Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27924 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. II, 30/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 30/10/2019), n.27924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15423/2015 proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, V. RENATO FUCINI

288, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RENZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FABRIZIO MARINELLI;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE ISTITUTO MONSIGNORE E.A.F. ONLUS,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BERENGARIO 10, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO D’ELIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIAROSARIA SIMONELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 371/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 13/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/05/2019 dal Presidente Dott. FELICE MANNA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 22.12.1979 D.A.D., non in proprio bensì quale procuratore ad negotium di C.d.T.A.M., vendeva con atto pubblico a S.R. un terreno sito in (OMISSIS), per il prezzo dichiarato e quietanzato di lire 90.000.000.

Tre giorni dopo moriva C.d.T.A.M.. Con citazione notificata il 29.6.1985 l’avv. Sa.Ga., curatore dell’eredità beneficiata di lei, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale dell’Aquila, S.R. e D.A.D. affinchè tale vendita fosse dichiarata invalida per difetto dei poteri del rappresentante. Chiedeva, pertanto, in tesi la restituzione del bene alla curatela, in ipotesi la condanna di S.R. al pagamento del prezzo, che assumeva non essere mai stato versato.

Entrambi i convenuti resistevano alla domanda.

In particolare S.R., premesso di essere stato affittuario del fondo oggetto della vendita, deduceva che il prezzo era stato saldato mediante estinzione delle ipoteche iscritte sul bene per lire 71.000.000 e restituzione alla venditrice di sette effetti cambiari dell’importo di Lire 19.000.000.

Con sentenza n. 321/88 il Tribunale adito rigettava la domanda d’annullamento del contratto, ma accoglieva quella, subordinata, di condanna di S.R. al pagamento del prezzo di Lire 90.000.000.

Le separate impugnazioni proposte contro detta sentenza dal curatore dell’eredità beneficiata e da S.R. erano respinte dalla Corte d’appello dell’Aquila con sentenza n. 676/02.

Con sentenza n. 17931/07 questa Corte di cassazione, respinta l’impugnazione principale della curatela dell’eredità ed accolto il ricorso incidentale di S.R., annullava detta pronuncia con rinvio alla Corte d’appello di Campobasso. Rilevava, al riguardo, l’insufficienza motivazionale della sentenza di secondo grado, la quale, nel ribadire la decisione del Tribunale lì dove questa aveva ritenuto non provato il pagamento del prezzo, si era limitata a richiamare genericamente le risultanze processuali e la sola deposizione della teste I..

Con sentenza n. 371/14, resa nei confronti della fondazione Istituto monsignore E.A.F. onlus, quale erede beneficiato pervenuto in bonis all’esito della procedura liquidatoria, la Corte d’appello di Campobasso “rigetta(va) l’appello” (sic).

Il giudice di rinvio richiamava ampiamente la sentenza di primo grado in ordine al tema residuo della prova del pagamento, incluso il passo col quale il Tribunale aveva ritenuto che la dichiarazione di quietanza resa nell’atto pubblico dal D.A., il quale aveva affermato che il prezzo di Lire 90.000.000 era stato già precedentemente pagato alla venditrice, era da ritenersi inefficace ai sensi dell’art. 2731 c.c., in quanto eccedente i limiti imposti dalla procura. Esaminava, quindi, le deposizioni rese dai testi I.M.C. e N., giudicando l’una fumosa e non esaustiva sotto più profili, e l’altra non idonea a supportare la tesi dell’estinzione dell’obbligazione di pagamento mediante compensazione e/o accollo interno (intendi, del debito verso i creditori ipotecari), per le incertezze mostrate dal teste sull’epoca di restituzione delle cambiali, indicata in un momento successivo al decesso di C.d.T.A.M..

Infine, la Corte distrettuale osservava che nell’atto pubblico di vendita le parti avevano stabilito che le ipoteche iscritte a favore di I.M.C. ed V.A., per un importo complessivo di Lire 71.000.000, sarebbero state cancellate a cura e spese dell’acquirente, che avrebbe pagato i creditori. Pertanto, tale accollo, pur concorrendo ad integrare il corrispettivo, non era ricompreso nella somma di Lire 90.000.000, e ciò sia perchè le parti avevano previsto al riguardo pattuizioni separate, sia perchè, a differenza del saldo dei 90.000.000 di Lire, che era stato dato come già avvenuto prima dell’atto, l’accollo prevedeva ovviamente un pagamento non ancora effettuato.

Restava – così concludeva la Corte territoriale – la questione inerente alla portata confessoria della quietanza, ma sul punto la Corte di cassazione non aveva ritenuto di formulare censure, e ad ogni modo doveva condividersi al riguardo quanto ritenuto dal giudice di primo grado. In particolare, richiamava l’art. 2731 c.c., in base al quale la confessione resa dal rappresentante è efficace solo se fatta entro i limiti in cui questi vincola il rappresentato. Ma poichè nella specie al rappresentante era stato conferito solo il potere di “ricevere il prezzo dandone quietanza”, questi non avrebbe in alcun caso potuto quietanzare un pagamento ricevuto da altri.

Contro tale sentenza S.R. propone ricorso affidato a quattro motivi.

Vi resiste con controricorso la fondazione Istituto monsignore E.A.F. onlus.

In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Va premesso che correttamente il ricorso non è stato notificato a D.A.D., benchè questi risultasse parte del giudizio di rinvio, essendosi già prima formato nei confronti di lui il giudicato interno di rigetto della domanda di annullamento del contratto, cui soltanto era legittimato passivamente.

