succedute, attraverso le
trasformazioni intervenute.
4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello, quanto alla ritenuta
debenza all’INPS dei contributi per la disoccupazione, ricorrono IREN MERCATO spa
e IREN spa, già IRIDE spa, nei confronti di INPS, EQUITALIA NOMOS e SCCI spa,
prospettando due motivi di ricorso.
5. Resiste l’INPS con controricorso
6. La ricorrente ha depositato memoria.
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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, in relazione alla indennità di
disoccupazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 40, n. 2 del RDL n. 1827/35,
dell’art. 20, commi 2, 4, 5 e 6 della legge n. 133 del 2008, dell’art. 2359 cc, dell’art. 22
della legge n. 142 del 1990, dell’art. 113 del d.lgs n. 267 del 2000, dell’art. 35 della
legge n. 448 del 2001, dell’art. 2 del d.lgs n. 158 del 1995, dell’art. 3, comma 28, del
d.lgs n. 163 del 2006, dell’art. 2112 cc, in relazione all’art. 360, n. 3, cpc. Motivazione

insufficiente, illogica e contraddittoria su punti essenziali della controversia, in
relazione all’art. 360, n. 5, cpc.
Parte ricorrente eccepisce che la giurisprudenza di legittimità, richiamata in
sentenza, fa riferimento ad un contesto normativo che ha subito rilevanti modifiche in
ragione della legge n. 448 del 2001, nonché del d.lgs. n. 333 del 2003, di attuazione
della direttiva 2000/52/111/CE. Ricorda, in particolare, che, ai sensi dell’art. 35 della
suddetta legge n. 448 del 2001, l’unica forma gestionale, che ha sostituito le precedenti,
è la società di capitali partecipata ed è pertanto questa che deve essere qualificata come
l’ente strumentale dell’ente locale per l’esercizio dei pubblici servizi, e che l’art. 2 del
d.lgs. n. 333 del 2003, definisce impresa pubblica ogni impresa nei cui confronti i
poteri pubblici esercitino, direttamente o indirettamente una situazione di controllo.
Tale posizione di controllo sarebbe ravvisabile nel caso di specie. Le società
ricorrente, sarebbe, dunque, impresa pubblica, per un servizio pubblico e sottoposta al
regime pubblicistico di legge, presentando elementi che la differenziano dalla spa di
diritto comune, con la conseguenza esclusione della contribuzione in questione. La
motivazione della Corte d’Appello, sarebbe, altresì viziata, quanto al ritenuto
inquadramento giuridico, da illogicità e contraddittorietà.
Essa ricorrente sarebbe, dunque, riconducibile alle categorie di aziende di cui al
citato art. 40, come confermato anche dall’art. 20, comma 2, della legge n. 133 del
2008, che ricomprende, in una nozione unitaria “le imprese dello Stato, degli enti
pubblici e degli enti locali privatizzate ed a capitale misto, sancendo il venire meno
della pretesa contributiva per il periodo anteriore al 1° gennaio 2009.
Deduce la ricorrente, altresì, che doveva essere esteso a sé medesima l’esonero
della contribuzione ottenuto da AEM con DM 25338/98 in ragione del riconoscimento
della stabilità dell’impiego.

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Dunque, sia ex art. 2112 cc, sia per applicazione del CCNL di settore, avendo il
personale mantenuto il medesimo trattamento da CCNL e il medesimo trattamento
INPDAP, sussisteva la stabilità dell’impiego per l’esenzione contributiva.
Assume la ricorrente, altresì, che la normativa in questione è stata novellata
dal citato dl n. 112 del 2008, per effetto del quale l’imposizione contributiva per
disoccupazione nei confronti delle aziende di cui all’art. 40, n. 2, del RDL n. 1827 del
1935 decorre dal 1° gennaio 2009.

