Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27913 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 30/10/2019), n.27913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24227-2017 proposto da:

GH NAPOLI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO 20 presso lo studio

dell’avvocato LUCA DI PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato

FRANCESCO CASTIGLIONE;

– ricorrente –

contro

D.N.D., S.V., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DI TORRE GAIA 14, presso lo studio dell’avvocato VANESSA

SCACCHI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI NUCIFERO;

– controricorrenti –

e contro

MENZIES AVIATION ITALY S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Liquidatore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO, 18, presso lo studio

dell’avvocato NUNZIO RIZZO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PIERLUIGI RIZZO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

D.N.D., S.V.;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

e contro

GH NAPOLI S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4086/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/06/2017, R. G. N. 3615/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/07/2019 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per accoglimento del 3 motivo del

ricorso principale, rigetto del 10 e motivo e rigetto del ricorso

incidentale;

udito l’Avvocato LUCA DI PAOLO per delega verbale avvocato FRANCESCO

CASTIGLIONE;

udito l’Avvocato GIOVANNI NUCIFERO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 48, al Tribunale di Napoli, D.N.D. e S.V., dipendenti in qualità di addetti al settore amministrativo della Menzies Aviation s.r.l. società aeroportuale che gestiva le attività di handling (servizi di assistenza agli aeromobili ed ai passeggeri presso l’aeroporto di (OMISSIS)), esponevano che la società, a seguito della risoluzione del contratto intercorso con la Easy Jet, il giorno (OMISSIS) aveva dato inizio alla procedura di licenziamento collettivo di tutti gli ottanta dipendenti assegnati all’unica unità produttiva sita in (OMISSIS);

che in data 11/2/2015 la Menzies Aviation s.r.l. aveva siglato un verbale di accordo con la s.p.a. GH Napoli (cessionaria dei servizi di handling al vettore Easy Jet) onde dare attuazione alla clausola sociale del vigente c.c.n.l.;

che la GH Napoli s.p.a. aveva quindi proceduto alla assunzione di soli settantacinque dipendenti con esclusione dei ricorrenti. Costoro precisavano poi, che la società Menzies aveva ceduto alla GH Napoli s.p.a., attrezzature e beni utilizzati per l’attività di handling dell’aeroporto mediante un fittizio contratto di vendita per il corrispettivo di Euro 1.000,00 al fine di dissimulare la cessione.

Sulla scorta di tali premesse, chiedevano dichiararsi l’inefficacia dei licenziamenti (intimati dalla Menzies in data (OMISSIS) quanto a S.V., e il (OMISSIS) quanto a D.N.D.) per violazione della L. n. 223 del 1991, nonchè degli artt. G3 ed H37 del c.c.n.l. di settore, previo riconoscimento del trasferimento d’azienda alla G.H.Napoli s.p.a..

Instavano quindi, per la reintegra nel posto di lavoro presso detta società, e la condanna della stessa, in solido con la Menzies Aviation Italy s.r.l., al risarcimento del danno. Costituitesi, le società convenute resistevano al ricorso.

Il Tribunale adito accoglieva le domande attoree, ordinando la reintegra dei lavoratori e riconoscendo il diritto al risarcimento del danno nella misura di dieci mensilità della retribuzione.

Detta pronuncia veniva confermata con sentenza resa pubblica il 7/6/2017, dalla Corte distrettuale, che fondava il proprio iter argomentativo sulla scorta dei seguenti rilievi:

a) i licenziamenti intimati erano scaturiti dalla applicazione della procedura di cui alla cd. clausola sociale ex art. 14, all. 1, del protocollo d’intesa 16/4/99 previsto dal D.Lgs. n. 18 del 1999, art. 14 in base al quale la società che gestisce servizi aeroportuali qualora perda un cliente, ha diritto di trasferire il proprio personale al nuovo gestore in proporzione alla quota di traffico venuta meno;

