Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27925 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. II, 30/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 30/10/2019), n.27925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22981/2014 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE

MARZIO 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MACARIO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GRAZIANI, rappresentato e

difeso dagli avvocati MASSIMO ROSSI, GIANCARLO LOMBARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 802/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/05/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la sentenza di primo grado, riunite due cause contrapposte, confermata la legittimità del recesso della preponente mandante Milano Assicurazioni s.p.a. (successivamente, Unipol Sai Assicurazioni s.p.a., Compagnia Assicurazioni di Milano s.p.a., e, indi, Unipol Sai Assicurazioni s.p.a.), determinò il credito dell’agente L.A. C. s.a.s. in Euro 496.836,99 e quello della compagnia assicuratrice in Euro 1.705.355,17;

che la Corte d’appello di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, decidendo sull’impugnazione dell’agente, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ridusse a Euro 1.244.137,78 il credito dell’appellata compagnia assicurativa;

che la L.A. C. s.a.s. e L.A. in proprio ricorrono avverso la statuizione d’appello prospettando sei motivi di censura, ulteriormente illustrati da memoria;

che la Unipol sai Assicurazioni resiste con controricorso;

che venuta la causa all’adunanza camerale del 12/7/2018 la Corte disponeva acquisirsi il fascicolo d’ufficio di primo e secondo grado (i ricorrenti ne avevano fatto rituale richiesta), acquisiti i quali il processo veniva rimesso in decisione all’adunanza camerale del 29/5/2019;

ritenuto che con il primo motivo le ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 1750,1751,2119 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo, in sintesi, che:

– la mandante non aveva dato prova, come era suo onere, della immediatezza e tempestività della contestazione dell’addebito (rilascio di numerose polizze per R.C.A. con applicazione di tariffa prevista per veicoli con numero inferiore di cavalli fiscali rispetto a quelli reali, con conseguente mancato introito per la compagnia assicuratrice), in quanto la lettera di revoca, pervenuta il 29/3/2006, nulla spiegava in ordine all’evidenziato profilo, la precedente nota di contestazione, con la quale si era addebitato un uso improprio della concessa flessibilità (sconti non autorizzati), risaliva al 12/4/2005, e, infine, l’affermazione di cui alla comparsa di risposta, secondo la quale la Unipol era venuta a conoscenza della sotto-tariffazione a seguito di una segnalazione della Polizia stradale, conseguente a una occasionale verifica, era rimasta priva di riscontro probatorio (nessuna prova specifica addotta e i testi escussi non avevano fornito risposte pertinenti);

considerato che la doglianza deve essere rigettata sulla base delle seguenti osservazioni:

– consta dalla decisione impugnata che la compiuta conoscenza (comunque tale da formulare addebito plausibile) da parte della mandante si era avuta solo con l’ispezione condotta da quest’ultima nei primi mesi del 2006, la quale, prese in considerazione, con controllo a campione, le polizze emesse dal 2002 in poi, aveva rinvenuto nel campione esaminato un rilevante numero di polizze sottostimate;

– la denunzia di violazioni di legge non determina, per ciò stesso, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente, inferenza che qui non ha fondamento, non rilevandosi alcuna violazione delle norme evocate, ma una lettura dei fatti, in questa sede non censurabile, difforme dalla prospettazione impugnatoria;

ritenuto che con il secondo motivo le ricorrenti prospettano l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione falsa applicazione dell’art. 23 dell’Accordo nazionale di categoria del 2003 e degli artt. 183 e 198 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, evidenziando quanto appresso:

– la Corte d’appello aveva omesso di deliberare sul secondo motivo, con il qual era stato chiesto rinnovarsi la consulenza tecnica, a cagione delle approssimate e prive di supporto documentale, conclusioni alle quali era giunta quella disposta dal Tribunale;

– il CTU aveva utilizzato una pluralità di documenti prodotti dalla controparte, dopo maturate le preclusioni di legge, in violazione dell’art. 183 c.p.c.;

– in ogni caso i documenti sui quali il perito si era basato (in ispecie per la partita, di cospicuo rilievo economico, dei premi che avrebbe corrisposto l’ASL di Foggia) erano irrimediabilmente lacunosi e contraddittori;

– era stato violato l’art. 23 dell’A.N.A., poichè la Compagnia non aveva ottemperato all’obbligo di rendere disponibile “tutti i dati e la relativa documentazione concernenti la liquidazione del rapporto, presso le proprie sedei o quella dell’agenzia”;

considerato che l’esposto motivo è infondato per le ragioni seguenti:

– la dedotta violazione dell’art. 23 dell’A.N. A. non è scrutinabile a cagione della novità della questione, sorretta da inammissibile tardiva produzione documentale (art. 372, c.p.c.);

– lungi dal ricorrere l’ipotesi dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, sotto altro profilo, con il motivo si richiede un improprio riesame di merito delle valutazioni insindacabili della Corte d’appello, la quale non ha reputato necessario far luogo a rinnovazione della C.T.U.;

