Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27917 del 31/10/2018

Cassazione civile sez. II, 31/10/2018, (ud. 15/06/2018, dep. 31/10/2018), n.27917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17505/2014 proposto da:

D.F.L.D., rappresentato e difeso dall’Avvocato

PIETRO QUINTO, ed elettivamente domiciliato presso Alfredo Placidi

in ROMA, VIA COSSERIA 12;

– ricorrente –

contro

CASA NOVA s.a.s. di F.O., in persona del legale

rappresentante pro tempore, F.O., rappresentato e difeso

dagli Avvocati GIUSEPPE CHIAIA NOYA e ADRIANO GAROFALO ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Daniela

Fioretti, in ROMA, VIA G. SALICETO 4;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 292/2014 della CORTE di APPELLO di LECCE,

pubblicata il 5/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/06/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto emesso dal Presidente del Tribunale di Lecce il 4.3.1998 era ingiunto a CASA NOVA S.A.S. di F.O., di pagare all’ing. D.F.L.D. la somma di Lire 110.297.083, oltre interessi e spese della procedura monitoria, quali compensi per attività professionale.

Con atto di citazione in data 24.4.1998, Casa Nova proponeva opposizione al decreto ingiuntivo deducendo: 1) che i lavori di progetto e di direzione inerenti il prefabbricato erano stati effettuati dal tecnico ing. P. – della ditta fornitrice; 2) l’erroneità delle voci riportate nella parcella, vistata dal Consiglio dell’Ordine; 3) che il progetto architettonico non era stato curato dal D.F.; 4) che la parcella riportava un valore (110.407.440) del calcolo statico delle fondazioni dei muretti di sostegno e del lastronato in c.a. diverso da quello effettivo (Lire 9.050.000 al lordo del ribasso d’asta); 5) che per l’impianto di raccolta delle acque meteoriche, il professionista si era limitato a indicare le dimensioni della fossa da realizzare e che per esso non spettava alcuna maggiorazione; 6) che il progetto per l’impianto di aspirazione – del valore di Lire 17.472.000 – era stato eseguito dalla Sistem Clima; 7) che la redazione del progetto dell’impianto elettrico – del valore di Lire 41.652.000 – era avvenuta “seguendo pedissequamente il capitolato d’appalto” e che per la relativa voce non spettava alcuna maggiorazione; 8) che il D.F. aveva adempiuto alla propria prestazione con ritardo rispetto al termine convenuto di 60 giorni dalla consegna dei lavori, fatto questo che le aveva prodotto il danno di Lire 51.000.000, di cui Lire 28.000.000 richiestele dalla P.A. a titolo di penale e Lire 23.000.000 per il pregiudizio direttamente subito per il ritardo “nell’incasso del corrispettivo” e per le spese di acquisto di “materiali necessari per l’esecuzione” dei lavori. Conveniva, pertanto il D.F. innanzi al Tribunale di Lecce per sentir revocare il decreto ingiuntivo nonchè per sentirlo condannare – in via riconvenzionale – al pagamento di Lire 51.000.000.

Si costituiva in giudizio il D.F., il quale rilevava l’infondatezza dell’opposizione, in particolare: a) che l’importo dei lavori, posto a base d’asta (Lire 660.000.000) era riferito al progetto di massima; b) che il compenso spettantegli andava ragguagliato al valore effettivo; c) di aver adempiuto esattamente alle obbligazioni assunte; d) che l’incarico, per il cui espletamento non era stato fissato alcun termine, era stato conferito il 18.1.1995 e portato a termine il 27.3.1995; e) che le opere erano state regolarmente collaudate il 3.5.1997, come da certificato; f) che la P.A. non aveva applicato alcuna penale.

La causa, istruita con prove per interrogatorio formale e per testi, nonchè con produzione documentale, C.T.U. e supplemento, veniva decisa con sentenza n. 97/2009, depositata il 19.1.2009, con la quale il Tribunale di Lecce, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocato il decreto ingiuntivo e quantificato il credito dell’opposto in Euro 41.323,75 oltre accessori e interessi legali dal 25.7.1997 all’11.4.2001 (data in cui l’opponente aveva provveduto all’integrale pagamento della somma portata dal provvedimento monitorio), condannava il D.F. alla restituzione della differenza, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza; rigettava la domanda riconvenzionale e – compensate per la metà le spese processuali del giudizio di opposizione – poneva a carico di Casa Nova l’altra metà e per l’intero quelle della C.T.U..

Avverso detta sentenza proponeva appello, in via principale, Casa Nova con atto del 25.2.2010 e, in via incidentale condizionata, il D.F. con comparsa di risposta depositata il 31.5.2010.

Con sentenza n. 292/2014, depositata il 5.5.2014, la Corte d’Appello di Lecce, in parziale accoglimento dell’appello principale, riduceva la somma spettante al D.F. da Euro 41.323,27 ad Euro 20.003,00, oltre accessori e interessi legali, come riconosciuti dal Tribunale; attribuiva sulla differenza tra la somma già corrisposta da Casa Nova (Euro 65.049,92) e quella dovuta al D.F., gli interessi legali con decorrenza 13.6.2006 e, per l’effetto, condannava il D.F. al relativo pagamento; dichiarava inammissibile l’appello incidentale; compensava tra le parti le spese del grado, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione D.F.L.D., sulla base di tre motivi; resiste la Casa Nova s.a.s. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione della L. n. 143 del 1949, art. 18; falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, artt. 14 e 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Nullità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”, là dove la Corte di merito ha accolto il motivo di appello principale con il quale Casa Nova aveva contestato il compenso attribuito al professionista, ex art. 15 della Tariffa, per la voce “progetto architettonico”, in quanto tale disposizione è applicabile nel caso in cui il professionista presti assistenza all’intero svolgimento dell’opera, dalla compilazione del progetto alla direzione dei lavori, al collaudo e alla liquidazione; ma nella presente fattispecie, come ammesso dal D.F. nell’interrogatorio reso, era mancata la direzione dei lavori, sicchè il compenso andava determinato ai sensi dell’art. 14 della Tariffa, mediante la suddivisione nelle classi e categorie descritte nell’elenco indicato nel detto articolo. Il ricorrente precisa di non aver mai asserito di aver svolto un incarico per l’intero svolgimento dell’opera, per cui era pacifico, sin dall’inizio, che il compenso richiesto fosse relativo a prestazioni parziali (tra le quali rientrava quella di direzione di cantiere, ma non di Direttore dei lavori), nei termini previsti dall’art. 18 della Legge Professionale.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Del tutto correttamente la Corte di merito ha rilevato che la confessione giudiziale resa dal D.F. in sede di interrogatorio formale (“preciso che io non ero il direttore dei lavori, ma solo il direttore del cantiere”) assume carattere decisivo, in quanto “proveniente da un ingegnere che conosce perfettamente la distinzione tra direttore dei lavori e direttore di cantiere”, integrante prova legale, non essendo “condivisibile l’assunto dell’appellato secondo cui quella dichiarazione va incrociata con le altre risultanze dell’indagine istruttoria” (sentenza impugnata, pag. 10). Con la conseguenza che il compenso per la voce “progetto architettonico” va fissata sulla base dell’art. 14 della tariffa professionale.

Questa Corte ha ritenuto che, in tema di determinazione degli onorari a percentuale, l’art. 14 della tariffa professionale degli ingegneri ed architetti (approvata con la L. 2 marzo 1949, n. 143) – nel prevedere che le opere vengono “suddivise nelle classi e categorie” indicate nell’elenco in calce e che “se un lavoro professionale interessa più di una categoria, gli onorari spettanti al professionista vengono commisurati separatamente agli importi dei lavori di ciascuna categoria e non globalmente” impone all’interprete di ricercare, anzitutto, la classe di in cui siano sussumibili i lavori da retribuire e, poi, nell’ambito della stessa classe, ove suddivisa in categorie, di frazionare il compenso in relazione a quelle di appartenenza. Tuttavia, ove la classe di appartenenza delle opere non contempli alcuna suddivisione in categorie, il frazionamento del compenso non è consentito, ostandovi l’unitarietà dell’incarico conferito al professionista e l’esigenza di evitare duplicazioni di compensi per una medesima prestazione professionale (Cass. n. 18249 del 2010). Pertanto, risulta altrettanto corretta la relazione del CTU (fatta propria dalla Corte di merito), che ha affermato che il lavoro professionale eseguito dal ricorrente ha riguardato la progettazione di opere comprese nelle categorie 1b – 8 – 3c – 3b – 1f; risultando quindi provata la necessità di applicare l’art. 14. Laddove le singole analitiche contestazioni del ricorrente, in ordine alla concreta liquidazione delle singole voci del dovuto, si configurano quali richieste di accertamenti di mero fatto, come tali sottratti alla valutazione di questa Corte di legittimità.

2.- Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione della L. n. 143 del 1949, art. 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la Corte di merito ha accolto anche il motivo dell’appello principale, secondo il quale, in base all’attività di direttore di cantiere (e non di direttore dei lavori) svolta dal D.F., il compenso non poteva superare, ex art. 17 della Tariffa, il limite del 50% della quota spettante al direttore dei lavori, per cui esso andava ridotto alla metà. Osserva il ricorrente che abbia errato la Corte, in quanto l’art. 17 della Tariffa non si occupa affatto del direttore di cantiere, bensì dell’assistente di cantiere; ove poi il direttore dei lavori, in mancanza dell’assistente di cantiere (o di personale di sorveglianza e controllo o per essere i lavori eseguiti in economia), sia chiamato a un impegno personale maggiore del normale, gli spetterà un maggior compenso, da valutarsi discrezionalmente entro il limite massimo del 50% della quota spettante per la direzione dei lavori. Diversa è la voce relativa al compenso per l’attività di direttore di cantiere, che non rientra nella previsione dell’art. 17, comma. Del tutto errato sarebbe, quindi, il passaggio della sentenza impugnata, secondo il quale l’assimilazione del compenso per le due figure non sarebbe condivisibile nel caso in cui il direttore di cantiere esplichi la sua attività con un impegno maggiore del normale per assenza del personale di sorveglianza e di controllo.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Il ricorrente fa confusione tra le due figure di direttore dei lavori e direttore di cantiere, traendone anche un tertium genus (quello dell’assistente di cantiere). La Corte di merito, con adeguata e logica valutazione di fatto, ha osservato che “le figure di direttore dei lavori e di direttore di cantiere divergono tra loro profondamente in relazione ai titoli professionali richiesti per il rispettivo espletamento, alle competenze, alla preparazione professionale, alla responsabilità ed alla provenienza dell’incarico (dal committente il direttore dei lavori, dall’appaltatore il direttore di cantiere). La figura di “direttore di cantiere” quale quella rivestita dal ricorrente (che ha affermato che “il capitolato d’appalto richiedeva ed obbligava la nomina di un direttore di cantiere la cui funzione è del tutto assimilabile alla direzione dei lavori”) è pertanto diversa e distinta da quella di direttore dei lavori, come confermato dal fatto che il primo può essere, a differenza del secondo, anche un tecnico diplomato (geometra): quindi, non può essere remunerata con il compenso previsto per il più impegnativo, ampio e responsabilizzante compito di direttore dei lavori. Correlativamente la tariffa (art. 17) regola in modo diverso il compenso spettante all’uno ed all’altro, prevedendo per il direttore di cantiere il limite del 50% rispetto a quello spettante al direttore dei lavori (sentenza impugnata, pagg. 11-13).

Pertanto, correttamente, la Corte di merito, per tutte le attività di cantiere diverse dalla direzione lavori ha applicato esclusivamente l’onorario di cui all’art. 17, comma 2, delle tariffe prevedendo un maggior compenso “entro il limite massimo del 50% della quota spettante per la direzione lavori”.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “Nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”, per evidente insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo, là dove la Corte d’appello ha rigettato il motivo di censura secondo cui al professionista non spettava il rimborso delle spese forfettarie, determinandone il compenso aumentandolo del 50% e portandolo ad Euro 25.463,58, senza tuttavia, nella parte dispositiva, tenere conto di tale importo, bensì di quello ridotto di Euro 20.003,00.

3.1. – Il motivo è fondato.

3.2. – Nell’ipotesi (come nella specie) d’insanabile contrasto fra motivazione e dispositivo, non è consentito individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella sentenza, nè è data la possibilità del ricorso all’interpretazione complessiva della decisione – che presuppone una sostanziale coerenza delle diverse parti e proposizioni della medesima – e neppure di utilizzare il procedimento di correzione di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., ma si configura la nullità di tale provvedimento (art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 360 c.p.c., n. 4) per la sua inidoneità a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale (Cass. n. 4754 del 1999). L’incoerenza tra dispositivo e motivazione, dunque, non configura un mero errore materiale e non può essere sanato nè facendo applicazione del principio dell’integrazione del dispositivo con la parte motivazionale, nè con il procedimento di correzione degli errori materiali. Ne consegue la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, difettando tale atto, considerato nella sua unità, dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo cui è destinato (Cass. n. 1729 del 2006).

Sussiste contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, solo quando il provvedimento appaia inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale e, conseguentemente, del diritto o bene riconosciuto (Cass. n. 16014 del 2017; Cass. n. 27578 del 2016; Cass. n. 26077 del 2015). Nella specie, non risulta possibile ricostruire la statuizione del giudice in parte qua attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, con valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella parte motiva su altre di segno opposto presenti nel dispositivo.

4. – Il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno dunque rigettati. Il terzo motivo va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo dei ricorso; accoglie il terzo motivo del ricorso. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la stessa alla Corte d’appello di Lecce, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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