b) il ccnl di settore all’art. G3 disciplinava le modalità di attuazione della clausola sociale, stabilendo che all’interno di ciascuna fascia di età in cui erano suddivise le varie categorie professionali del personale in forza al gestore, si sarebbe proceduto alla definizione di graduatorie secondo il criterio dell’anzianità di servizio; sarebbero state, quindi, individuate per ogni profilo professionale le risorse da trasferire al soggetto subentrante estraendo da ciascuna fascia coppie di lavoratori costituite dal primo (lavoratore con maggiore anzianità di servizio) e dall’ultimo (lavoratore con minore anzianità di servizio) della graduatoria, sino al raggiungimento delle quote stabilite;

c) la società aggiudicataria GH Napoli aveva violato i dettami di cui alla summenzionata disposizione contrattuale collettiva giacchè, pur avendo individuato due macro aree di professionalità (impiegati ed operai), non aveva predisposto la graduatoria per fasce e per anzianità di servizio dalle quali attingere il personale da trasferire sino a concorrenza dell’entità numerica necessaria per la società cessionaria;

d) detta violazione, determinava l’illegittimità dei licenziamenti intimati;

e) l’effetto estintivo del licenziamento e la conseguente reintegra del dipendente nel posto di lavoro non era impedito, poi, in ipotesi di cessione di ramo d’azienda, poichè in tal caso – nella specie verificatosi mediante il trasferimento della quasi totalità del personale Menzies e dei beni strumentali ad un terzo soggetto che aveva provveduto a noleggiarlo successivamente alla GH Napoli – il rapporto di lavoro si trasferisce ex art. 2112 c.c. in capo al cessionario.

Avverso questa sentenza la s.p.a. G.H.Napoli interpone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi mentre D.N.D. e S.V. resistono con controricorso.

Anche la Menzies Aviation (Italy) s.r.l. in liquidazione resiste con controricorso, spiegando ricorso incidentale affidato ad unico motivo, ai quali i lavoratori oppongono difese.

Il P.G. ha rassegnato le proprie conclusioni.

La causa, chiamata all’udienza camerale del 14/3/2019, è stata quindi rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 18 del 1999, art. 14, degli artt. G3 ed H37 c.c.n.l. “per il personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali” nonchè del Protocollo di Intesa del 16/4/1999 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in ragione della contraddittorietà della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si critica la pronuncia della Corte distrettuale in relazione alla esegesi della complessa procedura di “clausola sociale” della quale si lamenta non sia stata colta effettivamente la ratio.

Si deduce in particolare che un’applicazione “cd. scolastica” delle regole dettate dal c.c.n.l. era da doversi escludere nel caso in esame, in quanto impossibile nella sua attuazione ed “inutile, posto che la Menzies era in procinto di chiudere ogni attività sul sedime aeroportuale partenopeo (nonchè in Italia), essendo dunque in posizione di totale indifferenza rispetto alla predetta operazione selettiva”.

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in ragione della contraddittorietà della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si deduce che ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, richiamato art. 29 l’acquisizione di personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore in forza di legge, c.c.n.l. o clausola del contratto di appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda; inoltre i licenziamenti comunicati a causa della cessazione di un appalto, fuoriescono dall’area di applicazione della disciplina di riduzione del personale ex lege n. 223 del 1991.

La nuova L. n. 122 del 2016 (non applicabile alla vicenda scrutinata ratione temporis) esclude poi, che possa ravvisarsi una fattispecie riconducibile all’art. 2112 c.c. ove il nuovo appaltatore risulti dotato, come nella specie, di una propria struttura organizzativa ed operativa.

Si stigmatizza altresì la pronuncia della Corte territoriale per intrinseca contraddittorietà, giacchè i vizi riscontrati nell’ambito della procedura sindacale e quelli attinenti alla violazione delle disposizioni in tema di cessione di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., erano fra loro incompatibili, comportando i primi l’applicazione di una tutela meramente risarcitoria per la lesione della chance di assunzione presso la società aggiudicataria dell’appalto, i secondi, un trasferimento del personale ope legis in capo al cessionario.

3. Con il terzo motivo si critica la statuizione con cui i giudici del gravame hanno disposto la reintegra nel posto di lavoro presso la cessionaria. Si deduce che la sentenza di mero accertamento della prosecuzione del rapporto di lavoro si innesta nell’impianto normativo dell’illecito contrattuale; quale corollario di tale premessa, si assume che può essere azionato il diritto al risarcimento del danno derivato al prestatore dall’allontanamento dal posto di lavoro, secondo i parametri stabiliti dall’art. 1223 c.c., non essendovi spazio “per una erronea ed inedita applicazione delle tutele previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18”.

