Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27920 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. II, 30/10/2019, (ud. 13/03/2019, dep. 30/10/2019), n.27920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3562/2018 proposto da:

D.A., G.L. ex lege domiciliati presso la

cancelleria della Corte di cassazione e rappresentati e difese

dall’avvocato Roberto Aiello;

– ricorrenti –

contro

Ministero Della Giustizia, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso Avvocatura Generale Dello Stato,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Salerno, depositata il

28/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/03/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte;

sentito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. PATRONE Ignazio, che ha chiesto la rimessione alla Corte

costituzionale della questione di legittimità costituzionale

dell’art. 2, comma 2-sexies in relazione agli artt. 24,111,117

Cost., in relazione quest’ultimo all’art. 6 Cedu.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il presente giudizio trae origine dal ricorso depositato il 14 marzo 2016 da D.A. e G.L. per conseguire l’equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, in relazione al procedimento penale a loro carico n. (OMISSIS) definito in primo grado dal Tribunale di Salerno con sentenza n. 2179 divenuta irrevocabile il 30/12/2015.

2.La Corte d’appello di Salerno in composizione monocratica aveva respinto il ricorso precisando che D.A. era rimasto contumace per tutta la durata del processo, nè aveva allegato alcuna circostanza in base alla quale poter superare la presunzione di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, come modificato dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 777.

3. Con riguardo alla domanda proposta da G.L., il consigliere designato aveva rilevato che l’imputato era comparso all’udienza del 31 gennaio 2012 con conseguente revoca della dichiarazione di contumacia, ma che da tale data sino a quella di deposito della sentenza e cioè il 24 agosto 2015, nonchè detratto il termine concesso a seguito delle richieste di rinvio avanzata dal suo difensore, il termine complessivo di durata del procedimento era pari a 3 anni e 24 giorni, tenuto conto che l’art. 2-bis L. Pinto che prevede la liquidazione dell’indennizzo soltanto per la frazione di anno superiore a sei mesi, non comportava il riconoscimento di alcun indennizzo.

4. Avverso il decreto della corte d’appello emesso in composizione monocratica veniva proposta rituale opposizione avanti la corte d’appello in composizione collegiale, la quale con decreto del 28/6/2017 confermava il rigetto del ricorso.

5. La cassazione di quest’ultimo provvedimento è stata chiesta da G.L. e da D.A. con ricorso notificato il 25 gennaio 2018 ed articolato su cinque motivi, cui resiste con controricorso l’intimato Ministero della Giustizia rappresentato dall’Avvocatura Generale dello Stato.

6. Con ordinanza interlocutoria del 23 ottobre 2018 la causa è stata rimessa alla pubblica udienza per la rilevanza delle questioni proposte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente dichiarata la non rilevanza della questione di legittimità posta dal P.M. sulla L. n. 98 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, in relazione agli artt. 24,111,117 Cost. ed al parametro interposto dell’art. 6 della CEDU, ritenendo il collegio, per quanto di seguito esposto, decisiva ai fini dell’esito del ricorso in esame, l’applicazione del diverso art. 2, comma 2-bis della Legge cit..

2. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, lett. b), come modificato dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 777, nonchè degli artt. 6 e 13 CEDU nell’interpretazione fornitane dalla Corte EDU, laddove la Corte d’appello di Salerno aveva negato l’indennizzo in ragione della contumacia dei ricorrenti nel processo penale.

2.1. Ad avviso di parte ricorrente la disposizione dell’art. 2, comma 2-sexies, lett. b), che prevede l’insussistenza della pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di “contumacia della parte” riguarderebbe esclusivamente il processo civile, mentre nel processo penale la figura dell’indagato e/o dell’imputato restano tali indipendentemente dalla loro contumacia.

3.Con il secondo motivo i ricorrenti censurano la violazione ed erronea applicazione – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. n. 87 del 1953, artt. 23 e 24, nonchè della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2-bis e 2-quater, ed ancora dell’art. 117 Cost., art. 6, par. 1 CEDU in relazione all’art. 349 c.p.p., per avere la corte territoriale escluso ai fini del computo della durata ragionevole del processo la fase delle indagini preliminari, nonostante i ricorrenti avessero avuto modo di conoscere ufficialmente del procedimento a loro carico e cioè rispettivamente il G. l’11/6/2009 e il D. il 31/7/2009, allorquando era stato loro comunicato dalla polizia giudiziaria di essere indagati in ordine al reato di cui all’art. 388 c.p., comma 1.

