Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27910 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 30/10/2019), n.27910

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14895-2015 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso dagli

avvocati SALVATORE RAIMONDI e LUIGI RAIMONDI;

– ricorrente –

contro

CALTANISSETTA AGRICOLTURA E SVILUPPO S.c.p.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

ANGELICO 78, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO IELO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO DELL’UTRI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 48/2015 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 17/02/2015 R.G.N. 746/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Caltanissetta, con sentenza pubblicata il 17.2.2015, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta da M.G. nei confronti della Caltanissetta Agricoltura e Sviluppo S.c.p.A. volta al pagamento di Euro 68.750,00 per l’attività professionale di “coordinatore” asseritamente svolta dal gennaio 2006 all’aprile 2008, giusta delibere del Consiglio di Amministrazione della società; ha invece confermato il rigetto della domanda riconvenzionale della società;

2. in relazione al mancato pagamento di un’attività prestata in regime di parasubordinazione, la Corte territoriale ha ritenuto che il lavoratore “non avesse fornito nessuna prova, nè ha chiesto di provare (…) di aver svolto alcuna delle attività allo stesso espressamente delegate”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso con due motivi il M., cui ha resistito Caltanissetta Agricoltura e Sviluppo S.c.p.A. con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il primo motivo è così rubricato: “in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1453 c.c., nonchè dell’art. 416 c.p.c.”; si critica la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe escluso, contrariamente al Tribunale, l’applicazione – anche al rapporto di para-subordinazione – del principio di sufficienza dell’allegazione del titolo contrattuale e di deduzione dell’inadempimento di controparte, con onere di questa di provarne l’inesistenza; si lamenta che la Corte di Appello non avrebbe rilevato la genericità dell’eccezione di inadempimento della società, nonostante l’inosservanza dell’onere, a carico della parte convenuta ex art. 416 c.p.c., di “prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda”; si deduce pure un ragionamento illogico e contraddittorio rispetto al rigetto della domanda riconvenzionale risarcitoria della società in assenza di dimostrazione dell’ascrivibilità dell’inadempimento contestato al M.;

2. il motivo, oltre i profili di inammissibilità derivanti dall’aver eccepito promiscuamente la violazione di norme del codice di rito e del codice civile, senza adeguatamente illustrare in quali termini possano coesistere gli errores in iudicando e in procedendo di cui si reputa affetta la sentenza impugnata, è infondato;

infatti i giudici d’appello hanno applicato il principio sancito da questa Corte secondo cui: “chi chiede il compenso di prestazioni eseguite nell’ambito di un rapporto di cosiddetta parasubordinazione (art. 409 c.p.c., n. 3) non può limitarsi a provare l’esistenza del rapporto, ma deve provare le singole prestazioni che del diritto al corrispettivo rappresentano i fatti costitutivi (…)” (Cass. n. 12681 del 2003; Cass. n. 413 del 1999; più di recente: Cass. n. 10286 del 2016);

quanto poi alla prova che le singole prestazioni siano state eseguite, si tratta evidentemente di una quaestio facti di competenza del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità (peraltro la Corte ha argomentato la ragione per cui ha ritenuto che il lavoratore non avesse fornito alcuna prova in merito all’adempimento delle attività a lui assegnate); inoltre neppure apprezzabile è la censura circa la pretesa genericità dell’eccezione di inadempimento della società resistente, in difetto di specificità, sotto questo profilo, del motivo per omessa trascrizione della memoria difensiva in cui la stessa eccezione sarebbe contenuta (cfr. Cass. n. 19985 del 2017; Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 13677 del 2012);

3. il secondo mezzo è così rubricato: “in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 si denunzia l’omessa ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio”; a dire del ricorrente, la Corte territoriale non ha considerato la sua ricostruzione negli atti difensivi “in relazione alle modalità con le quali venivano svolte le sue prestazioni. Una adeguata considerazione di tali difese avrebbero dovuto condurre la Corte ad un risultato opposto a quello al quale è pervenuta”;

4. il motivo è inammissibile in quanto parte ricorrente adombra vizi di “insufficiente” motivazione, in quanto tali sottratti al controllo di questa Corte in seguito alla novellata formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non costituendo “omesso esame circa un fatto decisivo” la pretesa mancanza di una motivazione specifica sulla diversa prospettazione degli accadimenti articolata dal M.; invero nel motivo non è nè individuato nè specificato il fatto storico che la Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare e per quali ragioni esso dovrebbe ritenersi decisivo per il giudizio, in violazione degli enunciati posti dalle SS.UU. di questa Corte (sentt. n. 8053 e 8054 del 2014) di cui parte istante non tiene alcun conto;

5. conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del 3 ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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