Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27923 del 31/10/2018

Cassazione civile sez. II, 31/10/2018, (ud. 21/09/2018, dep. 31/10/2018), n.27923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2634-2018 proposto da:

M.M.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ASIAGO N 1, presso lo studio dell’avvocato FLAVIA BIANCHI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA CENTONZE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), ORDINE DEI MEDICI CHIRUGHI E DEGLI

ODONTOIATRI DELLA PROVINCIA DI LECCE, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA

DI LECCE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, FEDERAZIONE NAZIONALE DEGLI ORDINI DEI MEDICI CHIRURGHI

E DEGLI ODONTOIATRI;

– intimati –

avverso la decisione n. 45/2017 della COMM. CENTR. ESERC. PROFESSIONI

SANITARIE di ROMA, depositata il 08/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, il quale ha concluso per la nullità della

decisione;

udito l’Avvocato Centonze.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il dottore M.M.P.M. ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la decisione della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie del 7 novembre 2017, che, in parziale accoglimento del ricorso del dottor M., ha ridotto all’avvertimento la sanzione disciplinare della censura irrogatagli con delibera del 13 ottobre 2014 dall’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Lecce.

Gli intimati Ministero della salute, Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Lecce, Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, PM presso il Tribunale di Lecce, non hanno svolto attività difensive.

La sanzione disciplinare atteneva al mancato pagamento dei contributi obbligatori per le annualità 2011, 2013 e 2004 ed alla mancata presentazione dell’incolpato a diverse convocazioni comunicategli dal Presidente dell’Ordine di Lecce. Il ricorrente ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale, poichè risulta depositata copia della decisione impugnata priva della relazione di notificazione, che il ricorrente dichiara avvenuta tramite posta elettronica certificata in data 8 novembre 2017, va considerato come al ricorso per cassazione avverso la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie non si applica la sanzione di improcedibilità comminata dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in quanto la notifica della decisione della Commissione, D.P.R. n. 221 del 1950, ex art. 68 non rientra tra le notifiche degli atti processuali ex art. 137 e ss. c.p.c. (così Cass. Sez. 3, 13/03/2012, n. 3971).

Nella memoria ex art. 378 c.p.c., presentata il 13 settembre 2018, il ricorrente ha peraltro dedotto che, con sentenza del Consiglio di Stato sez. 3, 06/02/2018, n. 769, è stato annullato il D.P.C.M. 27 dicembre 2016 quanto alla nomina del dottor C.G., quale componente effettivo, e del dottor L.G., quale componente supplente, della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. Con il D.P.C.M. del 27 dicembre 2016, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro della Giustizia, aveva proceduto al rinnovo della Commissione centrale nel dichiarato intento di adeguarne la composizione alla sentenza n. 215 del 7 ottobre 2016 della Corte costituzionale.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza della sez. 3, 06/02/2018, n. 769, richiamando quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 215 del 2016, ha ritenuto però evidente che “la presenza dei due dirigenti del Ministero della Salute, per quanto designati dal Consiglio Superiore di Sanità, riproponga sostanzialmente immutati, in via amministrativa, gli stessi vizi già stigmatizzati dalla Corte costituzionale, a livello legislativo, con la conseguenza che la nomina dei dirigenti del Ministero della Salute effettuata con il D.P.C.M., ancorchè designati dal Consiglio Superiore di Sanità ai sensi del D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, art. 17, comma 1, nel testo risultante dalla pronuncia citata, è illegittima per l’assenza, ancora una volta e per le stesse ragioni di sostanza evidenziate dalla Corte nella sentenza, delle necessarie garanzie atte ad assicurare, per detti componenti, la loro autonomia decisoria, potendo essi essere anche assoggettati a revoca del loro mandato o, indubitabilmente, ad azione disciplinare da parte del Ministero della Salute per eventuali voti o giudizi espressi in seno alla Commissione”. Da ciò la declaratoria di illegittimità del D.P.C.M. 27 dicembre 2016 nella parte indicata.

