Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27905 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. III, 21/12/2011, (ud. 03/11/2011, dep. 21/12/2011), n.27905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4972/2007 proposto da:

A.P., Z.D. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo studio

dell’avvocato ROMANELLI Guido, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CONTI MAURIZIO giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

G.R., (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALBANO Marzio, con studio in 30026 PORTOGRUARO

(VE), Viale Matteotti,7, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

contro

UAP ITAL SPA, AXA ASSIC SPA;

– intimati –

sul ricorso 9347/2007 proposto da:

AXA ASSICURAZIONI SPA, (OMISSIS) (anche quale società

incorporante della UAP Italiana SpA giusta provvedimento ISVAP del

3.12.98), in persona del Dott. C.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA 6, presso lo studio

dell’avvocato OTTAVI LUIGI, che la rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– ricorrente –

e contro

Z.D., A.P., G.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 433/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/03/2006; R.G.N. 2183/2001.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato GUIDO ROMANELLI;

udito l’Avvocato ALBANO MARZIO;

udito l’Avvocato LUIGI OTTAVI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del 1 motivo, del ricorso

principale, assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 17 ottobre 1994 G.R. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia l’impresa individuale Z.D. nonchè A.P. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito di una caduta dal tetto della sua abitazione, caduta provocata da un’errata manovra della gru guidata dall’ A., dipendente della ditta alla quale egli aveva appaltato i lavori di costruzione.

Costituitisi in giudizio, i convenuti contestarono la domanda, l’impresa Z. chiedendo e ottenendo di chiamare in causa UAP Assicurazioni s.p.a., per essere dalla stessa manlevata in caso di soccombenza.

Con sentenza del 25 ottobre 2010 il giudice adito, in accoglimento della domanda, condannò i convenuti in solido al pagamento in favore dell’attore della somma di L. 123.282.000, nonchè la società assicuratrice a tenere indenne la propria assicurata di quanto sarebbe andata a pagare all’attore.

Proposto gravame da U.A.P. Italiana s.p.a., la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della decisione impugnata, ha respinto la domanda di manleva.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorrono Z.D. e A.P. formulando sei motivi.

Resistono con due distinti controricorsi G.R. e AXA Assicurazioni s.p.a., società incorporante di UAP Italiana s.p.a..

Quest’ultima propone altresì ricorso incidentale condizionato affidato a un solo mezzo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi hinc et inde proposti avverso la stessa sentenza.

2 Preliminare e assorbente è l’esame del primo motivo del ricorso principale, con il quale gli impugnanti lamentano violazione degli artt. 2504 e 2505 bis cod. civ. nel testo anteriore alla L. 24 novembre 2000, n. 340, nonchè degli artt. 83 e 300 cod. proc. civ..

Le critiche hanno ad oggetto l’affermazione del giudice di merito secondo cui l’incorporazione di una società in un’altra, determinando l’estinzione della prima, e il subingresso nella seconda nei relativi rapporti giuridici, quale successore a titolo universale, troverebbe la sua disciplina processuale nell’art. 300 cod. proc. civ., di guisa che, ove il procuratore costituito, unico legittimato ai sensi della disposizione codicistica richiamata, abbia omesso di dichiarare o di notificare alle altre parti, fino all’udienza di discussione, l’avvenuta morte o perdita di capacità della persona da lui rappresentata, la posizione giuridica di quest’ultima resta stabilizzata, rispetto alle altre parti e al giudice, con correlativa ultrattività del mandato alla lite, pure nelle successive fasi di quiescenza e di riattivazione del rapporto processuale, a seguito di proposizione di impugnazione.

Sostengono per contro gli esponenti che, essendo la fusione per incorporazione di U.A.P. Italiana s.p.a. in Axa Assicurazioni s.p.a.

avvenuta nel corso del giudizio di primo grado, e precisamente in data 3 dicembre 1998, in base a delibera pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 22 successivo, l’appello avverso la sentenza del Tribunale, in quanto proposto da soggetto non più esistente, doveva ritenersi inammissibile.

3 Le censure sono fondate.

Secondo l’opinione tradizionale, la fusione, e, in particolare, la fusione per incorporazione di società, realizza una successione in universum ius corrispondente, o comunque equiparabile, alla successione mortis causa a titolo universale. L’inquadramento del fenomeno in termini di estinzione della società incorporata e di contestuale sostituzione, nella totalità dei rapporti giuridici attivi e passivi, della società incorporante, quale nuovo centro di imputazione di tutto quanto faceva capo alla prima – inquadramento sostanzialmente pacifico nell’assetto normativo antecedente al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 – è alla base dell’assunto secondo cui, successivamente alla fusione, ogni atto, sia di natura sostanziale che di natura processuale, deve essere diretto nei confronti del (o promanare dal) nuovo soggetto giuridico, che diventa l’unico e diretto obbligato per le obbligazioni riconducibili alla società, definitivamente estinta per effetto della fusione.

