Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27907 del 13/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 27907 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 19008-2008 proposto da:
LANIFICIO TULLIO BRACHI & FIGLIO SNC IN LIQUIDAZIONE
in persona del Liquidatore e legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
BARNABA TORTOLINI N.13, presso lo studio
dell’avvocato VERINO MARIO ETTORE, che lo rappresenta
2013

e difende giusta delega a margine;
– ricorrente –

2738
contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA/DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 13/12/2013

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 21/2007 della COMM.TRIB.REG.
di FIRENZE, depositata il 30/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

FRANCESCO TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato RAVONE delega
Avvocato VERINO che ha chieto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott.

19008-08

Svolgimento del processo
La s.n.c. Lanificio Tullio Brachi & figlio impugnò,
dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Prato,
un avviso di liquidazione dell’Invim conseguente alla
vendita di un capannone industriale avvenuta nell’anno

2001, contestando il maggior valore derivato dal calcolo
automatico avente come base la rendita di euro 14.848,00,
attribuita all’immobile.
Nel

contraddittorio

con

l’agenzia

delle

entrate,

l’opposizione della società venne accolta, con conseguente
condanna dell’ufficio al rimborso della somma percepita,
maggiorata di interessi.
Su appello dell’agenzia, la decisione fu riformata dalla
commissione tributaria regionale della Toscana con
sentenza depositata in data 30 giugno 2007.
La commissione regionale osservò che la società aveva
separatamente impugnato, dinanzi alla medesima commissione
tributaria provinciale di Prato, il classamento allegato
all’avviso di liquidazione dell’Invim; e che il giudice
tributario aveva confermato, quanto all’immobile, la
categoria catastale D/7 e aveva dichiarato applicabile la
rendita di euro 14.192,00, già proposta con procedura
Docfa a variazione di quella presentata in data 31 gennaio
1991.
Per quanto di interesse, la commissione tributaria
regionale sostenne in ogni caso di condividere la
rappresentazione dei fatti emergente dalla sentenza della

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commissione provinciale di Prato relativa al classamento,
posto che la sentenza detta, sebbene asseritamente
impugnata dalla contribuente, si era basata
sull’accertamento di una proceduta Docfa non contestata.
Per cui, in ultima analisi, confermato il classamento
dell’immobile e ridotta la rendita a euro 14.192,00 (in

luogo di quella di euro 14.848,00 evidenziata nell’avviso
di liquidazione), dichiarò l’amministrazione tenuta alla
restituzione della sola correlata differenza d’imposta,
oltre interessi dalla data del versamento a quella della
sentenza.
Quanto al profilo attinente alla supposta violazione, da
parte dell’amministrazione finanziaria, dei principi di
trasparenza e di contraddittorio, la commissione
tributaria regionale respinse l’assunto della società
contribuente ritenendo sul punto l’operato dell’ufficio
conforme a legge.
Contro la decisione di secondo grado, la s.n.c. Lanificio
Brachi ha proposto ricorso per cassazione, articolando
quattro motivi.
L’amministrazione non si è costituita nei termini di
legge, ma ha depositato una nota al solo fine di ricevere
l’avviso di fissazione dell’udienza di discussione, cui
peraltro non ha preso parte.
La ricorrente ha infine depositato una memoria.
Motivi della decisione
I. – Il ricorso è affidato ai seguenti mezzi.

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Col primo, la ricorrente denunzia la violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 7 della l. n. 212 del 2000 e 3
della 1. n. 241 del 1990, censurando la sentenza per aver
ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di
liquidazione dell’Invim, il quale, invece, aveva
richiamato

per relationem

gli elementi forniti dall’Ute

per la determinazione del valore dell’immobile, in
fattispecie in cui la stima dell’Ute non era stata
previamente notificata.
Col secondo mezzo la ricorrente deduce la violazione e la
falsa applicazione degli artt. 6, 7, 10 della l. n. 21200, censurando la sentenza nella parte in cui avrebbe
ritenuto assolto l’onere della prova, all’agenzia delle
entrate spettante, di assicurare l’effettiva conoscenza
degli atti destinati al contribuente, mediante notifica
dell’avviso di liquidazione dell’Invim e dell’atto di
classamento.
Col terzo mezzo la ricorrente deduce la violazione degli
artt. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 112 c.p.c.,
imputando alla sentenza di non aver pronunciato sul capo
dell’appello incidentale a suo tempo proposto dalla
società a sostegno di un’eccezione di inammissibilità
dell’appello principale dell’agenzia delle entrate, in
quanto a suo dire contenente domande nuove. La novità
sarebbe stata da associare al fatto di avere, l’agenzia
delle entrate, chiesto solo in appello la conferma del
classamento posto a base dell’avviso di liquidazione.