Il dottor C.G. era componente del collegio che ha reso l’impugnata decisione n. 47/2017, e perciò il ricorrente, nella memoria ex art. 378 c.p.c., allega la nullità dell’impugnato provvedimento per vizio relativo alla costituzione del giudice.

Tale questione sollevata in memoria è però inammissibile.

Nel giudizio civile di legittimità, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c., destinate esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, non possono essere dedotte nuove censure nè sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio. La rilevabilità d’ufficio della questione nel giudizio di cassazione, che perciò giustifica l’allegazione di parte anche con le memorie, suppone, in ogni modo, che la stessa trovi soluzione sulla base degli atti interni del processo ed in relazione a situazioni di fatto accertate (cfr. Cass. Sez. L, 26/06/2006, n. 14710). D’altro canto, la stessa produzione, nel giudizio di cassazione, di nuovi documenti ex art. 372 c.p.c. riguardanti la nullità della sentenza impugnata si ritiene limitata a quelli comprovanti vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, e non si estende, pertanto, alle nullità originate, in via riflessa o mediata, da vizi del procedimento (Cass. Sez. 1, 26/10/2006, n. 23026).

E’ evidente che il ricorrente M.M.P.M., nella memoria ex art. 378 c.p.c., non intende denunciare la nullità della decisione della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie del 7 novembre 2017 quale effetto immediato della declaratoria di illegittimità costituzionale del D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, art. 17, commi 1 e 2, contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale 7 ottobre 2016, n. 215. Al riguardo, la stessa sentenza n. 215 del 2016 ha affermato, invero, che la nullità derivante dal vizio di costituzione e composizione dell’organo giurisdizionale, acclarato dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, determina l’illegittimità della decisione assunta dal giudice, “rilevabile anche d’ufficio nel giudizio principale” (così, di seguito, anche Cass. Sez. 2, 14/02/2017, n. 3907).

Quanto allegato in memoria dal ricorrente attiene, invece, ad un vizio originario di legittimità dell’atto di nomina di un componente della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie che pronunciò l’impugnata decisione n. 45/2017 dell’8 novembre 2017, vizio accertato dal giudice amministrativo con sentenza successiva a tale decisione.

Ribadendo quanto di recente chiarito in motivazione da Cass. Sez. U, 26/09/2017, n. 22358, l’annullamento per vizi originari dell’atto di nomina di un componente di un organo giurisdizionale (a differenza della revoca o decadenza dalle funzioni) ha efficacia ex tunc, sicchè retroagisce ed incide sulla validità degli atti di esercizio della funzione in precedenza compiuti (si vedano anche Cass. Sez. 5, 18/02/2000, n. 1853; Cass. Sez. U, 05/07/1984, n. 3947; Cass. Sez. U, 02/10/1980, n. 5339; Cass. Sez. U, 09/10/1974, n. 2715).

Deve allora affermarsi che, allorchè al momento della pronuncia di una sentenza, sussiste la formale investitura dei componenti del collegio giudicante (come, nella specie, della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie che pronunciò la decisione n. 45/2017 dell’8 novembre 2017), il sopravvenuto annullamento per vizi originari di illegittimità degli atti di nomina a tale incarico (nella specie, a seguito di pronuncia del giudice amministrativo), pur avendo effetto ex tunc, comporta una nullità della decisione resa che può essere fatta valere soltanto nei limiti e con le regole proprie dei mezzi di impugnazione, ex art. 161 c.p.c., comma 1. Ne consegue che, in sede di legittimità, è inammissibile la deduzione di detto vizio, ove essa sia effettuata, come avvenuto nella specie, soltanto con la memoria di cui all’art. 378 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. L, 03/11/1982, n. 5755).

1. Il primo motivo di ricorso del dottor M.M.P.M. deduce la violazione del D.Lgs. n. 233 del 1946, art. 11, lett. d, dell’art. 111 Cost. ed il difetto di motivazione. Il primo motivo del ricorso per cassazione riprende in sostanza il primo motivo del ricorso proposto dal dottor M. alla Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. La censura lamenta che il procedimento disciplinare sia stato avviato in data 4 agosto 2014, dopo che il dottor M., con atto del 21 luglio 2014, aveva “rinunciato all’iscrizione”.