3.1. Ad avviso dei ricorrenti il motivo è fondato in considerazione dell’intervenuta sentenza n. 184/2015 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato illegittimo per violazione dell’art. 117 Cost., comma 1 – in relazione al parametro costituito dall’art. 6 CEDU – la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-bis, nella parte in cui prevede che al fine del riconoscimento dell’equa riparazione per violazione del termine ragionevole del procedimento, il processo penale si considera iniziato con l’assunzione della qualità di imputato, ovvero quando l’indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari, anzichè quando l’indagato, in seguito ad un atto dell’autorità giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento a suo carico.

4. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente stante la connessione delle questioni sollevate rispetto all’individuazione dei presupposti per la sussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo penale.

4.1. Le censure sono fondate nei termini che seguono.

4.2. L’art. 2, comma 2-sexies, lett. b), applicato dalla Corte territoriale è stato introdotto con la L. n. 208 del 2015.

4.3. In precedenza le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 585/14, avevano enunciato il principio secondo il quale in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, hanno diritto all’indennizzo tutte le parti coinvolte nel procedimento giurisdizionale, ivi compresa la parte rimasta contumace, nei cui confronti – non assumendo rilievo nè l’esito della causa, nè le ragioni della scelta di non costituirsi – la decisione è comunque destinata ad esplicare i suoi effetti e a cagionare, nel caso di ritardo eccessivo nella definizione del giudizio, un disagio psicologico, fermo restando che la contumacia costituisce comportamento idoneo ad influire implicando od escludendo specifiche attività processuali – sui tempi del procedimento e, pertanto, è valutabile agli effetti della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2.

4.4. Enunciato con riferimento ad un giudizio presupposto civile, detto principio deve ritenersi senz’altro estensibile anche alla materia penale, nella quale non meno evidente è che la contumacia non esprime di per sè sola nè insensibilità al disagio derivante dalla pendenza processuale, nè disinteresse al relativo esito (cfr. Cass. penale n. 25170 del 2008, che ai fini della restituzione nel termine per impugnare una sentenza contumaciale ha escluso che la mera contumacia riveli il disinteresse dell’imputato al processo).

4.5. Ed anzi, proprio nell’ambito del processo penale la contumacia ben può essere dettata da una precisa (e legittima) scelta difensiva, che come non aggrava così neppure esclude il normale patema d’animo per l’attesa della decisione (Cfr. Cass. 25619/2014).

4.6. La novella legislativa del 2015, invece, introduce, con l’art. 2 comma 2-sexies, ai fini del riconoscimento dell’equa riparazione da irragionevole durata del processo, alcune presunzioni juris tantum di insussistenza del pregiudizio e, fra queste, una riguardante la fattispecie della contumacia della parte.

4.7. E’ evidente la necessità di coordinare quest’ultima disposizione con la normativa nazionale e sovranazionale, in particolare, sotto quest’ultimo profilo, con l’art. 6 par. 1 CEDU, che rappresenta un parametro di riferimento fondamentale in materia.

4.8. Costitisce, infatti, principio acquisito che, in tema di equa riparazione, la nozione di “causa” o di “processo” considerata dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ed a cui ha riguardo la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2) s’identifica con qualsiasi procedimento si svolga dinanzi agli organi pubblici di giustizia per l’affermazione o la negazione di una posizione giuridica di diritto o di soggezione facente capo a chi il processo promuova o subisca, in tale novero comprendendosi anche quello relativo alla fase delle indagini che precedono il vero e proprio esercizio dell’azione penale, la quale perciò, ove irragionevolmente si sia protratta nel tempo, ben può assumere rilievo ai fini dell’equa riparazione (cfr. Cass. 18266/2005).

