Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27911 del 13/10/2021

Cassazione civile sez. III, 13/10/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 13/10/2021), n.27911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35969/2019 proposto da:

E.S., elettivamente domiciliato a Vicenza, piazzetta palladio

11, presso lo studio dell’avv. CHIARA BELLINI, che lo rappresenta e

difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE

VERONA SEZ. VICENZA;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 4217/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

E.S., proveniente dalla Nigeria, ha proposto un ricorso notificato il 28 novembre 2019, per la cassazione della sentenza n. 4217/2019 emessa dalla Corte d’appello di Venezia e pubblicata in data 4 ottobre 2019.

Il Ministero dell’interno ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si è dichiarato disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Il ricorrente, secondo la ricostruzione compiuta nel ricorso, viveva con i genitori a Benin City, finché questi, nel 2013, morivano a seguito di un incidente stradale. Dopo il funerale del padre, alla lettura del suo testamento, scopriva che questi apparteneva alla setta degli (OMISSIS), subito dopo veniva minacciato da alcuni appartenenti alla setta di essere sacrificato se non avesse preso il posto del suo defunto padre nella setta. Si spostava nella città di Kano, ma dopo aver incontrato anche lì dei membri della setta, si spostava in Libia dove lavorava sei mesi come agricoltore, fino a che una notte, a causa dell’arrivo della polizia, veniva trasportato verso la costa e si imbarcava per l’Italia, dove arrivava dunque nel 2015.

Qui si vedeva rigettata le domande volte al riconoscimento, in via gradata, delle varie forme di protezione internazionale. La Corte d’appello di Venezia ha confermato il rigetto, motivando come segue: dopo aver riassunto la vicenda giudiziaria, la storia personale del ricorrente, nonché la disciplina relativa ai diversi tipi di protezione, la sentenza impugnata ha rilevato che:

la vicenda in esame non risulta compatibile con le informazioni reperibili sulla setta degli (OMISSIS); le minacce riferite sono state descritte in maniera del tutto generica dal ricorrente, che non ha fornito prove in proposito; nulla dice poi sul viaggio per l’Italia e il suo costo: la vicenda narrata dal ricorrente è dunque nel suo complesso inattendibile;

sono ritenuti non sussistenti i requisiti richiesti per la protezione sussidiaria: non appare effettivo il rischio di subire un grave danno in caso di rimpatrio, né la corte riconosce, sulla base di una analisi approfondita della situazione della Nigeria tratta da Coi aggiornate al 2018, un’instabilità politica nell’Edo State, regioné di provenienza del ricorrente; per questa ragione la Corte territoriale nega anche la violazione del principio di non refoulement. E’ infine esclusa la protezione umanitaria perché, stante la non credibilità del richiedente, la vicenda riferita non si può porre a fondamento della umanitaria, né si possono individuare i requisiti della vulnerabilità.

Il ricorrente ha articolato tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo si deduce la violazione delle norme che disciplinano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria: D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), artt. 5, 7 e 14 (per lo status di rifugiato e di persona avente diritto alla protezione sussidiaria), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter), (per la protezione umanitaria).

Segnatamente, la difesa lamenta che le dichiarazioni rese dal ricorrente erano specifiche rispetto alle domande che gli sono state fatte. Segnala inoltre che le informazioni circa la setta degli (OMISSIS) sono state travisate dalla sentenza: il ricorso fa riferimento a più fonti, anche Easo, dalle quali emerge che l’adesione alla setta non è volontaria ma coattiva, e che la stessa perpetra omicidi e delitti di vario genere.

Si censura inoltre che nel riferirsi alle fonti ufficiali per descrivere la situazione del Paese di provenienza, la Corte ha attinto solo a quanto poteva giustificare un diniego.

Quanto alla mancanza di prove si lamenta la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria.

Si lamenta poi che in tema di protezione umanitaria è mancato l’esame di informazioni precise sul Paese di origine, contrariamente a quanto effettuato dalla corte in relazione alla domanda volta al riconoscimento della protezione sussidiaria, quanto alla situazione relativa alla violazione di diritti umani, e che non sia stato tenuto in alcun conto il transito attraverso la Libia.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione, anche quale vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 5, lett. a)- e), in punto di onus probandi, di dovere di cooperazione istruttoria in capo al Giudice e di criteri normativi di valutazione degli elementi di prova e delle dichiarazioni rese dai richiedenti nei procedimenti di protezione internazionale.

Segnatamente, il ricorrente censura il mancato esercizio dei poteri istruttori, sia nell’analisi della vicenda personale del richiedente, sia del contesto socio-politico del richiedente (il ricorrente fa riferimento a Coi del 2019).