1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato. La decisione della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie del 7 novembre 2017 ha escluso che la “rinuncia” all’iscrizione presso l’Ordine di Lecce, comunicata dal M. il 21 luglio 2014 (quando, peraltro, lo stesso medico era già stato invitato a presentarsi presso il Consiglio dell’Ordine “per importanti comunicazioni” con telegrammi o raccomandate del 26 giugno 2014 e del 21 luglio 2014) fosse tale da determinare la “cancellazione automatica”, in difetto di delibera del Consiglio direttivo. Inoltre, la Commissione Centrale osservava come il dottor M. avrebbe dovuto procedere più correttamente ad un trasferimento presso l’Ordine di Potenza, dove infatti risultava iscritto dal 29 luglio 2014. La stessa Commissione Centrale ha quindi inteso che l’istituto della “rinuncia all’iscrizione”, in luogo di quello del “trasferimento”, sarebbe stato, così, “strumentalizzato” dal dottor M., “al fine di eludere le conseguenze di un passaggio diretto del fascicolo personale”.

Il provvedimento della Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie del 7 novembre 2017, con motivazione che contiene comunque le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, è conforme al quadro normativo applicabile alla fattispecie, al quale il ricorrente non fa specifico riferimento nel suo primo motivo di ricorso, limitandosi ad invocare la violazione del D.Lgs. n. 233 del 1946, art. 11, lett. d.

In realtà, secondo la disciplina contenuta nel D.Lgs. 13 settembre 1946, n. 233, nel testo applicabile nella specie ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla L. 11 gennaio 2018, n. 3, gli ordini dei medici-chirurghi, dei veterinari e dei farmacisti sono costituiti in ogni provincia (art. 1). Ciascun ordine ha un albo permanente, in cui sono iscritti i professionisti della rispettiva categoria, residenti nella circoscrizione (art. 7). La residenza nella circoscrizione dell’Ordine è condizione necessaria per l’iscrizione all’albo (art. 9, lett. e). Il Consiglio direttivo eletto dagli iscritti all’albo di ciascun Ordine ha, fra le sue attribuzioni, il compito di esercitare il potere disciplinare nei confronti dei sanitari liberi professionisti iscritti nell’albo (art. 3, lett. f). Contro i provvedimenti in materia disciplinare del Consiglio direttivo è ammesso ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (art. 5). A norma dell’art. 11, in particolare, la cancellazione dall’albo è pronunziata dal Consiglio direttivo, “d’ufficio o su richiesta del Prefetto o del Procuratore della Repubblica”, nell’ipotesi, tra l’altro, di “trasferimento della residenza dell’iscritto ad altra circoscrizione” (lett. c), nel qual caso, inoltre, “la cancellazione non può essere pronunziata se non dopo sentito l’interessato” (comma 2).

Il D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 10 (regolamento di esecuzione del D.Lgs. 13 settembre 1946, n. 233), dispone:

“E’ in facoltà dell’iscritto in un Albo provinciale di chiedere il trasferimento dell’iscrizione nell’Albo della provincia ove ha trasferito o intenda trasferire la propria residenza.

Non è ammesso il trasferimento dell’iscrizione per il sanitario che si trovi sottoposto a procedimento penale o a procedimento per l’applicazione di una misura di sicurezza o a procedimento disciplinare o che sia sospeso dall’esercizio della professione.

La domanda dev’essere presentata all’Ordine o Collegio della circoscrizione nella quale il sanitario si trasferisce. A corredo di essa dev’essere prodotto soltanto un certificato rilasciato dal presidente dell’Ordine o Collegio, nel cui Albo l’interessato si trova iscritto, ed attestante:

a) la non sussistenza, su conforme deliberazione del Consiglio, di alcuna delle cause preclusive indicate dal comma precedente;

b) la regolarità della iscrizione con la indicazione della data e del titolo di essa;

c) gli eseguiti pagamenti dei contributi ai sensi del D.Lgs. 13 settembre 1946, n. 233, artt. 4, 14 e 21.

