Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2792 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 02/02/2017, (ud. 29/11/2016, dep.02/02/2017),  n. 2792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10844-2012 proposto da:

C.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C.

MONTEVERDI 20, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO CODACCI

PISANELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIOVANNI IACOPETTI;

– ricorrente –

C.R. (OMISSIS), C.A. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio

dell’avvocato CLAUDIO POMPEI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO DE CESARI;

– controricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 570/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 28/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/11/2016 dal Consigliere Dott. PICARONI ELISA;

udito l’Avvocato IACOPETTI Giovanni, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento degli scritti difensivi;

udito l’Avvocato POMPEI Claudio, difensore dei resistenti che ha

chiesto l’accoglimento delle difese in atti, ha depositato in

udienza una cartolina di ritorno;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Nel 2005 C.C. aveva agito per l’accertamento della consistenza dell’appezzamento di terreno che gli era stato attribuito in proprietà – unitamente ad una porzione del fabbricato ubicato in Lucca, frazione (OMISSIS) – con l’atto di divisione ed estromissione di quota ereditaria in data 9 aprile 1976, all’esito del quale le sorelle R. ed C.A. erano rimaste proprietarie pro indiviso della restante parte del fabbricato e del terreno.

L’attore aveva domandato, inoltre, la condanna delle sorelle: a) a regolarizzare ovvero ad eliminare le aperture lucifere che affacciavano sul giardino di sua proprietà; b) a ripristinare la pensilina che insisteva su uno dei pilastri del cancello carrabile; c) ad eliminare il contatore del gas e le relative tubazioni posizionate nel suo giardino; d) a rendere accessibile all’attore il vano ex caldaia dell’impianto di riscaldamento centralizzato, di proprietà comune; e) a ripristinare la finestra esistente sul muro perimetrale esterno dell’edificio, dal lato sud; f) a rilasciare l’area esterna lastricata che era collegata al terreno a giardino assegnato all’attore, sulla quale le convenute avevano aperto accessi, ripristinando altresì la scala in muratura che collegava parti del terreno ad uso giardino di proprietà esclusiva dell’attore; g) a risarcire tutti i danni, da liquidarsi in separata sede.

Le convenute avevano contestato la fondatezza della domanda, evidenziando che tutti i beni oggetto della divisione del 1976 erano rimasti nella disponibilità del padre G. fino a quando questi era stato in vita, come risultava dalla contestuale dichiarazione sottoscritta dai tre figli, ed in subordine avevano eccepito l’usucapione dell’area lastricata scoperta, posta a nord del fabbricato.

1.2. – Il Tribunale aveva rigettato le domande per carenza di prova della proprietà esclusiva in capo all’attore dei beni oggetto della domanda.

2. – La Corte d’appello, adita in via principale da C.C. e in via incidentale da R. ed C.A., con sentenza depositata il 28 aprile 2011, ha riformato la decisione di primo grado limitatamente alla domanda di accertamento della estensione della proprietà esclusiva di C.C., e per l’effetto ha determinato il confine, confermando il rigetto delle ulteriori domande con diversa motivazione.

2.1. – La Corte territoriale ha rilevato che il complesso immobiliare, dopo il frazionamento del 1976, era rimasto nella disponibilità del padre C.G., titolare del diritto di usufrutto uxorio, il quale aveva continuato a vivere nella casa di famiglia, sicchè gli interventi, anche di natura straordinaria, realizzati sugli immobili dovevano ritenersi accettati dai figli.

Per un verso, infatti, al momento dell’assegnazione della frazione immobiliare, con l’atto del 9 aprile 1976, C.C. aveva ricevuto la nuda proprietà dei beni nello stato di fatto e di diritto in cui questi si trovavano, e, per altro verso, non risultava che avesse mai contestato la gestione del padre, sicchè non poteva lamentare nei confronti delle sorelle interventi edilizi modificativi o istitutivi di servitù ascrivibili alla condotta del genitore.

3. – Per la cassazione della sentenza C.C. ha proposto ricorso sulla base di otto motivi. Resistono con controricorso R. ed C.A., che hanno proposto ricorso incidentale sulla base di tre motivi, e depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il ricorso principale è infondato.