4.9. Sviluppando il concetto la Corte ha ripetutamente affermato che il dies a quo, ai fini del computo della durata irragionevole di un processo, con specifico riferimento a quello di carattere penale, comincia a decorrere non necessariamente con la prima udienza o con il primo atto con il quale l’imputato è “condotto” innanzi ai giudici penali in ordine alla valutazione della sussistenza delle accuse rivoltegli, bensì dal momento in cui lo stesso ha conoscenza diretta dell’esistenza di un procedimento penale nei suoi confronti (tra le altre, Cass. n. 15087/2004; id. 19093/2007; id.19870/2010; id. 22682/2010; 22461/2011; 15179/2015).

4.10. In questo contesto si inserisce la sentenza della Corte costituzionale n. 184/2015 che integrando l’art. 2, comma 2-bis, ha imposto di tenere conto ai fini della durata del “processo”, nella accezione convenzionale di cui sopra, del periodo in cui l’indagato, in seguito ad un atto dell’autorità giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento a suo carico.

4.11. Se così è, il coordinamento di tale previsione con la novella di cui all’art. 2, comma 2-sexies, lett. b), in riferimento alla contumacia, non può che avvenire ipotizzandone un’applicazione limitata al processo civile o amministrativo, come peraltro prefigura il riferimento letterale alla “contumacia della parte”.

4.12. Nel “processo” penale secondo l’accezione convenzionale rilevante per la legge Pinto, sono ricompresi sia lo status di indagato che quello di imputato, a seconda della fase processuale, sicchè rispetto ad esso la norma sarebbe applicabile solo per la fase dibattimentale, con insuperabile illogicità della conclusione.

4.13. Ove infatti si ammettesse la rilevanza della contumacia nel processo penale come causa di esonero dall’equo indennizzo, avremmo il paradosso che l’indagato, una volta che abbia avuto conoscenza delle indagini, e pur essendo in una condizione di sostanziale soggezione alle scelte del p.m., avrebbe diritto all’indennizzo, a differenza dell’imputato contumace inspiegabilmente onerato di dare la prova del pregiudizio.

5. In considerazione di ciò, ritiene il collegio che la tesi prospettata dal ricorrente circa la limitazione del riferimento contenuto nell’art. 2, comma 2 sexies legge Pinto alla sola contumacia civile trovi conforto, oltre che, come si è già detto, nella terminologia usata dal legislatore “contumacia della parte” soprattutto nella diversa natura e disciplina della contumacia della parte nel processo civile rispetto alla contumacia dell’imputato in quello penale.

5.1. Basti pensare che l’imputato dichiarato contumace è comunque assistito da un difensore, diversamente dalla parte contumace nel processo civile e che la sentenza penale è poi notificata al contumace, diversamente da quella civile.

5.2. Ancora, mentre la parte contumace può costituirsi fino all’udienza di precisazione delle conclusioni (cfr. art. 293 c.p.c.), l’imputato contumace può costituirsi nel processo penale fino alla decisione chiedendo di essere sottosposto ad esame, oltre a rilasciare dichiarazioni spontanee.

5.3. Emerge, pertanto, da quanto sin qui evidenziato la legittimità della richiesta di considerare nel caso di specie, ai fini del calcolo della durata del processo presupposto, anche il periodo delle indagini preliminari successivo alla comunicazione del procedimento a carico dei ricorrenti, comunicazione da individuarsi come dies a quo e così sino alla irrevocabilità della sentenza n. 2179 emessa dal Tribunale e divenuta irrevocabile il 30/12/2015, non applicandosi ai fini della durata del processo penale come stabilita nell’art. 2, comma 2-bis della legge Pinto, la presunzione di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, prevista dall’art. 2, comma 2-sexies, lett. b) della legge Pinto.

5.4. Nel caso oggetto del presente ricorso, la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare le conseguenze del fatto che, ai fini della determinazione della durata del giudizio, i ricorrenti avevano avuto modo di conoscere ufficialmente del procedimento a loro carico rispettivamente il D. il 31 luglio 2009 ed G. l’11 giugno 2009 in occasione della perquisizione personale dei locali, allorchè erano stati informati di essere indagati in ordine al reato di quell’art. 388 c.p..

5.5. Avrebbe in tal modo dato seguito al principio secondo il quale qualora un soggetto abbia ricevuto informazione di garanzia in occasione di una perquisizione domiciliare ex art. 251 c.p.p., da tale momento ha concreta notizia del reato per cui si procede nei suoi confronti (cfr. Cass. 22682/2010).

6. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), come modificati dalla L. n. 134 del 2012, ed ulteriormente modificati con la L. n. 208 del 2015, nonchè la violazione del principio di cui all’art. 117 Cost. e degli artt. 6 e 13 nell’interpretazione data dalla Corte EDU, laddove non è stato riconosciuto il diritto all’indennizzo quale conseguenza del mancato deposito dell’istanza di accelerazione del processo penale nei 30 giorni successivi a superamento del termine di cui all’art. 2 bis come previsto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012.

7. Con il quarto motivo i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, art. 2, comma 2-quinquies, lett. b), come modificati dalla L. n. 134 del 2012 e dalla L.n. 208 del 2015, nonchè la violazione del principio di cui all’art. 117 Cost. e degli artt. 6 e 13 nell’interpretazione fornitane dalla Corte EDU per avere erroneamente escluso l’indennizzo quale conseguenza del mancato deposito dell’istanza di accelerazione del processo penale nei 30 giorni successivi al superamento del termine di cui all’art. 2-bis, senza tener conto che il ricorrente G. aveva già maturato i tre anni di ragionevole durata il 10/6/2012 essendo stato notificato il decreto di sequestro in data 11/6/2009 mentre il ricorrente D. aveva, invece, maturato i tre anni di irragionevole durata fin dal 30 luglio 2012 in considerazione dell’avviso di conclusione delle indagini avvenuto il 31 luglio 2009.

7.1. A favore dell’accoglimento del motivo i ricorrenti richiamano la pronuncia della Cassazione n. 31149/2017 ove si precisa che la condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo contemplata dalla L. n. 89 del 2011, art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), (nel testo utilizzabile relazione tempo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modifica dalla L. n. 134 del 2012) non si applica alle domande relative ai procedimenti penali che alla data dell’11 settembre 2012, data di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, abbiano già superato la durata ragionevole, difettando una norma transitoria che disponga in tal senso ed atteso che, diversamente, il termine di presentazione di detta istanza ricorrerebbe per tali giudizi non dal superamento della durata ragionevole ma dalla data di entrata in vigore della L. n. 134, con mutamento dei presupposti applicativi della disposizione.

7.2. Secondo parte controricorrente tale motivo è inammissibile, dovendo il principio di diritto richiamato essere coordinato con la disposizione prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-ter, ed ai sensi del quale “si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni”, non dovendosi computare in tale calcolo il tempo in cui il processo è sospeso; applicando le suddette norme risulterebbe che al momento dell’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, non fosse in alcun modo maturato per il ricorrente un tempo sufficiente a qualificare la durata del processo come irragionevole.

8. I due ultimi motivi richiamano, in realtà, un argomento posto a fondamento del decreto del consigliere designato e non citato espressamente nel provvedimento collegiale della corte territoriale emesso a seguito dell’opposizione proposta contro il primo e che, pertanto, attesa l’ammissibilità delle censure non sono assorbite.

8.1. La questione attiene alla più ampia tematica della legittimità dei rimedi volti a garantire l’adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale sulla ragionevole durata del processo, come l’istanza di prelievo nell’ambito dei giudizi amministrativi di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con mod. con L. n. 133 del 2008 e successive modifiche, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 34 del 6/02/2019.

8.2. Ciò posto la questione da essi sollevata pare assorbita dall’accoglimento dei primi due motivi, atteso che deve essere determinata la durata del processo penale secondo i principi interpretativi sopra enunciati.

9. Con il quinto motivo si censura la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia in violazione degli artt. 112,132 c.p.c., L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, come modificato da L. n. 208 del 2016 e 208/2015, nonchè art. 111 Cost., comma 6, laddove è stata ritenuta, per i casi di contumacia della parte, la presunzione di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, altrimenti superabile dalla prova contraria.

9.1. Secondo parte controricorrente tale motivo sarebbe inammissibile per difetto di specificità ed intrinseca contraddittorietà.

9.2. La doglianza è, ad avviso del collegio, assorbita dall’accoglimento degli altri motivi del ricorso.

10. Conclusivamente il ricorso va accolto ed il decreto impugnato va cassato con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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