Il Consiglio delibera sulla base del predetto certificato.

Si applicano per il resto le disposizioni dei precedenti articoli.

L’iscrizione conseguita nel nuovo Albo è comunicata all’Ordine

o Collegio di provenienza, che provvede alla conseguente cancellazione e trasmette all’altro Ordine o Collegio la documentazione dell’interessato”.

Il medesimo D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 11 aggiunge che, “nel caso previsto dal D.Lgs. 13 settembre 1946, n. 233, art. 11, lett. c) (ovvero, appunto, quello del trasferimento della residenza dell’iscritto ad altra circoscrizione) la cancellazione dall’Albo dev’essere pronunciata entro un anno dall’accertato trasferimento (comma 1)”, e che “non si può pronunciare la cancellazione quando sia in corso procedimento penale o disciplinare” (comma 3).

Secondo la disciplina prevista dal D.Lgs. 13 settembre 1946, n. 233, dunque, gli ordini dei medici-chirurghi hanno circoscrizione provinciale e provvedono alla formazione, alla revisione e alla pubblicazione dei propri albi. Correlativamente, il sanitario è tenuto a iscriversi e a conservare la propria iscrizione nell’albo dell’ordine nella cui circoscrizione trovasi il suo luogo di residenza. In questo senso la residenza entro la circoscrizione dell’ordine territoriale assurge a dignità di requisito non solo per ottenere, ma anche per mantenere successivamente l’iscrizione nell’albo di ogni singolo ordine. Consegue che il professionista, che trasferisca la propria residenza fuori della circoscrizione dell’ordine al quale è iscritto, se vuole continuare la propria iscrizione negli albi professionali, deve chiedere il trasferimento dell’iscrizione nell’albo dell’ordine della circoscrizione della nuova residenza, a norma del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 10. D’altra parte, il consiglio direttivo dell’ordine al quale il professionista è iscritto, constatata la perdita del requisito della residenza nella circoscrizione, può e deve provvedere, anche d’ufficio, alla cancellazione del professionista dal proprio albo entro un anno dall’accertato trasferimento (fornendo al consiglio nazionale le informazioni rilevanti ai fini dell’aggiornamento dell’albo unico nazionale: D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, art. 3, comma 2), in quanto la causa giustificativa di siffatto provvedimento di cancellazione si identifica nella perdita di un requisito oggettivamente constatabile (con riguardo ad altre, ma analoghe, discipline professionali, si vedano Cass. Sez. U, 18/09/1970, n. 1556; Cass. Sez. U, 09/11/1994, n. 9292).

Con tale articolata disciplina normativa il primo motivo di ricorso non si confronta, rivelandosi carente di specificità, ai fini dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, in quanto si limita a contestare la competenza a procedere disciplinarmente del Consiglio dell’Ordine di Lecce, sull’inesistente presupposto di un automatico effetto di cancellazione dall’albo territoriale derivante dalla manifestazione di volontà del dottor M. di “rinunciare all’iscrizione”, senza fare alcun riferimento nemmeno all’avvenuta presentazione di un’istanza di trasferimento dell’iscrizione nell’albo di diversa provincia, corredata da quanto previsto dalla citata disposizione regolamentare.

D’altro canto, ove il professionista intenda lamentarsi della mancata concessione del nulla-osta per il trasferimento dell’iscrizione dall’albo in cui è iscritto ad altro albo, motivata dall’esistenza di cause di preclusione del trasferimento dell’iscrizione, tale distinto atto è autonomamente impugnabile dinanzi alla Commissione centrale delle professioni sanitarie (Cass. Sez. U, 24/04/1970, n. 1178).