1.1. – Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 901, 902, 981, 1061, 1062, 1350, 2720 e 2697 c.c., nonchè art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione.

Il ricorrente assume l’erroneità dell’affermazione secondo cui non era contestata l’esistenza dell’usufrutto uxorio e del possesso del compendio immobiliare in capo al padre C.G., e comunque la Corte d’appello non si era attenuta al contenuto dell’eccezione formulata dalle convenute – appellate, le quali avevano prospettato che i beni oggetto di divisione fossero di proprietà del padre e fittiziamente intestati alla moglie L.O..

La decisione della Corte d’appello, peraltro, era fondata sulla dichiarazione sottoscritta dai tre fratelli, coeva al rogito di divisione, che aveva valore soltanto ricognitivo e quindi non poteva costituire il titolo di proprietà in capo al padre nè provarne l’esistenza ai sensi dell’art. 2720 c.c., in mancanza di un atto precedente avente forma scritta ad substantiam. Sotto diverso profilo, il ricorrente lamenta la mancanza di prova del possesso del compendio immobiliare in capo a genitore, con la conseguenza che non era pertinente la giurisprudenza di legittimità in tema di costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, richiamata dalla Corte d’appello, tanto più con riferimento alle aperture lucifere irregolari, per mancanza del requisito dell’apparenza.

1.2. – La doglianza, che prospetta numerose questioni, è infondata.

La ratio decidendi del rigetto delle domande proposte da C.C. risiede nell’accertata disponibilità del compendio immobiliare in capo al genitore dei sigg. C., e nell’accettazione da parte dei tre figli delle opere ordinarie e straordinarie ivi realizzate dal predetto genitore.

L’assunto è fondato sul richiamo alla scrittura privata sottoscritta dai tre fratelli, coeva all’atto di divisione – estromissione di quota ereditaria del (OMISSIS), ricognitiva della piena proprietà del padre, e sul rilievo che C.C. aveva ammesso che il padre era titolare dell’usufrutto uxorio sul compendio immobiliare. Con accertamento in fatto, insindacabile in questa sede in quanto congruamente motivato, la Corte d’appello ha rilevato che, sia prima sia dopo l’atto di divisione del 1976, il sig. C.G. aveva vissuto nell’immobile, costituito dalla casa di famiglia e dal terreno circostante, ed ha quindi ritenuto che le modifiche apportate all’immobile fossero riconducibili alla gestione paterna, che non era stata contestata fino a quando il genitore era rimasto in vita.

1.3. – La ricostruzione della vicenda operata dalla Corte d’appello – nella prospettiva indicata dal tenore inequivocabile della scrittura privata sottoscritta dai tre fratelli C. ((…dichiarano e riconoscono che ancorchè i beni figurino di loro proprietà gravati del solo usufrutto uxorio a favore del padre… in effetti il fabbricato in Comune di Lucca Frazione (OMISSIS) deve intendersi… di proprietà esclusiva di esso C.G. che ne potrà liberamente disporre)) – sfugge anche alle censure in diritto prospettate dal ricorrente, essendo evidente che la situazione di pieno possesso in capo al genitore e l’assenza di contestazioni aveva comportato modifiche dei beni e corrispondenti servitù, come rilevato dalla Corte territoriale attraverso il richiamo alla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. 2, sent. n. 3314 del 2001).

1.4. – Con riferimento alla contestata apertura di luci, la Corte d’appello ha richiamato l’indagine effettuata dal CTU evidenziando che si trattava di aperture legittime, già esistenti al momento dell’atto di divisione – estromissione della quota ereditaria dell’appellante. La censura del ricorrente, il quale assume trattarsi di aperture non regolamentari, implica accertamenti in fatto non ripetibili in questa sede.

2. – Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 950 e 1362 c.c., nonchè vizio di motivazione e si contesta la delimitazione del confine tra le proprietà, che la Corte d’appello aveva effettuato sulla base della CTU, e quindi considerando il frazionamento a corpo, mentre l’atto divisionale aveva attribuito al ricorrente una porzione del terreno rappresentato dalla particella n. (OMISSIS) dell’estensione in mq. 110,00, con un tipo di frazionamento ben definito dalle misure prescritte, che il CTU aveva ignorato.