La sentenza sarebbe, altresì viziata da motivazione insufficiente, illogica e
contraddittoria su punti essenziali della controversia, sia perché la Corte d’Appello
nega che essa ricorrente sia disciplinata da norma diverse rispetto a quelle della spa, sia
perché effettua una commistione tra la disciplina dell’art. 20 della legge n. 133 del 2008
e quella anteriore dell’art. 40, n. 2, del RDL n. 1827 del 1935.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ad integrazione del primo motivo,
violazione dell’alt 40, n. 2, del RDL n. 1827/35, dell’art. 20, commi 2, 4, 5 e 6 della
legge n. 133 del 2008, dell’art. 2112 cc, in relazione all’art. 360, n. 3, cpc.
La ricorrente censura la sentenza laddove pur riconoscendo la derivazione, ex
art. 2112 cc., della ricorrente dalla società AEM ha negato l’applicazione del diritto
all’esonero di AEM, con motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria.
3. I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione
della loro connessione.
4. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.
5. Questa Corte, con le sentenze n. 19087, n. 20818, n. 20819, n. 22318, del
2013, ha già avuto modo di pronunciarsi con riguardo ad analoga fattispecie,
confermando, con articolate motivazioni, l’orientamento secondo cui la società
partecipata non può identificarsi con “le imprese industriali degli enti pubblici,
trattandosi di società di natura essenzialmente privata nella quale l’amministrazione
pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato,
dovendosi altresì escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella
propria dello schema societario, che la mera partecipazione — per maggioranza , ma non
totalitaria, da parte dell’ente pubblico sia idonea a determinare la natura dell’organismo
attraverso cui la gestione del servizio pubblico viene attuata”.
Questa Corte ha, quindi, affermato, che la forma societaria di diritto privato è
per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta
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dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento
dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato.
Quindi le società per azione a partecipazione pubblica vanno esclude dal concetto di
“imprese pubbliche” (citate sentenze Cassakione)
A tale orientamento, che si condivide, questa Corte intende dare continuità,
anche in ragione delle argomentazioni di seguito illustrate, che pongono in evidenza
come l’evoluzione della normativa comunitaria e nazionale promuova forme e strumenti

di natura essenzialmente non autoritativa per la gestione dei servizi pubblici locali
(rispetto alla quale, peraltro, si sta progressivamente sviluppando una attività, a
carattere strumentale, di ct(stamer care) e di attività di impresa dell’amministrazione
pubblica.
6. Storicamente, può ricordarsi che il fenomeno delle società a partecipazione
pubblica ha visto lo Stato assumere la veste di imprenditore, in particolare, o a partire
dagli anni trenta del novecento, per poi passare negli anni ’90 alla privatizzazione
formale di enti pubblici sino a pervenire a fenomeni di esternalizzazione di attività
dell’amministrazione, al fine di renderne meno farraginosa l’azione amministrativa (cfr.,
Cass., S.U., ordinanza n. 19667 del 2003).
7. Come si vedrà, certo non è senza rilievo l’oggetto di servizio pubblico locale
dell’attività esercitata mediante società di diritto privato, e la partecipazione pubblica
alle stesse, preoccupandosi, tuttavia, il legislatore comunitario e quello nazionale che
non vengano lese le dinamiche della concorrenza nel mercato e per il mercato,
introducendo misure cd. antitrust, misure legislative di promozione, che mirano ad
aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo
o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della
competizione tra imprese, in generale i vincoli alle modalità di esercizio delle attività
economiche; misure per favorire l’apertura del mercato alla concorrenza. garantendo i
mercati ed i soggetti che in essi operano (cfr. Corte cost., sentenza n. 430 del 2007).
8. Ciò tuttavia, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità sopra
richiamata, non è dirimente ai fini previdenziali in esame, atteso che proprio il
passaggio della gestione dei servizi pubblici locali da soggetti pubblici (quali le aziende
municipalizzate) a soggetti privati, anche se partecipati, incide sulla disciplina dei
rapporti di lavoro in modo significativo, e fa venir meno le condizioni a cui il
legislatore ha connesso l’esclusione dal pagamento della contribuzione in questione.
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9. Tenuto conto della ratio decidendi della pronuncia della Corte d’Appello e
dei motivi di ricorso, un compiuto vaglio di questi ultimi in relazione alla normativa di
riferimento, richiede di soffermarsi sul rilievo che assume l’esercizio di un pubblico
servizio locale da parte di società per azioni partecipata, come avviene nel caso di
specie, per le ragioni sopra esposte.
10. A sostegno delle proprie tesi difensive, la ricorrente ha fatto riferimento alla
disciplina della gestione dei servizi pubblici locali, all’impresa pubblica, alle peculiarità