2. Il secondo motivo di ricorso del dottor M.M.P.M. deduce la violazione degli artt. 111,24 e 97 Cost. e del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 64 e la totale mancanza di motivazione. Si censura la parte dell’impugnata decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, che ha ritenuto di escludere, sulla base delle “evidenze probatorie”, l’accusa di difetto di imparzialità dei componenti della Commissione di disciplina dell’Ordine di Lecce, per la grave inimicizia nei rapporti con il dottor M.. Secondo il ricorrente, “nè il Presidente nè i Consiglieri avrebbero potuto validamente costituire il consesso giudicante, atteso l’evidente difetto dei requisiti di disinteresse, imparzialità e terzietà”. Il secondo motivo di ricorso fa riferimento ad una memoria inviata in vista dell’udienza disciplinare del 29 settembre 2014, contenente un “invito all’astensione” e “conseguente ricusazione”. Viene rappresentata l’ostilità radicata manifestata dal Presidente dell’Ordine, anche a nome del Consiglio, e si riferisce che il 4 ottobre 2014, pochi giorni prima dell’adozione della sanzione disciplinare nei confronti del M., il Presidente dell’Ordine di Lecce, avendo appreso di essere indagato per abuso d’ufficio a seguito di denuncia dello stesso ricorrente, tenne una conferenza stampa dileggiando lo stesso dottore M..

2.1 Il secondo motivo di ricorso del dottor M.M.P.M. è infondato.

Ai sensi del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 64 (contenente il regolamento di esecuzione del D.Lgs. 13 settembre 1946, n. 233 sull’esercizio delle professioni sanitarie), i componenti del consiglio dell’ordine professionale dei medici, collegio disciplinare, possono essere ricusati per i motivi stabiliti dal codice di procedura civile, e, quindi, anche allorchè esistano rapporti di grave inimicizia con l’incolpato.

Ora, l’oggettiva mancanza di motivazione, da parte della Commissione centrale, con riferimento al secondo motivo di ricorso per cui dall’incolpato era stato domandato l’annullamento della sanzione disciplinare (valendo come motivazione apparente l’argomento che “dalle evidenze documentali non emergono evidenze probatorie idonee ad attestare una situazione di conflittualità o di pregiudizio da parte dei componenti dell’Ordine…”), non si traduce, automaticamente, in un vizio di omissione di pronuncia, con conseguente annullamento con rinvio della decisione, quando, come appare nel caso in esame, il motivo di annullamento avrebbe dovuto essere rigettato, non essendo i fatti allegati dal deducente di per sè idonei in diritto a sorreggere l’accoglimento dell’impugnazione, e perciò potendo all’uopo provvedere questa Corte attraverso l’impiego del potere di correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, (così Cass. Sez. 3, 23/01/2002, n. 743; più in generale, Cass. Sez. U, 02/02/2017, n. 2731).

Ed allora, per quanto il ricorrente riporta del contenuto della ricusazione presentata nella memoria depositata per l’udienza disciplinare del 29 settembre 2014, l’infondatezza della stessa deriva dalla considerazione dell’interpretazione, offerta da questa Corte, secondo cui la ricusazione dei componenti del consiglio dell’ordine professionale, ai sensi del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 64 non può essere rivolta, come invece pretende il M., nei confronti dell’organo collegiale nel suo complesso, in quanto il richiamato art. 51 c.p.c. prevede l’astensione e la ricusazione solo per cause riferibili direttamente o indirettamente al giudice come persona fisica (Cass. Sez. 3, 02/03/2006, n. 4657).

D’altro canto, ai sensi dell’art. 51 c.p.c., n. 3, la “grave inimicizia” del componente del consiglio dell’ordine nei confronti dell’incolpato deve essere reciproca, non equivale alla mera presentazione di una denuncia o comunque di un atto di impulso idoneo a dare inizio ad un procedimento giudiziale, nè può, in linea di principio, originare dall’attività consiliare del componente il collegio per questioni comunque inerenti all’esercizio professionale, ma deve riferirsi a ragioni private di rancore o di avversione sorte nell’ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali (cfr. Cass. Sez. 3, 13/04/2005, n. 7683).

3. Il terzo motivo di ricorso del dottor M.M.P.M. denuncia la violazione della L. n. 409 del 1985, art. 6 per la mancanza di autonomia tra i componenti della Commissione di disciplina e quelli del Consiglio direttivo.