2.1. – La doglianza è inammissibile in quanto attiene al merito dell’accertamento effettuato dalla Corte d’appello, motivato con richiamo dettagliato alle valutazioni del CTU, che, anche a prescindere dalla carenza di autosufficienza, non può essere riesaminato in questa sede. Come ripetutamente affermato da questa Corte, la parte che intenda denunciare con il ricorso per cassazione un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una o più clausole contrattuali, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., giacchè le censure non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata. La stessa parte è quindi onerata della specificazione dei canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, e, in ossequio al principio di autosufficienza, della trascrizione delle clausole contrattuali e dei documenti sui quali assume essersi verificato l’errore del giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di verificare la sussistenza dell’errore ovvero di apprezzare il denunciato deficit motivazionale (ex plurimis, Cass., sez. L, sentenza n. 25728 del 2013).

3. – Con il terzo motivo è denunciato vizio di motivazione e si contesta il rigetto della domanda di condanna delle convenute al ripristino della pensilina, che era fondato sull’erronea individuazione del confine tra le proprietà.

3.1. – La doglianza, che muove appunto dall’assunto della erroneità dell’accertato confine, rimane assorbita nella decisione del motivo che precede.

4. – Con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1350 c.p.c., n. 4, artt. 949 e 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione e si contesta il rigetto della domanda di rimozione del contatore del gas e della relativa tubazione, che insistevano sulla proprietà esclusiva del ricorrente, in assenza di un titolo legittimante. La Corte d’appello si era limitata ad affermare che l’impianto era stato realizzato nel 1985, e si doveva desumere la piena accettazione dell’opera.

4.1. – La doglianza, che non coglie la ratio decidendi della decisione, è inammissibile.

La Corte d’appello ha rilevato che il posizionamento del contatore del gas e delle tubature era stato realizzato nel 1985 e che non vi era stata opposizione da parte di C.C., sicchè doveva ritenersi costituita la relativa servitù. L’affermazione deve essere riferita alla costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, nel solco del ragionamento già svolto, non essendo neppure richiamato l’istituto dell’usucapione.

5. – Con il quinto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 948, 1102 e 1117 c.c., nonchè vizio di motivazione, e si contesta il rigetto della domanda con cui C.C. chiedeva di poter accedere al vano ex caldaia, di proprietà comune. La Corte d’appello sul punto ha evidenziato che la disattivazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato era avvenuta nel 1985, e poichè coinvolgeva entrambe le parti frazionate dell’edificio, non poteva essere stata attuata clandestinamente, e doveva ritenersi pertanto che il sig. C. avesse accettato la diversa destinazione del vano. L’argomento era erroneo in quanto al momento della disattivazione dell’impianto C.C. era proprietario da un decennio della sua unità immobiliare, e il vano caldaia aveva costituito per tutto il decennio bene comune ai sensi dell’art. 1117 c.c., sicchè anche dopo la disattivazione era rimasto proprietario pro quota.

5.1. – La doglianza è infondata. La Corte d’appello ha osservato che l’avvenuta disattivazione nel 1985 dell’impianto di riscaldamento centralizzato aveva comportato la cessazione della destinazione del vano, che risultava parte integrante dell’unità posta al piano terreno, di proprietà esclusiva delle sorelle C.. Il titolo di proprietà e il venir meno della destinazione del vano rendono priva di fondamento la pretesa del ricorrente di continuare ad accedere al vano.

6. – Con il sesto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1350 e 2043 c.c., nonchè vizio di motivazione, e si contesta l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui la chiusura della finestra posta nel vano scale, e l’apertura di una nuova finestra di dimensioni analoghe al piano terra, costituiva intervento attuato in vista della bipartizione dell’originario unico edificio, e come tale era stato accettato dalle parti.

Il ricorrente lamenta sia la mancanza di prova dell’assunto, deducendo che la modifica era stata fatta dalle convenute dopo il frazionamento dell’edificio, sia la rinuncia al diritto di servitù di veduta, costituita per destinazione del padre di famiglia, che la Corte d’appello aveva ravvisato nel suo comportamento di acquiescenza, oltre che in assenza di eccezione di prescrizione.