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Col quarto motivo la ricorrente denunzia la violazione e
la falsa applicazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., 56 del
d.lgs. n. 546 del 1992, 2909 c.c., asserendo che l’agenzia
delle entrate non aveva impugnato il capo della sentenza
di primo grado recante la condanna alla restituzione delle
imposte. Sicché sul punto si sarebbe formato un giudicato

interno ostativo all’esame del merito.
II. – Prima di procedere all’esame dei motivi di ricorso,
è necessario esaminare l’eccezione di giudicato esterno
formulata dalla ricorrente nella memoria depositata ai
sensi dell’art. 378 c.p.c.
L’eccezione si riferisce alla decisione, intervenuta medio
tempore (in data 6 febbraio 2009), e passata in giudicato,
con la quale la commissione tributaria regionale della
Toscana avrebbe annullato l’atto di classamento
presupposto, con conseguente illegittimità derivata
dell’avviso di rettifica e di liquidazione oggetto della
presente controversia.
La tesi della ricorrente non è fondata.
Mette in conto di osservare che la sentenza richiamata, e
prodotta in giudizio unitamente alla memoria, non ha
affatto annullato la rendita attribuita all’immobile;
rendita che – come noto – costituisce un dato oggettivo
discendente dal classamento.
La sentenza si è limitata ad affermare che la rendita
conseguita alla Docfa, in quanto attribuita su denuncia
del nuovo proprietario e a seguito di variazioni

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all’immobile stesso, dovevasi ritenere inopponibile nei
confronti del venditore.
In tema di giudicato, questa corte ha più volte affermato
che, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano
riferimento al medesimo rapporto giuridico, e uno dei due
sia stato definito con sentenza passata in giudicato,

l’accertamento compiuto in ordine alla situazione
giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e
di diritto relative al punto fondamentale comune a
entrambe le cause, preclude il riesame dello stesso punto
di diritto accertato e risolto, indipendentemente dalle
eventuali diverse finalità, in quanto l’accertamento forma
la premessa logica indispensabile della statuizione
contenuta nel dispositivo della sentenza (cfr.

ex multis

Cass. n. 5478-13; n. 16675-11; n. 10623-10; n. 9512-09).
Essendosi nel caso di specie trattato, quanto alla
sentenza richiamata in memoria, di statuizione limitata al
profilo della inefficacia relativa della rendita catastale
così come attribuita a seguito di denuncia Docfa, in
considerazione del fatto di essere la rendita conseguita
alla denuncia di un soggetto terzo, il punto precluso era
nella specie relativo soltanto alla questione della
opponibilità della Docfa.
Mentre non può sostenersi esistente un giudicato esterno
ostativo all’autonomo accertamento della rendita nella
controversia che qui rileva. Rendita che, attenendo alla
liquidazione dell’Invim, è stata in concreto accertata
dalla sentenza impugnata giustappunto in modo autonomo e

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direttamente rilevante in ordine all’immobile in sé e per
sé considerato.
Questa conclusione traesi dall’esplicito rilievo col quale
la commissione tributaria regionale ha affermato di
condividere “sulla base degli elementi accertati nel
presente giudizio”, i fatti emergenti dalla sentenza di

primo grado; che dunque avevano portato a determinare la
rendita in termini oggettivamente conformi ai risultati
della Docfa, a prescindere dalla questione relativa alla
sua opponibilità.
E nessuna influenza può annettersi al giudicato richiamato
dal ricorrente onde inferirsene l’inammissibilità di un
autonomo accertamento della rendita catastale rilevante ai
fini della liquidazione dell’Invim.
III. – Venendo all’esame dei motivi di ricorso, osserva la
corte che i primi due, connessi e suscettibili di unitario
esame, sono infondati e in parte inammissibili.
Essi muovono dal presupposto che il mero richiamo
dell’avviso di liquidazione alla categoria e alla rendita
catastale non costituisca motivazione, perché non sarebbe
stato nella specie preventivamente notificato il
classamento e perché non sarebbero state rese note le
ragioni e l’iter logico seguito dall’ufficio per giungere
all’imposizione. Si sarebbe in tal senso violato il
diritto del contribuente di contraddire sulla base
imponibile adottata per il calcolo automatico della
maggiore imposta.

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In contrario deve rilevarsi che dalla sentenza risulta
che, nell’atto di compravendita, era stata fatta richiesta
di applicazione del criterio di calcolo di cui alla 1. n.
154 del 1988 e che il classamento e la rendita, attribuiti
dall’Ute di Prato a seguito di procedura Docfa, erano
stati notificati alla società

