Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27912 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 30/10/2019), n.27912

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13531-2015 proposto da:

R.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPIA NUOVA 251,

presso lo studio dell’avvocato MARIA SARACINO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROSARIO FOLLIERI;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, presso la sede della Società (Avvocato ANNA TERESA

LAURORA rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI GIACOMO TOMMASO

ZUCCARINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1108/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 12/06/2014, R. G. N. 3149/2011.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di appello di Bari, con la sentenza n. 1158/2014, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva parzialmente accolto le domande del R., attore in senso sostanziale in un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, e condannato Poste Italiane s.p.a. (previa revoca di decreto ingiuntivo per parziale accoglimento dell’opposizione di Poste) al pagamento in favore del R. di Euro 7.988,50 oltre accessori, a titolo differenze retributive stipendiali e premi produttività, scaturenti dal raffronto tra quanto al lavoratore già liquidato sulla base di una precedente pronuncia della medesima corte di appello (che riguardava il riconoscimento di inquadramento superiore e che individuava il CCNL applicabile al rapporto) e quanto ritenuto spettante al lavoratore in forza degli istituti sopra richiamati; che a fondamento del decisum, la Corte territoriale, dopo aver evidenziato la ammissibilità dell’appello, poichè non tardivo, ha escluso che la consulenza tecnica disposta in prime cure fosse superflua, come aveva invece allegato l’appellante, poichè i conteggi risultavano da Poste espressamente contestati in sede di opposizione a decreto ingiuntivo; ha escluso pure la erroneità dei conteggi svolti dal CTU, poichè solo genericamente contestati dall’appellante; la corte, inoltre, quanto alla doglianza con cui l’appellante lamentava la mancata considerazione, all’atto del conferimento dell’incarico al consulente, delle differenze stipendiali relative anche a festività, ferie non godute, assegni familiari, scatti anzianità, indennità funzione, di maneggio denaro e conguagli per premi produttività, ha evidenziato come il lavoratore, per un verso non avesse mai contestato il contenuto dell’incarico al c.t.u. (espressamente di ricalcolo diff. stipendiali in base “elementi fissi retribuz.”, “indennità integr. speciale” e “premi produttività”), per altro verso non avesse comunque allegato e provato i presupposti di fatto di tali voci, peraltro dolendosi dell’omesso calcolo della voce “premi produttività” che, invece, il Tribunale aveva calcolato a parte;

la corte poi, per rigettare l’ulteriore censura di una disparità di trattamento subita rispetto ad altri dipendenti delle poste, ha escluso, conformemente alla decisione di primo grado, la sussistenza nell’ordinamento di un principio di parità trattamento tra dipendenti settore privati, in base al quale, anzichè sulla base del CCNL, il c.t.u. avrebbe dovuto elaborare conteggi sulla base delle buste paga dei dipendenti Poste con qualifica maggiore riconosciuta a R. (censura riproposta dal ricorrente nonostante fosse stata argomentatamente rigettata in prime cure);

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione R.N., affidato ad unico motivo e illustrato da successive memorie;

che Poste Italiane ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 2103 c.c. ed il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale escludendo erroneamente che il ricorrente avesse svolto contestazioni alla relazione di c.t.u., invece documentate dalla trascrizione del verbale d’udienza 26.2.09, risultando contestate tanto le conclusioni peritali che le ragioni a fondamento dei presupposti di fatto per il computo delle voci variabili indicate; la corte avrebbe reso una motivazione “non… persuasiva e… carente di circostanze decisive oggetto di discussione tra le parti”, spettando il detto trattamento richiesto per l’assegnazione delle superiori mansioni riconosciute, e risultando cartolarmente dimostrati i presupposti di fatto;

avrebbe errato la corte, altresì, nel ritenere che il ricorrente avesse invocato un principio di parità di trattamento, poichè egli, semplicemente, aveva prodotto le buste paga proprie (di qualifica inferiore) e, a titolo parametrico, di altri colleghi con la qualifica superiore riconosciutagli, al fine di fornire la prova della differenza;

che il motivo è infondato, per difetto di specificità sotto un duplice profilo:

1) in primo luogo il ricorrente, nel proporre la doglianza, non sì confronta con la puntuale argomentazione della Corte territoriale che ha evidenziato la assenza di contestazione del contenuto dell’incarico conferito dal Tribunale al c.t.u. (pag. 3 della sentenza impugnata), limitandosi, diversamente, ad affermare di aver contestato le conclusioni della relazione di c.t.u. così violando la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. ex multis Cass. 3.7.08, n. 18202; Cass. 19.8.09, n. 18421; Cass. 22.9.14, n. 19959);

2) in secondo luogo il ricorrente, nel dolersi della omessa valutazione di documenti comparativi che assume prodotti (buste paga proprie e di colleghi), ne omette la trascrizione, o la specifica indicazione della sede di produzione, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6 (sul punto, tra le tante, Cass. 30.7.10,n. 17915, con affermazione ex art. 360 bis c.p.c., comma 1; Cass. 20.9.13, n. 21632; Cass. 3.1.14, n. 48; Cass. 10.8.17, n. 19985); in ogni caso, dalla mera lettura del motivo con cui è proposta la censura in discorso, emerge con chiarezza come il ricorrente, pur formalmente escludendolo, in concreto invoca proprio quel principio di parità di trattamento inesistente nel nostro ordinamento per i dipendenti privati (come esattamente rilevato a pag. 3 dalla sentenza impugnata); che, pertanto deve essere esclusa la configurabilità della violazione di legge denunciata, in assenza dei requisiti tipici del vizio dedotto (Cass. 31.5.06, n. 12984; Cass. 28.2.12, n. 3010; Cass. 26.6.13, n. 16038; Cass. 12.1.16, n. 287) come pure del vizio motivazione, solo genericamente denunciato, in contrasto con le specifiche prescrizioni imposte dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 applicabile alla fattispecie, come interpretato da questa corte (Cass. s.u. 7.4.2014 n. 8053; Cass. s.u. 22.9.2014 n. 19881; Cass. 21.10.15, n. 21439);

ed infatti il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile in causa ratione temporis, invero, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Al compito assegnato alla Corte di Cassazione resta dunque estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti che implichi un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito;

anche nel caso di specie il ricorrente, in sostanza, non si duole del mancato esame di un fatto storico ma della valutazione di merito in ordine ai fatti esaminati in sentenza, non sindacabile – per quanto sopra detto – da questa Corte.

che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato;

che al rigetto segue la condanna del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità;

che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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