3.1. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. Viene posta questione in ordine alla composizione della commissione composta ai sensi della L. 24 luglio 1985, n. 409, art. 6, comma 8, oggetto anche del terzo motivo del ricorso proposto davanti alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. Com’è noto, la L. 24 luglio 1985, n. 409, ha istituito, in seno ai consigli direttivi degli ordini provinciali, la commissione per gli iscritti all’albo dei medici chirurghi e la commissione per gli iscritti all’albo degli odontoiatri. Queste commissioni esercitano – per espressa previsione normativa contenuta nell’art. 6 legge cit., che richiama le attribuzioni di cui al D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, ed al relativo regolamento di esecuzione approvato con il D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221 – il potere disciplinare nei confronti di sanitari liberi professionisti iscritti nei relativi albi.

Il terzo motivo di ricorso non indica, tuttavia, gli atti e documenti che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, possano consentire a questa Corte di valutare la fondatezza della censura sulla composizione della Commissione di disciplina.

Va inoltre considerato come, in tema di procedimento disciplinare a carico di professionisti esercenti la professione sanitaria, ogni questione relativa alla validità della seduta per la irregolare composizione della Commissione di disciplina deve essere posta dall’interessato in limine, o comunque prima che sia assunta la decisione, affinchè l’organo disciplinare sia posto in condizione di dimostrare immediatamente la regolare convocazione dei suoi componenti, ovvero di fissare una diversa seduta. In difetto di rilievi di sorta in tale fase da parte dell’incolpato, ogni questione relativa alla validità della seduta della Commissione di disciplina per ipotizzato difetto di composizione deve ritenersi preclusa e, dunque, non più prospettabile innanzi alla Commissione centrale e tanto meno per la prima volta in sede di giudizio di legittimità (arg. da Cass. Sez. 3, 07/08/2001, n. 10895). Tutti i vizi del procedimento disciplinare svolto dinanzi alla Commissione dell’Ordine dei medici devono, infatti, essere fatti valere, con denuncia di illegittimità amministrativa dei relativi atti, davanti alla Commissione centrale, e non sono deducibili, come nullità processuali, in cassazione (Cass. Sez. 3, 30/11/2006, n. 25494).

4. Il quarto motivo di ricorso del dottor M.M.P.M. denuncia la violazione del D.P.R. n. 221 del 1951, art. 39 e il difetto di motivazione, per difetto della necessaria convocazione preliminare, essendo stato il professionista avvisato con comunicazione del 4 agosto 2014 direttamente del deferimento disciplinare e dell’udienza fissata davanti al Consiglio direttivo per il 29 settembre 2014.

Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 66 e dell’art. 111 Cost., nonchè la mancanza di motivazione quanto al lamentato difetto di correlazione tra contestazione e provvedimento sanzionatorio.

4.1. Il quarto ed il quinto o motivo di ricorso del dottor M.M.P.M., da esaminare congiuntamente, risultano infondati.

Nella decisione della Commissione Centrale è stato accertato in fatto che il dottor M. era stato convocato con telegramma del 26 giugno 2014 dal Presidente dell’Ordine di Lecce a presentarsi il 16 luglio 2014 “per importanti comunicazioni che la riguardano”. Non essendosi presentato il sanitario, l’invito a comparire venne rinnovato il 17 luglio 2014 per il giorno 21 luglio 2014. Le contestazioni disciplinari furono quindi formulate con delibera della commissione del 4 agosto 2014. Ciò ha portato l’impugnata decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie a concludere argomentatamente che fossero ben chiare all’incolpato le ragioni sottese all’irrogazione della sanzione.

Il D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 39 al comma 1, stabilisce che “quando risultano fatti che possono formare oggetto di procedimento disciplinare, il presidente, verificatene sommariamente le circostanze, assume le opportune informazioni e, dopo aver inteso il sanitario, riferisce al Consiglio per le conseguenti deliberazioni”. A ciò segue la fissazione della data della seduta per il giudizio, con notifica all’interessato della menzione degli addebiti e l’assegnazione di termine per prendere visione degli atti relativi al deferimento e produrre controdeduzioni scritte.

