Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27911 del 21/12/2011
Cassazione civile sez. III, 21/12/2011, (ud. 11/11/2011, dep. 21/12/2011), n.27911
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –
Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –
Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 28391/2009 proposto da:
SIR SVILUPPO IMMOBILIARE ROMA A RL (OMISSIS), in persona del suo
legale rappresentante pro tempore S.A., elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 26, presso lo studio dell’avvocato
AMATO Nicolò, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PIERETTI MARIA CRISTINA giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.
GRAMSCI 34, presso lo studio dell’avvocato FRANCARIO Lucio, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato IOFFREDI VINCENZO
giusta delega in atti;
– controricorrente –
e contro
CORVARA SPA, AR.AN., PARCHI SARL;
– intimati –
avverso la sentenza n. 4407/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 30/10/2008; R.G.N. 7170/2003.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
11/11/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;
udito l’Avvocato GIORGIO D’ALESSIO per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
VELARDI Maurizio, che ha concluso in via principale per il rinvio a
NR per integrazione del contraddittorio in subordine,
l’inammissibilità, in ulteriore subordine per il rigetto.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società S.I.R. (Sviluppo Immobiliare Roma) convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma I.F., in qualità di curatore del Fallimento Corvara, la Parchi s.a.r.l. e V. G. nella qualità di amministratore unico della stessa Corvara in bonis.
La S.I.R. chiedeva al Tribunale: la declaratoria della vigenza sino al 31 dicembre 2005 del contratto di gestione immobiliare concluso dalla società attrice il 12 novembre 1993 con la Corvara s.p.a., dichiarata fallita dal Tribunale di Roma, avente ad oggetto un complesso immobiliare di proprietà di quest’ultima.
Si costituiva il Curatore del Fallimento Corvara chiedendo dichiararsi preliminarmente la carenza di legittimazione passiva dell’Amministratore Unico della società fallita e respingersi la domanda attrice; riconvenzionalmente chiedeva dichiararsi la nullità o pronunciare l’annullamento del contratto di gestione immobiliare del 12 novembre 1993; in subordine dichiararsi sciolto il contratto medesimo; in ulteriore subordine dichiararsi il contratto non rinnovato alla scadenza.
In corso di causa si costituivano An. e A.A. esponendo di essere proprietarie dell’intero capitale sociale di Corvara s.p.a..
Il Tribunale di Roma rigettava le domande proposte dalla S.I.R. e in accoglimento della domanda riconvenzionale dichiarava l’intervenuto scioglimento del suddetto contratto di gestione immobiliare ai sensi della L. Fall., art. 78; condannava la S.I.R. a riconsegnare alla amministrazione fallimentare i relativi immobili (che in corso di causa erano stati oggetto di sequestro giudiziario su istanza del fallimento) unitamente a tutte le somme percepite in relazione alla gestione degli stessi immobili dal 17 dicembre 1998 sino alla data del sequestro giudiziario.
Ha proposto appello la S.I.R..
Si è costituito il Fallimento della Corvara s.p.a. per sentir rigettare l’appello ed accogliere l’appello incidentale relativo alla insufficiente liquidazione delle spese di lite in suo favore.
La Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello e condannato la S.I.R. al rimborso delle spese del grado.
Propone ricorso per cassazione la S.I.R. con 8 motivi e presenta memoria.
Resiste con controricorso A.A..
Non hanno svolto attività difensiva la Corvara s.p.a. ed Ar.
A..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c.”.
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “Si chiede che la suprema Corte di Cassazione voglia affermare, con riferimento al caso qui considerato, il principio secondo il quale, deve essere negata la legittimazione all’intervento ex art. 105 c.p.c., comma 2, di colui nei cui confronti la decisione produrrebbe effetti riflessi di mero fatto”.
Il motivo è inammissibile per incongruità del quesito di diritto, privo di qualsiasi riferimento al caso di specie e fondato sul presupposto, escluso dalla Corte territoriale, che l’interveniente avesse un interesse di mero fatto.
Secondo questa Corte il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve invece compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;
b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass., 17 luglio 2008, n. 19769).
Con il secondo motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.”.