In tale prospettiva è stato quindi affermato, in relazione, è bene precisarlo, a fusioni perfezionatesi prima della riforma del 2003, che, a partire dall’ultima delle iscrizioni nell’ufficio del registro delle imprese, prescritte dall’art. 2504, la società risultante dalla fusione assume tutti i diritti e tutti gli obblighi di quella che si estingue, con la conseguenza che è inammissibile, in quanto proveniente non dal soggetto legittimato, ma da soggetto inesistente, l’impugnazione proposta, da società incorporata, dopo il perfezionamento (mediante l’esecuzione delle suddette iscrizioni) dell’incorporazione (confr. Cass. civ. 7 gennaio 2004, n. 50).

4 Mette conto evidenziare, per una migliore intelligenza delle questioni qui dibattute, che siffatti orientamenti – peraltro non del tutto pacifici, con riferimento agli effetti processuali della fusione intervenuta a giudizio in corso, come subito si vedrà – dovranno probabilmente essere rimeditati alla luce del nuovo inquadramento dogmatico dell’istituto, quale ridisegnato dal legislatore del 2003, accolto dalla giurisprudenza di legittimità.

E invero, con riferimento al nuovo art. 2504 bis cod. civ., questa Corte, valorizzando la lettera della disposizione, che, da un lato, non menziona più l’effetto estintivo, dall’altro, sottolinea il dato della prosecuzione in tutti i rapporti pendenti, anche processuali, ha affermato che la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della incorporata, nè crea un nuovo soggetto di diritto in caso di fusione paritaria, ma attua piuttosto l’unificazione (mediante integrazione reciproca) delle società partecipanti alla fusione, le quali conservano pertanto la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo (Cass. sez. un., ordinanza 8 febbraio 2006, n. 2637, cui ha fatto seguito la sentenza 23 giugno 2006, n. 14526).

5 Vero è che in un successivo intervento le medesime sezioni unite hanno chiarito che alle modifiche così introdotte alla disciplina della fusione deve attribuirsi natura innovativa e non interpretativa, con conseguente inapplicabilità della descritta opzione ermeneutica – e cioè della ricostruzione in termini di vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto giuridico alle fusioni (per unione o incorporazione) anteriori al 1 gennaio 2004, data di entrata in vigore della riforma. In tale prospettiva, affermata la persistente validità del loro inquadramento nell’ambito di un fenomeno successorio, ne hanno specificamente fatti salvi gli effetti sulla legittimazione attiva e passiva della parte, così pervenendo, con riguardo al caso dedotto in giudizio – che era relativo, appunto, a fusione perfezionatasi nel vecchio assetto normativo – alla declaratoria della radicale nullità e della vocatio in ius e della notifica dell’atto di citazione, in quanto dirette a società incorporata in altra, successivamente all’incorporazione medesima, dirette, e quindi a soggetto non più esistente (Cass. civ. sez. un. 17 settembre 2010, n. 19698).

6 Non è inutile peraltro segnalare, come indice dell’estrema vischiosità della materia, che nel medesimo arresto il Supremo Collegio, pur riconoscendo l’esorbitanza della questione dal contrasto segnalato con l’ordinanza di rimessione, non ha rinunciato a esplicitare di non condividere affatto, con riferimento alle fusioni ante riforma, l’orientamento che, parificando il fenomeno a quello della successione universale mortis causa, ne predica l’assoggettamento tout court alla disciplina dell’interruzione del processo di cui all’art. 299 cod. proc. civ., e segg. (ex multis Cass. civ. n. 18615/2008; 22568, 17855, 15669 e 9900 del 2007, 6686/2006), evidenziando, tra l’altro, che l’esigenza di ripristinare l’effettività del contraddittorio, a tale ricostruzione sottesa, sussiste solo quando si verifichino eventi estranei alla volontà dei soggetti che ne sono colpiti, laddove la modificazione dell’organizzazione societaria è fatto riconducibile alla volontà della stessa parte modificata, di talchè non c’è obiettivo garantistico che giustifichi il verificarsi dell’effetto interruttivo e del conseguente onere di riassunzione dell’altra parte (confr.