Venne dunque garantita al dottor M. la convocazione davanti al Presidente del Consiglio dell’Ordine, prevista dall’art. 39 del D.P.R., (ovvero dinanzi al Presidente della competente commissione di disciplina L. 24 luglio 1985, n. 409, ex art. 6), fase di per sè ancora preliminare all’apertura del procedimento disciplinare, e volta all’acquisizione-verifica degli elementi informativi per addivenire alla decisione di sottoporre al Consiglio la proposta di promovimento dell’azione, è posta a garanzia del professionista (Cass. Sez. 3, 09/03/2012, n. 3706; Cass. Sez. 2, 17/01/2014, n. 870). D’altro canto, nel procedimento disciplinare a carico di esercente professione sanitaria, la fase davanti al Consiglio dell’Ordine professionale locale, avendo natura amministrativa, si concretizza in un’attività istruttoria preordinata e funzionalmente connessa a quella successiva di natura giurisdizionale e, quindi, implica appunto la facoltà di comparire ed essere ascoltato personalmente, nonchè quella di farsi assistere da un difensore od esperto di fiducia, a condizione che venga avanzata istanza al riguardo (Cass. Sez. 3, 15/01/2007, n. 636).

Dalla motivazione della decisione della Commissione centrale emerge come fosse stato in ogni caso possibile al professionista di prendere conoscenza delle contestazioni e di difendersi compiutamente rispetto ad esse direttamente dinanzi alla commissione.

La contestazione operata nella seduta del 4 agosto 2014 individuava con esattezza i comportamenti asseritamente lesivi di precetti giuridici o deontologici attribuiti all’incolpato (mancata presentazione ingiustificata alle convocazioni; morosità nel versamento dei contributi obbligatori risultanti dal DURC), non imponendo, del resto, nè la piena esplicazione del diritto di difesa da parte del sanitario, nè l’esigenza di trasparenza del procedimento volta a consentire un adeguato controllo giurisdizionale della decisione dell’organo disciplinare, la necessità di una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti ascritti al professionista. L’indagine volta ad accertare la correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non va fatta, in sostanza, alla stregua di un confronto meramente formale, dovendosi piuttosto dare rilievo all’iter del procedimento e alla possibilità che l’incolpato abbia avuto di avere conoscenza dell’addebito e di discolparsi (arg. da Cass. Sez. 3, 02/02/2010, n. 2364; Cass. Sez. 3, 02/03/2005, n. 4465).

5. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 38 e dell’art. 111 Cost., nonchè la mancanza assoluta di motivazione per l’infondatezza delle accuse formulate a carico del ricorrente; si evidenzia come l’invito presso il Consiglio dell’Ordine per il giorno 17 luglio 2014 non fosse ricollegabile ad una finalità disciplinare e come la presunta irregolare posizione contributiva fosse stata contestata soltanto con la raccomandata del 4 agosto 2014.

5.1. Anche il sesto motivo di ricorso è infondato: esso in parte riprende profili attinenti alla regolarità della convocazione e della contestazione disciplinare già oggetto delle disattese censure di cui ai motivi quarto e quinto, ed in parte si limita ad opporre un’inammissibile generica negazione circa la sussistenza delle condotte disciplinarmente sanzionate. La decisione impugnata ha fatto circostanziato riferimento all’omesso pagamento dei contributi obbligatori per le annualità 2011, 2013 e 2004 ed alla mancata presentazione del dottor M. alle convocazioni consiliari a lui inoltrate, esplicitando le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della pronuncia resa. Il sesto motivo di ricorso, denunciando la violazione di norme di diritto e la mancanza di motivazione inerente alla fondatezza delle accuse, rappresenta, in realtà, un’erronea ricostruzione della base fattuale della lite, e sollecita questa Corte a procedere ad un inammissibile raffronto tra le rationes decidendi esplicitate dalla Commissione centrale e le risultanze del materiale istruttorio ad essa sottoposto, ovvero ad una revisione delle ragioni poste alla base del libero convincimento del giudice, profili ormai estranei anche al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dopo la riformulazione operatane con il D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012.

6. Il ricorso va dunque rigettato. Non occorre liquidare le spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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