In tal senso si palesava l’ulteriore carenza dell’impianto decisorio, non essendosi la Corte di merito espressa sulla specifica questione delle conseguenze risarcitorie derivanti dalla disposta applicazione dell’art. 2112 c.c., specificamente sollevata in atto di appello.

4. Con unico motivo di ricorso incidentale la Menzies Aviation (Italy) s.r.l. in liquidazione denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e art. 2112 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La società deduce che, una volta accertata la realizzazione del trasferimento d’azienda e la prosecuzione dei rapporti di lavoro dei dipendenti ivi occupati, senza soluzione di continuità, con il nuovo “titolare” dell’azienda stessa, irrilevante risulta qualsiasi valutazione in ordine alla correttezza formale e sostanziale della procedura di licenziamento collettivo adottata dalla società cedente.

In conseguenza della applicazione dell’art. 2112 c.c. non sussiste la necessità di rimuovere gli effetti dell’atto, ritenuto inesistente, intimato dal cedente dopo il trasferimento d’azienda, atteso che i rapporti di lavoro sono proseguiti ope legis con il cessionario.

5. Ragioni di logica priorità inducono ad esaminare innanzitutto il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale.

6. Il secondo motivo non è fondato.

Per un ordinato inquadramento delle problematiche devolute alla cognizione di questa Corte, appare opportuno muovere dai principi del diritto dell’Unione che ha costantemente condizionato l’interpretazione giurisprudenziale ed influito in modo rilevante sullo sviluppo della legislazione interna.

In un rinnovato contesto ispirato all’esigenza di tutelare maggiormente la posizione del lavoratore nelle vicende circolatorie dell’impresa, onde garantire il suo interesse alla continuità dell’occupazione, si colloca la direttiva comunitaria 14 febbraio 1977 n. 77/187 che secondo l’interpretazione offertane dalla Corte di Giustizia in numerosi approdi, mirava proprio all’obiettivo di impedire che le ristrutturazioni nell’ambito del mercato comune, si effettuassero a danno dei lavoratori delle imprese coinvolte garantendo la salvaguardia dei loro diritti in caso di cambiamento di datore di lavoro (vedi Corte di Giustizia 7 febbraio 1985 causa 105/84, Corte di Giustizia 11 luglio 1985 causa 105/84).

Tale direttiva, poi modificata dalla direttiva 29 giugno 1998 n. 98/50/Ce ed ora abrogata e sostituita dalla direttiva 12 marzo 2001 n. 2001/23/Ce (priva, peraltro, di portata innovativa), è all’origine delle profonde modifiche introdotte nell’ordinamento italiano dapprima con la L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47 (che recepiva la direttiva n. 77/187) e, successivamente, con il D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18 (solo marginalmente modificato dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 32).

A fronte di un trasferimento d’azienda o di un suo ramo – così come il legislatore ha inteso prescrivere in tema di appalto di servizi – in definitiva, l’ordinamento appronta un sistema di garanzia per i lavoratori, di continuità dell’occupazione, nel senso che il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano (art. 2112 c.c. pro tempore vigente).

Esigenze di completezza espositiva, inducono poi a considerare come la nozione giuslavoristica di azienda, imperniata sul concetto di “organizzazione” piuttosto che sul complesso di beni di cui all’art. 2555 c.c., abbia agevolato la sussunzione nella fattispecie astratta ex art. 2112 c.c. anche in ipotesi di aziende “dematerializzate”, consistenti in un insieme di rapporti giuridici e/o contratti come nel caso delle attività labour intensive.