6.1. – La doglienza è infondata.

Non vi sono ragioni per mettere in discussione l’accertamento compiuto dalla Corte d’appello, secondo cui la modifica era stata effettuata in vista della ripartizione del fabbricato in due unità. Su tale presupposto, comune agli altri interventi, la stessa Corte ha ritenuto coerentemente che anche tale modifica, disposta all’epoca in cui l’immobile era nel possesso del genitore, fosse stata accettata dai figli.

7. – Con il settimo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 949 e 2697 c.c., art. 194 c.p.c., nonchè vizio di motivazione e si contesta il rigetto della domanda di ripristino della scala in muratura che collegava l’area lastricata al giardino, entrambe porzioni di proprietà esclusiva di C.C., che la Corte d’appello aveva argomentato richiamando la CTU, secondo cui l’area in questione non sarebbe di proprietà del predetto. Sulla premessa in fatto che la scala era presente al momento del rogito del 1976, il ricorrente denuncia la nullità della consulenza sul punto, per mancato rispetto dei limiti del mandato, e in ogni caso la carenza di motivazione, in quanto la Corte d’appello non aveva dato conto delle ragioni per cui era condivisibile la ricostruzione operata dal CTU.

7.1. – La doglianza è inammissibile.

La questione della delimitazione della proprietà non è ulteriormente controvertibile in questa sede, trattandosi di accertamento in fatto adeguatamente motivato che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità. In termini analoghi, sollecitano un nuovo inammissibile esame del merito anche le censure all’operato del CTU – e alla sentenza d’appello, che avrebbe recepito acriticamente l’esito – oltretutto in difetto di autosufficienza, posto che il ricorrente richiama atti e documenti che non riproduce.

8. – Con l’ottavo motivo è denunciato vizio di motivazione, con riferimento al rigetto della domanda risarcitoria.

8.1. – La doglianza rimane assorbita nel rigetto delle precedenti.

9. – Il ricorso incidentale è infondato.

9.1. – Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 950 e 1362 c.c., nonchè vizio di motivazione, e si contesta l’accertamento della superficie assegnata in proprietà esclusiva a C.C. nell’atto del (OMISSIS).

9.2. – La doglianza è inammissibile per le ragioni già esposte nell’esame del secondo motivo del ricorso principale, che si richiamano.

10. – Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 949 e ss. c.c., nonchè vizio di motivazione, e si contesta che la Corte d’appello, pur avendo riconosciuto la proprietà del vano ex caldaia in capo alle sorelle C., non avrebbe pronunciato sulla domanda riconvenzionale, riproposta con l’appello incidentale, di rimozione del rubinetto di proprietà dell’attore – appellante, che si trova nel predetto vano.

10.1. – La doglianza è infondata.

Non sussiste l’omessa pronuncia che le ricorrenti incidentali lamentano, pur senza richiamare l’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte d’appello, che ha riformato la sentenza di primo grado con esclusivo riguardo alla domanda di C.C. di accertamento della estensione della proprietà, ha confermato per il resto la sentenza del Tribunale, e nella parte motiva ha espressamente dichiarato “assorbita o superata” ogni altra questione.

Quanto al prospettato vizio di motivazione, la doglianza è evidentemente carente di autosufficienza in quanto non riporta la sentenza di primo grado, e quindi non consente di valutare il denunciato deficit motivazionale, non essendo sufficiente la sola prospettazione della incompatibilità logica tra il riconoscimento della proprietà esclusiva del vano ex caldaia – effettuato dalla Corte d’appello – e il rigetto della domanda riconvenzionale di rimozione del rubinetto, che si assume effettuato dal Tribunale.

11. – Il terzo motivo del ricorso incidentale, formulato condizionatamente all’accoglimento del settimo motivo del ricorso principale, è inammissibile a fronte del rigetto del motivo condizionante.

12. – Entrambi i ricorsi sono rigettati e la soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese di lite per la metà, con onere della rifusione della rimanente parte a carico del ricorrente principale, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, dichiara compensate per la metà le spese di lite del presente giudizio e condanna il ricorrente principale al pagamento della restante parte, che liquida in complessivi Euro 2.2.00,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 29 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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