Con il terzo motivo si lamenta la violazione del principio del “non refoulement” di cui agli artt. 3 CEDU e 33 della Convenzione di Ginevra, poiché il ricorrente, in caso di rimpatrio, rischia di subire un grave danno e di essere vittima di torture e trattamenti inumani e degradanti (sottolinea che gli appartenenti alla setta hanno minacciato di scarnificare una parte del suo corpo in caso di mancata adesione).

I primi due motivi sono infondati.

La censura contenuta nel primo motivo non è idonea a mettere in discussione validamente la decisione di appello quanto al rigetto della domanda di protezione sussidiaria in relazione alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in quanto la valutazione negativa in tema di credibilità soggettiva del ricorrente non può essere scalfita dal fatto che egli sia stato in grado di fornire informazioni che si attagliano a ricostruire le caratteristiche della setta degli (OMISSIS).

Quanto al secondo motivo, la valutazione di insussistenza di una situazione di pericolo diffuso nella regione della Nigeria di provenienza del ricorrente, fondata su una accurata e aggiornata, al tempo della decisione, ricostruzione della situazione storico-politico della Nigeria sulla base di fonti attendibili e aggiornate non è idoneamente contestata attraverso la contrapposizione alle informazioni assunte provenienti da fonti attendibili e aggiornate di informazioni successive alla decisione in quanto è al momento della decisione che occorre far riferimento per poter valutare se il percorso di formazione del convincimento del giudice si sia articolato idoneamente.

Va invece accolto il terzo motivo, con il quale si lamenta la violazione di legge in relazione alla valutazione negativa sulla concedibilità della protezione umanitaria.

La sentenza contiene due affermazioni entrambe errate in diritto: in primo luogo afferma che stante la inattendibilità del racconto del ricorrente non si può procedere a valutare se egli abbia diritto alla protezione umanitaria; inoltre, in relazione alla richiesta protezione umanitaria afferma che essa debba fondarsi esclusivamente su una effettiva irreversibile integrazione nel tessuto culturale e sociale del paese ospitante.

In ordine al primo punto, la inattendibilità del racconto del ricorrente, quanto ai dettagli della sua vicenda personale tesi a far accertare che, ove rimpatriato, avrebbe potuto essere sottoposto ad una persecuzione personale, o comunque ad un danno grave alla persona, non esclude che, ugualmente, il suo racconto, nelle sue linee essenziali, depurato dei particolari ritenuti non provati o generici ai fini dei diversi presupposti di concedibilità delle protezioni maggiori, possano comunque servire a far luce sulla sua personale condizione di vulnerabilità, che si delinea nel giudizio di comparazione tra la situazione nella quale si andrebbe a reinserire ove rimpatriato e quella nella quale è inserito in Italia. Da un lato, va valutato se sussiste una credibilità residua, che può essere limitata alle linee essenziali del racconto o quanto meno alla provenienza del ricorrente da una determinata area territoriale. In ogni caso, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e comma 1, n. 1, la valutazione relativa alle condizioni oggettive del paese di origine non coincide con l’esame finalizzato all’accertamento della sussistenza di una delle forme di protezione sussidiaria previste dalla legge (quella prevista nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) essendo le due tipologie di tutela dei diritti fondamentali caratterizzate da requisiti oggettivi e soggettivi diversi ed essendo solo la protezione umanitaria, in funzione della sua natura aperta, fondata su un accertamento comparativo focalizzato sul livello di protezione, o privazione, di diritti umani inalienabili eziologicamente correlabili con la condizione di effettiva integrazione raggiunta dal richiedente nel paese di accoglienza (v. Cass. n. 5524 del 2021), pertanto va in ogni caso approfondito se nell’area di provenienza del ricorrente i diritti umani siano comunque compressi al di sotto della soglia minima della dignità umana. Quando al secondo termine di paragone, ovvero la situazione in Italia, parimenti è errata la affermazione della corte veneziana laddove identifica la soglia di positiva rilevanza del percorso di integrazione compiuto in Italia dal ricorrente, che è un percorso in itinere, di conoscenza e progressiva assimilazione dei caratteri di una diversa cultura, ed assunzione di comportamenti compatibili con i suoi valori nonché di progressivo sviluppo di una autosufficienza economica, all’interno di una condizione che è comunque volta all’ottenimento di una misura precaria, quale è il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, con l’integrazione piena e la scelta definitiva di un modello di vita.

Il terzo motivo va quindi accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla corte d’appello di Venezia in diversa composizione che rinnoverà la valutazione sul diritto al riconoscimento della protezione umanitaria attenendosi ai sopra enunciati principi di diritto.

P.Q.M.

Rigetta i primi due motivi, accoglie il terzo, cassa e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2021

 

 

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