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “Si chiede che la suprema Corte di Cassazione voglia affermare, con riferimento al caso qui considerato, il principio secondo il quale, la qualifica che le parti hanno attribuito al contratto, non riveste influenza, o comunque riveste influenza marginale, per la configurazione ed interpretazione del contratto stesso ad opera del giudice”.
Con il terzo motivo, si denuncia “Violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.”.
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “Si chiede che la suprema Corte di Cassazione voglia affermare, con riferimento al caso qui considerato, il principio secondo il quale il giudice, nell’interpretare e qualificare un contratto, non può limitarsi al mero tenore letterale delle clausole, ma deve ricercare la comune intenzione dei contraenti e non può limitarsi ad un esame parziale e frammentario di parti del negozio, richiamandole singolarmente e senza nessuna considerazione del tenore complessivo dell’atto stesso”.
Con il quarto motivo parte ricorrente denuncia “Violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 2558 e 2559 c.c.”.
Il motivo si conclude con il seguente questo di diritto “Si chiede che la suprema Corte di Cassazione voglia affermare, con riferimento al caso qui considerato, il principio secondo il quale il giudice si deve limitare all’esame del senso letterale delle parole in quanto la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, nonchè quello secondo il quale va qualificato come affitto d’azienda il contratto in cui siano contenute clausole che prevedono il subentro del gestore in tutti i rapporti attivi ai sensi e per gli effetti degli art. 2558 e 2559 c.c.”.
I motivi secondo, terzo e quarto attengono a violazione di legge in relazione alla qualificazione del contratto inter partes come affitto di azienda e non come mandato.
Tali motivi sono inammissibili in primo luogo per non autosufficienza ed in specie per la mancata riproduzione del contratto; in secondo luogo per incongruità dei quesiti.
Questi ultimi infatti non contengono nè la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; nè la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice (Cass., 17 luglio 2008, n. 19769).
Con il quinto motivo si denuncia “motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine ad un punto decisivo della controversia”.
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto “La sentenza motiva in modo insufficiente in quanto ha qualificato il contratto come mandato senza tener conto di tutte le molteplici clausole che invece inequivocamente qualificavano il contratto come affitto d’azienda. Il fatto controverso in ordine al quale la sentenza motiva contraddittoriamente è costituito dalla presenza nel contratto di diverse clausole che richiamano pedissequamente la disciplina dettata dal codice civile per l’affitto d’azienda”.
Con il sesto motivo si denuncia “Motivazione insufficiente in ordine a un punto decisivo della controversia”.
Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “La sentenza motiva in modo insufficiente in quanto non ha ravvisato nella fattispecie la sussistenza di un mandato in rem propriam senza tener conto, come dedotto dalla S.I.R., di tutte le clausole negoziali che indicano univocamente che l’accordo è stato concluso anche nell’interesse del gestore (mandatario), che risulta, infatti, titolare di diritti e di facoltà assolutamente inconfigurabili in un rapporto ordinario di mandato”.
Ambedue i motivi non sono autosufficienti in quanto non riproducono il testo contrattuale.
Con il settimo motivo parte ricorrente denuncia “Violazione dell’art. 112 c.p.c.”.
Il motivo è inammissibile perchè privo del quesito di diritto.
Lo stesso infatti non può desumersi dall’esposizione del motivo del ricorso nè può consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio del diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla fattispecie (Cass., 25 novembre 2008, n. 28145).
Con l’ottavo motivo si denuncia “Motivazione insufficiente in ordine ad un punto decisivo della controversia”.
Il motivo così si conclude “Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la sentenza motiva in modo insufficiente in quanto non ha ravvisato gli estremi per la compensazione tra debiti e crediti reciprocamente vantati tra S.I.R. e Corvara nonostante riguardanti le stesse parti e derivanti dal medesimo titolo”.
Il motivo è inammissibile in quanto manca una chiara indicazione del fatto controverso.
Questa Corte infatti è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).
Il motivo non è comunque pertinente in quanto non censura la rat io deciderteli della sentenza impugnata che aveva dichiarato la domanda inammissibile perchè nuova.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 1.700,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011