La giurisprudenza di legittimità da tempo ha anche ammesso che l’autonomia organizzativa dell’entità economica ceduta possa configurarsi anche in presenza di trasferimento di sola manodopera… potendosi concretizzare non solo attraverso la natura e le caratteristiche della concreta attività spiegata, ma anche in ragione di altri significativi elementi quali, ad esempio, la direzione e l’organizzazione del personale, il suo specifico inquadramento, le peculiari modalità di articolazione del lavoro e i relativi metodi di gestione (vedi Cass.4/12/2002 n. 17207), ovvero quando vi sia cessione di un ramo “dematerializzato” o “leggero” dell’impresa, o nel quale il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, quando il gruppo di lavoratori trasferiti sia dotato di un particolare know how, e cioè di un comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esso sia possibile fornire lo stesso servizio (ex plurimis, vedi Cass. 8/5/2014 n. 9957, Cass. 25/9/2013 n. 21917).

Come rimarcato da accorta dottrina, non ha ostacolato il descritto orientamento, declinato in conformità ai principi comunitari, neanche il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 3, che così stabiliva: “L’acquisiziOne del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.

Secondo una certa prospettiva, quella categorica formulazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 3 era volta ad introdurre una deroga alla disciplina generale codicistica, considerato come, senza tale disposto normativo, il subentro nell’esecuzione di un contratto di appalto avrebbe potuto determinare l’applicazione delle tutele previste dall’art. 2112 c.c., per cui il legislatore del 2003, avrebbe inteso escludere l’applicazione della norma del codice civile quando, per effetto di una successione tra diversi appaltatori, fossero ricorsi gli estremi per un trasferimento di azienda. In altri termini il legislatore, precludendo che il mero subentro in un contratto di appalto potesse di per sè determinare il diritto dei dipendenti dell’impresa che ha perso l’appalto a passare alle dipendenze della nuova impresa appaltatrice, qualunque fossero le modalità con cui tale subentro era stato posto in essere, aveva compiuto una scelta in tema di disciplina applicabile, escludendola in una fattispecie altrimenti riconducibile al concetto ampio di trasferimento d’azienda accolto dalla giurisprudenza comunitaria.

Diversamente, e proprio per i problemi di compatibilità con la normativa dell’Unione, altra dottrina ha sostenuto che l’art. 29, comma 3, citato affermava soltanto che l’acquisizione del personale da parte dell’impresa subentrante in un appalto non costituisce di per sè un trasferimento di azienda, ma non che non può concorrere ad integrarlo.

7. Orbene, proprio sulla scia di tale ultimo, condivisibile orientamento, la giurisprudenza di legittimità ha affermato, con approccio privo di contrasti, il principio alla cui stregua in caso di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi, non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall’appaltatore cessato al trasferimento automatico all’impresa subentrante, ma occorre accertare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c., mediante il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all’attività di impresa, o almeno del “know how” o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti ostandovi il disposto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 3, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza Eurounitaria che consente, ma non impone, di estendere l’ambito di protezione dei lavoratori di cui alla Dir. n. 2001/23/CEE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda (vedi Cass. 6/12/2016 n. 24972 cui adde, di recente, Cass. 18/3/2019 n. 8922).

Nei richiamati approdi questa Corte (vedi in motivazione, Cass. cit. n. 24972/2016) ha bene rimarcato che “se in un determinato appalto di servizi un imprenditore subentra ad un altro e nel contempo ne acquisisce il personale e i beni strumentali organizzati (cioè l’azienda), la fattispecie non può che essere disciplinata dall’art. 2112 c.c. (pena un’ingiustificata aporia nell’ordinamento)”.

Conclusivamente, così come affermato in dottrina, posto che la circolazione delle entità economiche connesse alla successione negli appalti non si sottrae alla disciplina del trasferimento di impresa, le disposizioni di fonte collettiva e legale dedicate a tale fenomeno trovano applicazione in alternativa a tale disciplina e solo dove essa non si applichi; nonostante le due discipline tendano ad effetti talvolta convergenti, ciò non toglie che le stesse siano alternative, perchè o vi è trasferimento d’azienda o di una sua parte ex art. 2112 c.c., e quindi prosecuzione ex lege del rapporto di lavoro, oppure c’è subentro nell’appalto con applicazione dello statuto speciale dettato da un insieme di norme di fonte collettiva e legale.