– parimenti inammissibili risultano le denunzie d’illegittimità della CTU per violazione dell’art. 198, c.p.c., dovendosi osservare che anche questo profilo di doglianza appare nuovo, non constando che l’eccezione di cui si discute fosse stata tempestivamente sollevata (art. 157 c.p.c.) e poi riproposta con specifico motivo d’appello;

ritenuto che con il terzo motivo le ricorrenti allegano, nuovamente, violazione dell’art. 23 dell’A.N.A. del 2003, art. 115, c.p.c., artt. 1387 e 1988, c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo che:

– in spregio all’art. 23 citato non si era considerato che non solo andavano firmati gli allegati, ma, in primo luogo, il verbale di riconsegna alla mandante e, nella specie, il figlio della L., P.C., presente alle operazioni, aveva sottoscritto solo gli allegati; inoltre non si era dato atto dell’elenco delle provvigioni maturande;

– era stata introdotta una regola di comune esperienza falsa, poichè dalla circostanza dell’apposizione della firma del P. si era tratto il convincimento che, non avendo costui espresso riserve o formulato precisazioni, avesse accettato la contestazione;

– non v’era prova della procura che la L. aveva conferito al figlio e, comunque, l’art. 1988 c.c., perchè si possa assegnare valore di riconoscimento del debito alla dichiarazione richiede il duplice concorso dell’intenzione ricognitiva e del potere di disporre del diritto;

considerato che il motivo, sotto tutti profili sopra sintetizzati, è privo di fondamento:

– a parte ogni altra valutazione, il richiamo alla norma del contratto collettivo è nuovo;

– l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); conseguendone che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629831); il ricorso, invece, lungi dal delineare una omissione di tal fatta, s’impegna in una critica degli apprezzamenti di merito operati dalla Corte locale, con la pretesa di ottenere un nuovo ed inammissibile riesame;

– la doglianza investe, inoltre, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299), apprezzamento che, per contro, la Corte locale ha ampiamente effettuato (cfr. pag. 12 e ss.);

– il richiamo all’art. 1988, c.c., non è pertinente, qui non si è in presenza di una ricognizione di debito, bensì della constatazione di una situazione contabile; in disparte è appena il caso di soggiungere che l’asserto, secondo il quale il P. non avesse animo ricognitivo e potere di disporre del diritto, oltre che essere apodittico e congetturale, si risolve nella richiesta di un nuovo accertamento di fatto, che smentisca quello puntualmente effettuato dalla sentenza gravata;

ritenuto che con il quarto motivo le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 2697, c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto:

– la sentenza impugnata aveva affermato, quanto ai pretesi premi, ammontanti a oltre novecentomila Euro, incassati dalla ASL di Foggia, e non riversati alla Compagnia, doversi reputare provata la minor somma di circa cinquecentomila Euro, stante che il consulente di fiducia della parte oggi ricorrente aveva ammesso l’esistenza della partita, per la quale aveva dichiarato che solo una parte dei premi, per un ammontare di circa quattrocentomila Euro, era stata riversata alla mandante;

– una tale supposizione non aveva trovato conferma nella escussione testimoniale e nei documenti;

– non si era considerato che il consulente di parte aveva contestato la sussistenza del complessivo importo preteso dalla mandante;

ritenuto che la doglianza non può che essere disattesa, mirando, all’evidenza, a un inammissibile riesame di merito del vaglio probatorio;

ritenuto che con il quinto motivo le ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 20 dell’ANA del 2003, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè:

– nel caso in cui non si fosse fatto luogo a rinnovazione della CTU si era chiesto che, comunque, si riconoscesse all’agente, ai sensi del citato art. 20, a titolo di provvigioni maturate, la maggior somma di Euro 78.316,19, somma che era stata ridimensionata dalla sentenza d’appello ad Euro 44.914,04, la quale era incorsa in errore di calcolo;

ritenuto che il motivo è infondato per quanto appresso:

– l’evocazione dell’art. 20 dell’ANA non può essere presa in esame per le ragioni già sopra enunciate;

– quanto ai computi, trattandosi di risultanze prive d’immediata oggettiva percepibilità, in quanto derivanti dall’esame delle risultanze probatorie, la critica, ancora una volta, sollecita un improprio vaglio di merito da parte del Giudice della legittimità;

considerato che il sesto motivo resta assorbito (assorbimento improprio) dal rigetto del primo, del quale presuppone l’accoglimento, adducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 12A, 18bis e 25 dell’A.N. A. del 2003, in relazione alle indennità spettanti all’agente in caso di risoluzione da parte del preponente in difetto di giusta causa;

considerato che in virtù del principio di soccombenza le ricorrenti dovranno rimborsare alla controparte le spese legali del giudizio di legittimità, nella misura, stimata congrua, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività svolte, di cui in dispositivo;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte delle ricorrenti a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese legali in favore della resistente, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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