– contestualmente all’avviso

di liquidazione”.
Deve quindi dedursi che il comportamento dell’ufficio era
stato coerente col disposto dell’art. 7 della l. n. 21200, a mente del quale gli atti dell’amministrazione
finanziaria devono essere motivati secondo quanto
prescritto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241,
concernente la motivazione dei provvedimenti
amministrativi, con indicazione dei presupposti di fatto e
delle ragioni giuridiche che hanno determinato la
decisione dell’amministrazione; e se nella motivazione si
fa riferimento a un altro atto, questo deve essere
allegato all’atto che lo richiama.
Questa corte ha ripetutamente affermato che, in tema di
Invim, qualora il contribuente come nella specie è
accertato in sentenza – abbia chiesto ai sensi dell’art.
12 d.l. n. 70-1988, conv. in 1. n. 154-1988, di avvalersi
del sistema automatico di valutazione, e il valore
dichiarato risulti, dopo l’attribuzione di nuova rendita,
inferiore a quello determinabile in base a questa, secondo
il sistema automatico di valutazione, l’ufficio deve
riscuotere la maggiore imposta dovuta con avviso di
liquidazione (e non con atto di accertamento) giustappunto

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in quanto, in tal caso, la tassazione avviene sulla base
della volontà espressa dal contribuente di assoggettamento
al criterio tabellare di valutazione dell’immobile.
Sicché l’ufficio provvede solo a liquidare il dovuto,
senza necessità di procedere, prima della notifica
dell’avviso di liquidazione, alla separata notificazione o

comunicazione al contribuente dell’atto di classamento
dell’immobile con attribuzione della relativa rendita
catastale, potendo tali atti essere recepiti nell’avviso
di liquidazione con il quale l’ufficio procede al recupero
della maggiore imposta dovuta, così da consentirne la
conoscenza al contribuente e da permettere l’impugnazione
dell’avviso stesso (v. Cass. n. 10283-08; n. 13241-03).
I motivi, nella parte afferente, sono dunque del tutto
infondati. Mentre l’ulteriore questione relativa alla
omessa allegazione della stima dell’Ute, a prescindere dal
conforme rilievo di infondatezza alla luce del principio
poc’anzi espresso, non risulta essere stata oggetto di
doglianza nel ricorso originariamente proposto contro
l’avviso di liquidazione. Donde al riguardo il motivo si
palesa inammissibile siccome incentrato,

almeno in

prospettiva di autosufficienza, su questione nuova.
IV. – Parimenti infondato è il terzo motivo, col quale si
eccepisce il vizio di omessa pronuncia.
La

stessa

ricorrente

evidenzia,

ricorso

nel

per

cassazione, che in primo grado era stata svolta la tesi
dell’automaticità

dell’accertamento

in

relazione

all’esercizio, da parte del contribuente, dell’opzione di

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cui all’art. 12 della l. n. 154 del 1988. La quale trova
base logica nel classamento attribuito all’immobile.
Dalla sentenza risulta che l’ufficio aveva, con l’appello
principale,

censurato la sentenza di primo grado

nell’intera sua ratio e chiesto, infine, di riconoscere la
legittimità dell’operato quantomeno nel classamento

separatamente confermato dalla medesima Ctp di Prato con
la sentenza n. 24-01-06.
Il che è quanto nella specie è avvenuto, come già s’è
visto a confutazione dell’eccezione di giudicato esterno.
Ebbene, nell’esame di merito dalla commissione tributaria
regionale effettuato riguardo a simile profilo è implicita
la valutazione di infondatezza dell’avversa eccezione di
novità. Sulla quale quindi, contrariamente a quanto
prospettato nel motivo, il giudice d’appello si è
pronunciato.
V. – Il quarto motivo – volto a censurare la sentenza per
il fatto che l’amministrazione non aveva proposto gravame
in ordine al capo della decisione di primo grado recante
la condanna alla restituzione delle imposte, con
conseguente formazione di un giudicato interno ostativo
all’esame del merito – è privo di fondamento.
La ricorrente difatti trascura del tutto l’art. 336 c.p.c.
Come già evidenziato, la sentenza riferisce che la
sentenza di primo grado era stata impugnata nel
presupposto della statuizione di condanna. La quale
invero, attenendo al rimborso dell’imposta pagata, si

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presentava come accessoria all’annullamento dell’atto
impositivo.
Alla riforma della statuizione costitutiva, pronunciata in
appello e avente base sulla legittimità dell’atto, ha
fatto quindi seguito il travolgimento automatico della

L’accoglimento della pretesa di condanna alle restituzioni
dell’imposta versata, essendo fondata sull’asserita
esistenza di una prestazione indebita, è obiettivamente
condizionata al permanere della statuizione relativa
all’illegittimità della pretesa tributaria, cui sola può
conseguire. Sicché la riforma della sentenza di primo
grado su tale profilo pregiudiziale ha effetto automatico
anche sui capi dipendenti relativi alle disposte
restituzioni, senza bisogno di autonoma impugnazione di
detti capi. L’effetto espansivo interno della riforma
(art. 336 c.p.c.) consiste appunto nel fatto che risultino
caducati, senza necessità di autonoma impugnazione, tutti
i capi della sentenza dipendenti da quello riformato;
mentre, specularmente, il giudicato può formarsi solo con
riguardo ai

capi autonomi, che dal primo non siano
._

influenzati.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta

statuizione di condanna conseguente.

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