Tali modelli, così come le cd. imprese strumentali,

del proprio modello societario.
presentano molteplici

peculiarità e pongono diverse problematiche proprio con riguardo agli effetti della
partecipazione pubblica, ma a fini diversi da quelli della contribuzione previdenziale,
per la quale permane l’esclusivo rilievo del carattere privato della società, come si vedrà
dalla ricognizione normativa che segue.
11. L’assetto originario dei servizi pubblici locali è stato delineato dall’art. 22
della legge 142 del 1990, poi confluito negli artt. 112 e 113 del d.lgs. n. 267 del 2000,
recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
L’art. 112 del T.U. afferma che gli enti locali, nell’ambito delle rispettive
competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto la
produzione di beni ed attività rivolte alla realizzazione di fini sociali, nonché a
promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
L’art. 113, così come formulato originariamente, prevedeva, indipendentemente
dalla rilevanza economica o meno dei servizi, la possibilità per gli enti locali sia di
ricorrere alla gestione in economia sia di affidare la gestione dei servizi pubblici locali
in concessione anche a società per azioni a prevalente capitale pubblico.
11.1. Successivamente l’art. 35 della legge n. 448 del 2001 sostituiva l’art. 113
ed introducendo l’art. 113-bis, provvedendo in tal modo a distinguere le formule da
adottare per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza industriale da quelle per
la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale.
Tale riforma era stata resa necessaria al fine di assicurare l’apertura del mercato
dei servizi pubblici di rilevanza industriale, ed il rispetto dei principi comunitari della
libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi e soprattutto della
libera concorrenza; infatti, il novellato art. 113 affidava la gestione dei servizi di
rilevanza industriale esclusivamente a società di capitali, abrogando la gestione in
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economia che restava invece possibile per i servizi pubblici privi di rilevanza
industriale.
11.2. Tale novella veniva seguita da altri interventi legislativi, con una nuova
formulazione dell’art. 113 del d.lgs. 267 del 2000 ad opera dell’art. 14 del d.l. 269 del
2003 e dell’art. 4 della legge n. 350 del 2003.
Dette norme sostituivano il criterio della rilevanza industriale con quello della
rilevanza economica.

11.3. In proposito si può ricordare quanto affermato dalla Corte costituzionale
con la sentenza n. 325 del 2010 e cioè che in àmbito comunitario non viene mai
utilizzata l’espressione «servizio pubblico locale di rilevanza economica», ma solo
quella di «servizio di interesse economico generale» (SIEG), rinvenibile, in particolare,
negli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
Detti articoli non fissano le condizioni di uso di tale ultima espressione, ma, in
base alle interpretazioni elaborate al riguardo dalla giurisprudenza comunitaria (ex
multis, Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia) e dalla
Commissione europea, emerge con chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove
limitata all’àmbito locale, e quella interna di SPL di rilevanza economica hanno
«contenuto omologo» (Corte costituzionale, sentenza n. 272 del 2004).
11.4. Entrambe le suddette nozioni, interna e comunitaria, fanno riferimento
infatti ad un servizio che:
a) è reso mediante un’attività economica (in forma di impresa pubblica o
privata), intesa in senso ampio, come qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o
servizi su un determinato mercato;
b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cioè, a realizzare anche
“fini sociali”) nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere
dalle loro particolari condizioni.
Le due nozioni, inoltre, assolvono l’analoga funzione di identificare i servizi la
cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante
affidamento a terzi secondo procedure competitive ad evidenza pubblica (citata sentenza
Corte cost. n. 325 del 2010).
Può osservarsi come la normativa comunitaria ammette la gestione diretta del
SPL da parte dell’autorità pubblica nel caso in cui lo Stato nazionale ritenga che
l’applicazione delle regole di concorrenza (e, quindi, anche della regola della necessità
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dell’affidamento a terzi mediante una gara ad evidenza pubblica) ostacoli, in diritto od
in fatto, la «speciale missione» dell’ente pubblico (art. 106 TFUE).
11.5. Successivamente al richiamato intervento del Giudice delle Leggi, è poi
intervenuto l’art. 23-bis del d.l. 112 del 2008, convertito dalla legge n.133 del 2008.
La disciplina dettata da tale norma si caratterizzava per il fatto che fissava una
normativa generale di settore, volta a restringere, rispetto al livello minimo stabilito
dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in

particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica,
consentite solo in casi eccezionali ed al ricorrere di specifiche condizioni, la cui
regolamentazione veniva, peraltro, demandata ad un regolamento governativo, poi
adottato con il d.P.R. 7 settembre 2010 n. 168.
Tale disciplina superava il vaglio di legittimità costituzionale (sentenza Corte
cost. n. 325 del 2010), ma veniva abrogata dal referendum popolare dell’ 11 e 12 giugno
2011, realizzandosi, pertanto, l’intento referendario di «escludere l’applicazione delle
norme contenute nell’art. 23-bis che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi
di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i
servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)»
(sentenza Corte cost. n. 24 del 2011).
L’art. 4 del d.l. 138 del 2011 riprendeva in larga parte la disciplina abrogata per
via referendaria, sollevando dubbi di legittimità costituzionale confermati dalla Corte
Costituzionale nella sentenza n. 199 del 2012, atteso il divieto di ripristino della
normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost.
11.6. All’azzeramento della normativa contenuta nell’art. 4 del d.l. n. 138 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 148 del 2011, ad opera della sentenza
della Corte Costituzionale n. 199 del 2012, è conseguito un effetto di semplificazione;
con la conseguente applicazione, nella materia dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica, oltre che della disciplina di settore non toccata dalla detta sentenza, della
normativa e dei principi generali dell’ordinamento europeo, nonché di quelli affermati
dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e di quella nazionale.
11.7. Così riepilogato il quadro di riferimento normativo comunitario e
nazionale, si deve rilevare come una prima definizione giurisprudenziale della figura
dell’in house, è fornita dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee
del 18 novembre 1999, causa C-107/98 — Teckal.
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In quella sede si è affermato che non è necessario rispettare le regole della gara
in materia di appalti nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti elementi:
a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario un
“controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi;
b) il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attività in
favore dell’ente pubblico di appartenenza.
11.8. Con la sentenza n. 50 del 2013, la Corte costituzionale ha, poi, affermato

che: la Corte di giustizia dell’Unione europea ha riconosciuto che rientra nel potere
organizzativo delle autorità pubbliche degli Stati membri “autoprodurre” beni, servizi o
lavori, mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall’ente
conferente, siano legati a quest’ultimo da una “relazione organica” (il cd. affidamento
in house). Allo scopo di evitare che l’affidamento diretto a soggetti in house si risolva in
una violazione dei principi del libero mercato e quindi delle regole concorrenziali, che
impongono sia garantito il pari trattamento tra imprese pubbliche e private, la stessa
Corte ha affermato che è possibile non osservare le regole della concorrenza a due
condizioni. La prima è che l’ente pubblico svolga sulla società in house un controllo
analogo a quello esercitato sui propri servizi; la seconda è che il soggetto affidatario
realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente pubblico (citata sentenza
18 novembre 1999, in causa C-107198, Teckal).
12. Come si può rilevare, dunque, la finalizzazione della spa alla gestione in
house di un servizio pubblico, come nel caso di specie, non muta la natura giuridica
privata della società con riguardo alle ricadute previdenziali dei rapporti di lavoro, ma
assume rilievo nell’ordinamento nazionale e comunitario con riguardo al mercato e alla
tutela della concorrenza.
13. Né argomenti possono desumersi dal richiamo della nozione di impresa
pubblica che costituisce anch’essa categoria all’attenzione del legislatore comunitario,
che se ne occupa all’art. 86 del Trattato e poi negli artt. 101, 102 e 103 sul divieto di
facilitazioni finanziarie.
Il legislatore comunitario ha, infatti, previsto, e sotto questo aspetto l’ha
disciplinata, che essa non fosse sottratta, in virtù dei rapporti con i pubblici poteri, alle
regole del mercato imposte, indipendentemente dalla loro appartenenza, a tutte le
imprese: regole che valgono per tutti gli operatori economici e non ammettono deroghe
per le imprese pubbliche.
11

Non è senza significato, in proposito, che i caratteri distintivi dell’impresa
pubblica devono essere ricercati nelle direttive sulla trasparenza devono essere ricercati
nelle direttive sulla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro
imprese pubbliche (direttiva 80/723 della Commissione, successivamente modificata
dalle direttive 2000/52 e 2005/81, ora codificate nella direttiva 2006/111), che hanno
posto l’accento sull’esigenza di assicurare la parità di trattamento tra imprese pubbliche
e private e, a questi fini, sulla necessità di una compiuta trasparenza circa le relazioni

finanziarie intercorrenti tra poteri pubblici nazionali e imprese pubbliche, in modo da
distinguere chiaramente il ruolo svolto dalla pubblica amministrazione quale potere
pubblico e quello svolto dalla stessa quale privato.
La qualifica di un soggetto come impresa pubblica prescinde perciò dal fine
perseguito, mentre assume valenza decisiva il legame tra l’impresa e la pubblica
amministrazione (intesa nella sua accezione più ampia, propria alla materia degli
appalti, comprensiva perciò anche dell’organismo di diritto pubblico) “dominante”.
Anche in questo caso, occorre rilevare, il peculiare regime della cd. impresa
pubblica, non può determinare, ex sé, ricadute sul regime previdenziale della spa che
rivesta tali caratteristiche.
14. Infine si rileva come esuli, altresì, dal caso di specie la nozione di società
pubblica strumentale, attesa l’esclusione “dei servizi pubblici locali” sancita dall’art. 13
del d.l. n. 223 del 2006. Le stesse destinate a produrre beni e servizi finalizzati alle
esigenze dell’ente pubblico partecipante, si distinguono dalle società a partecipazione
pubblico- privata, esercitate secondo modelli paritetici, in cui il ruolo degli enti
territoriali corrisponde a quello di un azionista di una società per azioni (cfr., Consiglio
di Stato, Sezione VI, 11 gennaio 2013, n. 122).
15. Così ripercorso il quadro normativo di riferimento circa le modalità di
esercizio di un servizio pubblico locale tramite spa, rileva la Corte che non sussistono
le condizioni per escludere la contribuzione per cui è causa.
16. In ragione di quanto sopra esposto, come già ritenuto da questa Corte,
(Cass. nn. 20818, 20819, 22318, 11417 del 2013, Cass., n. 14847 del 2009), la società
partecipata non può identificarsi con le imprese industriali degli enti pubblici
esonerate, trattandosi di società di natura essenzialmente privata nella quale
l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti
di diritto privato, e dovendosi escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria
12

rispetto a quella propria dello schema societario, che la mera partecipazione – pur
maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico sia idonea a detenninare la
natura dell’organismo attraverso cui la gestione del servizio pubblico viene attuata.
17. Quanto all’indennità di disoccupazione va ricordato che l’art. 40, comma 1,
n. 2, del R.D.L. n. 1827 del 1935, sanciva che non sono soggetti all’assicurazione
obbligatoria per la disoccupazione involontaria “gli impiegati, agenti e operai stabili di
aziende pubbliche, nonché gli impiegati, agenti e operai delle aziende esercenti pubblici

servizi e di quelle private, quando ad essi sia garantita la stabilità d’impiego”.
L’art. 32 della legge n. 264 del 1949, ha poi stabilito, al comma 1, lettera b),
che l’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione era esteso agli impiegati,
anche delle pubbliche amministrazioni, cui non fosse garantita la stabilità dell’impiego,
senza limite di retribuzione.
L’art. 36 del d.P.R. n. 818 del 1957, nel testo originario, stabiliva che ai fini
dell’applicazione dell’articolo 40, n. 2 , del d.P.R. n. 1827 del 1935 e dell’art. 32,
lettera b), della legge n. 264 del 1949, la sussistenza della stabilità dell’impiego,
quando non risultava da norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico
del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, dalle aziende pubbliche e
dalle aziende esercenti pubblici servizi, era accertata in sede amministrativa su domanda
del datore di lavoro, con provvedimento del Ministro del lavoro e la previdenza sociale
decorrente a tutti gli effetti dalla data della domanda medesima.
Detto art. 36 è stato modificato dall’art. 20, comma 5, del d.l. n. 112 del 2008,
convertito dalla legge n. 133 del 2008, che ha soppresso le parole “dell’articolo 40, n.2,
del dPR n. 1827 del 1935”.
Il medesimo art. 20 del d.l. n. 112 del 2008, al comma 4, ha abrogato l’art. 40, n.
2 del R.D.L. n. 1827 del 1935, prevedendo (al successivo comma 5) che l’estensione
dell’obbligo assicurativo, di cui al comma 4, si applicava con effetto dal primo periodo
di paga decorrente dal 1° gennaio 2009.
L’art. 40 è stato poi abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dall’art. 2,
comma 69, lettera c), della legge n. 92 del 2012.
Le richiamate sopravvenienze normative non incidono sulla fattispecie in esame
atteso il periodo di contribuzione in contestazione (marzo-dicembre 2005).
Nessun significato interpretativo può, infatti attribuirsi al d.l. n. 112 del 2008,
convertito dalla legge n. 133 del 2008, che ha previsto, solo con decorrenza 10 gennaio
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2009, l’obbligo del versamento dei contributi per malattia e maternità nei conforti delle
imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali, privatizzate ed a capitale
misto (art. 20, comma 2). Infatti la contribuzione disciplinata da tale norma è diversa da
quella inerente i titoli vantati dall’INPS nella presente controversia e non implica
“razionalizzazione” dell’intera materia dell’obbligazione contributiva delle imprese
pubbliche, privatizzate o a capitale misto, ovvero una assimilazione di tali imprese a
qualunque fine previdenziale o assistenziale, dato che, piuttosto, la omogeneità è solo