2. – Il primo motivo allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 2731 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto al D.A. era stato espressamente conferito il potere di rilasciare quietanza, e dunque non si vede la ragione, sostiene parte ricorrente, per cui la sua dichiarazione in tal senso non sarebbe efficace nei confronti del rappresentato. Inoltre, sebbene sia vero che il D.A. non aveva ricevuto personalmente il prezzo, l’obbligazione era stata estinta mediante compensazione o accollo, modo diverso dall’adempimento ma non per questo meno lecito ed efficace.

2.1. – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

2.1.1. – Infondato, in quanto nell’applicare la seconda parte dell’art. 2731 c.c., la Corte territoriale, facendo espressamente proprio un giudizio che era stato espresso dal giudice di prime cure (v. pag. 10 sentenza impugnata), ha ritenuto che la procura speciale aveva attribuito al D.A. il potere, fra l’altro, di “ricevere il prezzo dandone quietanza”. Il rappresentante, invece, nell’atto pubblico aveva dichiarato che il prezzo di vendita di Lire 90.000.000 era stato già pagato dal compratore e incassato dalla venditrice, per cui nella qualità ridetta egli ne rilasciò ampia e finale quietanza a saldo.

Tale accertamento di merito, che registra un’eccedenza tra la dichiarazione negoziale e la procura, nel senso che in forza di quest’ultima il rappresentante avrebbe potuto quietanzare solo i pagamenti che egli stesso avesse ricevuto, non anche quelli riscossi dalla stessa rappresentata, non è sindacabile in questa sede di legittimità, implicando un apprezzamento dei fatti di cui parte ricorrente si limita a protestare la propria incomprensione.

2.1.2. – Inammissibile, poichè la restante deduzione circa la possibilità di estinguere un’obbligazione in modi diversi dall’adempimento, in particolare mediante compensazione o accollo (che peraltro non è un modo di estinzione), non coglie minimamente la ratio decidendi che assiste la sentenza impugnata, basata in parte qua sull’inefficacia della dichiarazione confessoria del rappresentante per carenza del corrispondente potere rappresentativo.

3. – Il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1366 e 1375 c.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E così pure il terzo motivo, con riguardo agli artt. 1391 e 1398 c.c. Negare che l’obbligazione di pagamento del prezzo sia stata estinta mediante compensazione di un debito di pari entità che C.d.T.M. aveva nei confronti di I.M.C., di V.A. e dello stesso odierno ricorrente, sarebbe contrario – si sostiene – al principio di interpretazione e di esecuzione del contratto secondo buona fede, visto che la circostanza in questione è stata ammessa sia dai predetti, sia da D.A.D.. Così come contrasterebbe con i poteri del rappresentante in buona fede la ritenuta inefficacia della dichiarazione di quietanza effettuata dal rappresentante.

3.1. – Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili.

Benchè intitolati sub n. 3 dell’art. 360 c.p.c., essi non contengono alcuna argomentata censura all’interpretazione o all’applicazione delle norme indicate, ma schermano, in realtà, una critica di puro merito sulla soluzione accolta dalla Corte territoriale. La sentenza impugnata non ha interpretato il contratto, chè del resto non ve n’era nessun bisogno ai fini della decisione, essendo la dichiarazione di quietanza evidente e indiscutibile nel suo significato obiettivo. Al contrario, proprio per la chiarezza di quanto trasfuso nell’atto pubblico di vendita – ossia che il prezzo era stato già pagato alla rappresentata la Corte molisana ha rilevato l’inefficacia, per carenza del potere rappresentativo, della dichiarazione di quietanza resa dal rappresentante.

Così pure le critiche che parte ricorrente muove alla sentenza di rinvio non hanno alcun nesso con gli artt. 1391 e 1398 c.c.. Non con l’art. 1391 c.c., perchè detta norma si limita a stabilire il soggetto, tra il rappresentante e il rappresentato, cui debbano essere riferiti gli stati di buona o mala fede dai quali la legge faccia dipendere determinati effetti. Non con l’art. 1398 c.c., la cui funzione normativa è quella di regolare la responsabilità del falsus procurator verso il terzo contraente, senza alcuna incisione della sfera giuridica del rappresentato.

4. – Il quarto motivo lamenta l’omesso esame d’un fatto decisivo e discusso dalle parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Si deduce, al riguardo, che la deposizione della teste I.M.C., ritenuta dalla Corte d’appello “fumosa e non esaustiva”, sarebbe in realtà sufficientemente precisa nell’affermare che il pagamento sarebbe stato effettuato, e che piccole discordanze temporali non ne avrebbero potuto mettere in dubbio l’attendibilità oggettiva. Ed anche il fatto della cancellazione delle ipoteche sarebbe stato assolutamente omesso dai giudici molisani.

4.1. – Il motivo è doppiamente inammissibile.

Una prima volta perchè (in disparte che una cosa è l’omesso esame d’un fatto storico, altra la valutazione del relativo corredo istruttorio, del tutto insindacabile anche sotto il limitato aspetto della sufficienza motivazionale: cfr. per tutte S.U. n. 8053/14) detta censura è affetta da un tasso di genericità assertiva tale da non consentire neppure di comprenderne le ragioni. Sicchè, in definitiva, essa si esaurisce nell’affermare, puramente e semplicemente e senza altra argomentazione di sostegno, che non sarebbe mancata la prova del pagamento.

Una seconda volta perchè elude del tutto il senso della decisione di merito, lì dove non considera che la Corte distrettuale ha affermato che l’accollo del debito ipotecario si aggiungeva al (e non già rientrava nel) prezzo di 90 milioni di lire. E dunque ai fini della condanna al pagamento di tale somma è del tutto ininfluente accertare se l’acquirente abbia estinto il debito accollato.

5. – Il ricorso va dunque respinto.

6. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 5.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di spese e spese forfettarie nella misura del 15%.

Dichiara la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, a carico del ricorrente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA