Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27917 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 30/10/2019), n.27917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21163-2015 proposto da:

D.B.V., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati FRANCESCO DESSANTI, STEFANO PILO;

– ricorrente –

contro

S.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNI BATTISTA LUCIANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 215/2014 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 13/08/2014 R.G.N. 198/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/07/2019 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO che ha concluso per accoglimento del primo motivo

del ricorso.

Fatto

Con sentenza del 13 agosto 2014, la Corte d’appello di Cagliari, sez dist. di Sassari condannava D.B.V., titolare dell’omonima ditta individuale, al pagamento in favore di S.A., della somma di Euro 26.060,14, a titolo di differenze retributive e T.f.r. per attività lavorativa prestata alle dipendenze del primo dal 1 agosto 2000 al 12 settembre 2002: così riformando la sentenza di primo grado, che ne aveva invece rigettato la domanda.

In esito alle scrutinate risultanze istruttorie, la Corte territoriale accertava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, con svolgimento da S.A. di mansioni di muratore (non inquadrabili tuttavia nel richiesto 3 livello del CCNL Edili Artigiani di operaio specializzato in difetto di prova) ed osservanza dell’ordinario orario di lavoro.

Essa riteneva applicabile il suddetto CCNL per la determinazione della retribuzione, in via parametrica ai sensi dell’art. 36 Cost., liquidata nella complessiva somma di Euro 31.224,70, di cui Euro 27.510,75 per retribuzioni e Euro 3.719,95 per T.f.r., da cui detraeva la somma di Euro 5.164,56 percepita a titolo di acconti.

Con atto notificato il 13 agosto 2014, D.B.V. ricorreva per cassazione con tre motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c., per liquidazione al lavoratore, a titolo retributivo, di una somma maggiore di quella spettante al 2 livello CCNL di categoria di cui il predetto aveva richiesto l’applicazione, senza indicazione del criterio adottato nè prova del suo ammontare.

2. Con il secondo, egli deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c. ed omesso esame di un fatto storico decisivo, in riferimento all’esistenza del cantiere in (OMISSIS), ai fini della mancanza di prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato di S.A., nel quale solo era stato visto lavorare da un teste, per la breve durata dei lavori da luglio a settembre 2001.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., 416, 115 c.p.c. e vizio motivo, per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili contenute nella sentenza, quali l’avere ritenuto che la linea difensiva datoriale si fosse limitata a negare la prestazione di alcuna attività lavorativa di S. nei propri cantieri ma non che essa fosse stata compiuta in regime di autonomia libero-professionale, piuttosto che di subordinazione, risultando invece dagli atti la contestazione di un rapporto di subordinazione.

4. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione delle norme suindicate per liquidazione al lavoratore di somma maggiore di quella spettante al 2 livello CCNL di categoria e senza indicazione dei criteri, è inammissibile.

4.1. Esso difetta di specificità, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, per omessa trascrizione dei conteggi allegati al ricorso introduttivo (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915, con affermazione del principio ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., comma 1; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48), ostativa all’apprezzamento della ultrapetizione denunciata, neppure sussistente nel caso di specie, siccome ricorrente quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione del petitum o della causa petendi, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso, così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868; Cass. 6 settembre 2018, n. 21720).

Ma un tale vizio ridonda effetti di genericità della censura anche in relazione alla determinazione dalla Corte territoriale della retribuzione spettante al lavoratore, in applicazione del CCNL quale parametro di sua sufficienza e adeguatezza, ai sensi dell’art. 36 Cost. (Cass. 31 gennaio 2012, n. 1415; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27138; Cass. 2 agosto 2018, n. 20452) e all’accertamento in fatto delle mansioni operaie svolte (pure con adeguata argomentazione, al terz’ultimo e penultimo capoverso di pg. 5 della sentenza): persino in assenza di una specifica contestazione. E pertanto in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 che esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959).

5. Il secondo e il terzo motivo, relativi alle illustrate violazioni in ordine alla mancanza di prova di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.

5.1. Anche qui occorre preliminarmente sottolineare un difetto di specificità del secondo motivo, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, per omessa trascrizione della memoria difensiva e delle prove orali richiamate (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 23 aprile 2010, n. 9748; Cass. 4 ottobre 2017, n. 23194; Cass. 4 aprile 2018, n. 8204).

5.2. Non è poi configurabile la violazione di norme denunciata, non ricorrendo nè quella dell’art. 2697 c.c., nè quella dell’art. 115 c.p.c..

La prima disposizione è, infatti, censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395).

La violazione della seconda norma ricorre invece in presenza di un errore di percezione, che cada sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, in contrasto con il divieto di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile 2017, n. 9356).

5.3. In realtà, la doglianza si risolve in una contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto della Corte territoriale sulla base di un autonomo percorso argomentativo, al di là della richiamata linea difensiva di D. (“Ciò posto va comunque osservato.. “: dal penultimo capoverso di pg. 4 al secondo di pg. 5 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679); tanto meno alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal cui più rigoroso ambito devolutivo è esclusa la valutazione delle risultanze istruttorie (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).

6. Nè infine sussiste alcun contrasto irriducibile tra affermazioni motive inconciliabili, tali da determinare nullità della sentenza, non ricorrendo i presupposti di configurabilità del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Il sindacato di legittimità sulla motivazione resta, infatti, circoscritto alla sola verifica di violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi (che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza) di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).

Neppure ricorre violazione dell’obbligo in esame, non risultando la motivazione del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile): anche in tal caso concretandosi una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 25 settembre 2018, n. 22598).

7. Dalle superiori argomentazioni discende allora il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna D.B.V. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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