Alla luce delle considerazioni sinora svolte, deve quindi, ritenersi che la Corte di merito nel proprio incedere argomentativo, si sia collocata nell’alveo degli enunciati principi, avendo confermato l’accertamento espletato dal giudice di prima istanza il quale aveva ritenuto perfezionata una ipotesi di trasferimento d’azienda, connotato dal “passaggio della commessa del vettore Easy Jet dalla Menzies alla GH Napoli, con il contestuale passaggio della quasi totalità del personale originariamente alle dipendenze di Menzies (fatta eccezione per i dipendenti licenziati), ed il trasferimento dell’utilizzo dei beni strumentali da Menzies a GH Napoli, attraverso la vendita degli stessi da Menzies ad un soggetto terzo, la Logos Finance che poi ha provveduto a noleggiarli a GH Napoli”.

Questo accertamento, non inficiato da doglianza coerente col principio di specificità che governa il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 366, comma 1, nn. 3, 4 e 6, consente di inquadrare la vicenda circolatoria dell’impresa, nell’ambito della disposizione codicistica richiamata; onde la statuizione che lo contiene, resiste alla censura all’esame.

8. Il terzo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale, possono congiuntamente trattarsi, per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse.

9. Essi vanno disattesi per i motivi di seguito esposti.

Per un corretto sviluppo dell’iter argomentativo, non può tralasciarsi di considerare che con il ricorso incidentale la società Menzies ha rimarcato la sussistenza del dato, non puntualmente evidenziato dalla sentenza impugnata, ed incontroverso fra le parti, inerente alla anteriorità della cessione d’azienda rispetto ai licenziamenti intimati ai ricorrenti, comunicati con lettere del 25 febbraio e del 4 marzo 2015.

In tale prospettiva la vicenda traslativa dell’impresa, oggetto di specifico accertamento da parte del giudice di prima istanza in relazione alla domanda avanzata dai lavoratori, ha comportato la prosecuzione ex lege del rapporto di lavoro in capo alla cessionaria GH Napoli, secondo il sistema di garanzia approntato dall’ordinamento in favore dei lavoratori, di continuità dell’occupazione, nel senso che il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano (art. 2112 c.c.).

Consegue a quanto sinora detto, che la questione relativa alla legittimità del licenziamento intimato dalla società Menzies Aviation Italy ed alle conseguenze di natura risarcitoria ad esso connesse, non può congruamente venire in rilievo, così come rimarcato anche dalla società ricorrente in via principale, vertendosi in ipotesi di provvedimenti adottati da soggetto non più titolare del rapporto di lavoro e, quindi, del tutto improduttivi di effetti giuridici.

In una ipotesi siffatta, è stato affermato che il giudice deve pronunciare una sentenza di mero accertamento della prosecuzione del rapporto e di condanna della parte datoriale al pagamento delle retribuzioni non corrisposte, secondo una linea tracciata già anche da risalenti arresti di questa Corte (cfr. Cass. 19/8/1995 n. 8924). In applicazione del principio di corrispettività che regola il rapporto tra la prestazione lavorativa e l’obbligo retributivo, e secondo la decisione richiamata, secondo la richiamata giurisprudenza, i lavoratori possono, quindi, azionare il diritto al pagamento delle retribuzioni nei confronti della società cessionaria, dal momento della formale messa in mora del datore di lavoro relativamente alla accettazione della prestazione lavorativa (artt. 1218 e 1207 c.c.).

E’ bene in via ulteriore rammentare, che in più recenti pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. S.U. 7/2/018 n. 2990), la questione attinente alla regola della corrispettività nell’ipotesi di un rifiuto illegittimo del datore di lavoro di ricevere la prestazione lavorativa regolarmente offerta, è stata oggetto di ampia rimeditazione, e, quindi, risolta, nel senso che sul datore di lavoro il quale persista nel rifiuto di ricevere la prestazione lavorativa, ritualmente offerta dopo l’accertamento giudiziale che ha ripristinato vinculum iuris, continua a gravare l’obbligo di corrispondere la retribuzione.

Dai principi affermati in tema di vizio della pattuizione del termine, cui consegue l’instaurazione di un contratto a tempo indeterminato, le Sezioni Unite evincono, con portata tendenzialmente generale, l’obbligo del datore di lavoro moroso di corrispondere le retribuzioni al lavoratore che non sia stato riammesso in servizio, neppure dopo la pronuncia del giudice che abbia ripristinato la vigenza dell’originario rapporto di lavoro. Ed infatti, in base ai consolidati dicta di questa Corte, la retribuzione spetta al dipendente sia se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti (vedi Cass. 23/11/2006 n. 24886; Cass. 23/7/2008 n. 20316).

Una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il rifiuto di questi rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare la controprestazione retributiva.

Anche in relazione al profilo della possibile esenzione dalla assunzione di siffatto obbligo da parte datoriale, l’orientamento di questa Corte è costante nel ritenere che, in applicazione dei principi generali di cui agli artt. 1218 e 1256 c.c., la “sospensione unilaterale” del rapporto da parte del datore di lavoro può ritenersi giustificata e tale da esonerare il medesimo datore dall’obbligazione retributiva, solo quando non sia imputabile all’atto dello stesso (Cass. 16/4/2004, n. 7300; Cass. 9/8/2004, Cass. 10/4/2002 n. 5101Cass. 22/10/1999, n. 11916).

10. Applicando i summenzionati principi alla fattispecie scrutinata, e considerando che i lavoratori non inseriti nell’assetto organizzativo aziendale della GH Napoli s.p.a. con la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio hanno realizzato la situazione di mora accipiendi della parte datoriale, conseguendo altresì l’accertamento giudiziale della pregressa vicenda traslativa intervenuta fra la società Menzies Aviation Italy e la s.p.a. GH Napoli (sentenza del Tribunale di Napoli n. 3712 del 27/4/2016), deve affermarsi l’inammissibilità della censura.

E’ infatti, all’evidenza, carente l’interesse della ricorrente ad impugnare la pronuncia della Corte distrettuale recante la statuizione di conferma della condanna emessa dal primo giudice, al pagamento del risarcimento del danno nella misura di dieci mensilità della retribuzione; tale statuizione si prospetta in termini di maggior favore per la società cessionaria, rispetto a quella che sarebbe scaturita da una rigorosa applicazione dei principi innanzi enunciati in tema, la quale avrebbe comportato la condanna della predetta società al pagamento di somme dovute a titolo retributivo – in epoca successiva all’accertamento giudiziale dell’intervenuta cessione d’azienda in data 27/4/2016 – in relazione ad un periodo certamente supèriore rispetto a quello (dieci mesi) disposto dal giudice di, prima istanza, confermato poi dalla Corte territoriale.

11. Sotto altro versante, vanno disattese anche le doglianze formulate dalla società Menzies Aviation Italy, considerato che il trasferimento d’azienda prospettato dai lavoratori con riferimento alla situazione di vendita simulata dei beni strumentali a terzi, a prezzo irrisorio, affinchè la società li concedesse in locazione alla G.H. Napoli s.p.a. oltre al trasferimento del personale, era circostanza sottoposta ad accertamento in sede giudiziale e non escludeva un interesse dei lavoratori ad un accertamento anche della illegittimità del provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro inter partes.

12. Nell’ottica descritta il primo motivo del ricorso principale, interamente modulato sulle statuizioni attinenti alla violazione della procedura disciplinata dalla legge e dai contratti collettivi di settore – e anche al di là dei pur riscontrabili profili di inammissibilità per difetto di specificità, non risultando riportato il tenore della documentazione ivi richiamata (verbale di riunione sindacale del 16/2/2015 e successiva lettera del 17/2/2015) deve ritenersi logicamente assorbito dalle osservazioni sinora svolte.

In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, entrambi i ricorsi vanno rigettati, sia pure all’esito della correzione della motivazione della pronuncia impugnata ex art. 384 c.p.c., comma 4 nei sensi innanzi descritti.

Il governo delle spese del presente giudizio di legittimità segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata, con distrazione in favore dell’avv.Giovanni Nucifero.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, il art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le impugnazioni integralmente rigettate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Condanna la GH Napoli s.p.a. al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di D.N.D. e S.V. che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge da distrarsi in favore dell’avv.Giovanni Nucifero.

Condanna la Menzies Aviation Italy in liquidazione, al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di D.N.D. e S.V. che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge da distrarsi in favore dell’avv. Giovanni Nucifero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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