nel senso della estensione dell’obbligo contributivo per la malattia a tutte le imprese,
comprese quelle privatizzate e a capitale misto (v., Cass., sentenza n. 19087 del 2013)
17.1. Ne è fondata la doglianza con la quale, nel censurare la statuizione
della Corte d’Appello, la ricorrente tende a far derivare l’esonero della richiesta di
contribuzione da un provvedimento emesso dall’Autorità amministrativa in favore di
AEM, in quanto lo stesso dovrebbe ritenersi produrre effetto esonerativo anche per
AEM spa e per le società da essa derivate, per scorporo ovvero per cessione di ramo
d’azienda.
Come correttamente ritenuto dalla Corte d’Appello, nel caso di specie, detto
provvedimento di accertamento era legato alla condizione dell’Azienda esaminata in
relazione alla soggettività specifica del datore di lavoro, come esistente al momento
dell’accertamento ed alle condizioni ivi verificate, con impossibilità di trasferire detto
provvedimento in capo ad altri soggetti economici (Cass., n. 20818 del 2013).
Peraltro, in presenza di trasferimento d’azienda, trova applicazione l’art. 2112
cc, che persegue lo scopo di garantire ai lavoratori la conservazione dei diritti in caso di
mutamento dell’imprenditore assicurando la continuità del rapporto di lavoro nei
confronti dell’azienda, o alla parte di essa, trasferita ed esistente al momento del
trasferimento. È estranea, invece, alla tutela da essa offerta la garanzia di continuità
delle prerogative della struttura aziendale riconosciute alla parte imprenditoriale
dall’autorità amministrativa, atteso che dette prerogative sono condizionate alla
permanenza dei requisiti richiesti dalla legge per il loro riconoscimento.
17.2. Sempre con riguardo al requisito della stabilità dell’impiego, passando alla
rilievo attribuito alle disposizioni collettive, come questa Corte ha più volte affermato,
nel giudizio di legittimità le censure relative all’interpretazione di un contratto o di un
accordo collettivo offerta da parte del giudice di merito possono essere prospettate sotto
il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della
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insufficienza o contraddittorietà della motivazione, mentre la mera contrapposizione fra
l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non
riveste alcuna utilità ai fini dell’annullamento di quest’ultima (da ultimo, Cass., n. 14318
del 2013).
La denuncia della violazione delle regole di ermeneutica richiede una specifica
indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la
violazione anzidetta, non potendo le censure risolversi, in contrasto con la
qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera contrapposizione di

.•

un’interpretazione diversa da quella criticata.
Nella specie la ricorrente si limita a richiamare il CCNL di settore
Elettrici/Federelettrica, citato dalla Corte d’Appello quale elemento preso in esame con
il DM 25338/98, senza articolare la censura come richiesto dalla giurisprudenza di
legittimità sopra richiamata. La Corte d’Appello, peraltro, dava atto di non poter
accedere alla tesi della ricorrente di estensione dell’esonero per il riconoscimento
della stabilità di impiego in forza del Contratto Elettrici/Federelettrica, ma rilevava che
il provvedimento in questione era stato emesso in favore di un soggetto rispondente al
momento della domanda ai requisiti richiesti, la cui efficacia non poteva essere estesa
alle diverse figure societarie che nel tempo si erano succedute.
18. Il ricorso deve essere rigettato.
19. Sussistono le condizioni di cui all’art. 92 cpc per compensare tra le parti
costituite le spese di giudizio in ragione della complessità delle questioni sottoposte
all’esame della Corte.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio tra le parti
costituite.
Roma 15 ottobre 2013
—–

4.6 jut

‘1,14-efitet

1 Consigliere estensore
15

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