Cass. civ. sez. un. 17 settembre 2010, n. 19698).

7 In realtà, al di là dei profili problematici segnalati dalle sezioni unite, anche con riguardo alle fusioni perfezionatesi prima della riforma del 2003, gli orientamenti giurisprudenziali in punto di effetti processuali della fusione intervenuta nel corso del giudizio – e segnatamente in punto di ultrattività del mandato conferito al difensore – non sono affatto univoci. E invero, accanto a pronunce in cui si sostiene l’inammissibilità, in quanto proveniente da soggetto inesistente, dell’impugnazione proposta da società incorporata, dopo il perfezionamento dell’incorporazione (confr. Cass. civ. 7 gennaio 2004, n. 50), altre se ne rinvengono che, pur non mettendo in discussione nè il presupposto dogmatico di fondo dell’estinzione della società incorporata e del subingresso dell’incorporante nei rapporti alla prima facenti capo, nè la lettura del fenomeno in termini di successione in universum ius, parificabile alla successione universale mortis causa, hanno ritenuto applicabile, ove la fusione sopravvenga nel corso del giudizio di merito prima della chiusura della discussione, la disciplina dettata dall’art. 300 cod. proc. civ.. E’ stato così affermato che ove il procuratore costituito, unico legittimato ai sensi del citato art. 300, ometta di dichiarare o di notificare alle altre parti, entro l’udienza di discussione, l’avvenuta estinzione della società, da lui rappresentata, assoggettata a fusione, la posizione giuridica di quest’ultima resta stabilizzata, rispetto alle altre parti e al giudice, quale soggetto giuridico ancora esistente, con correlativa ultrattività del mandato alle liti conferito da colui che è stato il legale rappresentante della società incorporata e conseguente validità sia dell’impugnazione dallo stesso presentata in nome della società incorporata (confr. Cass. civ. 22 maggio 2001, n. 6949), sia della notifica dell’impugnazione alla società incorporata presso il procuratore stesso, a norma dell’art. 330 cod. proc. civ., comma 1, e ciò quand’anche il notificante abbia avuto conoscenza dell’avvenuta fusione (confr. Cass. civ. 6 agosto 2008, n. 21161; Cass. civ. 7 luglio 2008, n. 18615; Cass. civ. 15 giugno 2004, n. 11269).

8 E’ opinione del collegio che gli orientamenti che, con riguardo al sistema ordinamentale ante riforma del diritto societario, in vario modo fanno salvo l’ius postulando del difensore della società incorporata, dopo il perfezionamento dell’incorporazione, debbano essere rivisti alla luce dei principi enunciati nella sentenza 16 dicembre 2009, n. 26279 di questa Corte.

Hanno ivi stabilito le sezioni unite che l’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, va rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dal fatto che il soccombente abbia incolpevolmente ignorato l’evento, segnatamente precisando che, ove l’impugnazione sia proposta nei confronti del defunto, non può trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 291 cod. proc. civ..

L’arresto, ripercorsi i vari orientamenti emersi nella giurisprudenza di legittimità, segue, e rivitalizza, quello, più radicale, enunciato nella sentenza 19 dicembre 1996, n. 11394, dichiaratamente discostandosi, invece, dall’indirizzo espresso in altra pronuncia, anch’essa del più alto consesso (sentenza 28 luglio 2005, n. 15783) che, pur evidenziando la volontà legislativa, desumibile dall’art. 328 cod. proc. civ., di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che del gravame (con piena parificazione, a tali effetti, tra l’evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato, nè notificato), aveva condizionato, nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata, il dovere di indirizzare l’impugnazione nei confronti del nuovo soggetto effettivamente legittimato – almeno per i processi pendenti alla data del 30 aprile 1995, rispetto ai quali non opera la possibilità di sanatoria dell’eventuale errore incolpevole di cui al nuovo testo dell’art. 164 cod. proc. civ., come sostituito dalla L. n. 353 del 1990 – alla conoscenza o alla conoscibilità dell’evento, secondo criteri di normale diligenza, da parte del soggetto che propone l’impugnazione.

9 Il punto di snodo dell’iter argomentativo seguito dalle sezioni unite è che le esigenze di tutela della buona fede dell’impugnante non possano compromettere il diritto di difesa dell’altra parte, laddove il dovere di indirizzare l’atto di impugnazione nei confronti degli eredi del soggetto deceduto trova il suo fondamento nel basilare principio, già enunciato dall’art. 101 cod. proc. civ. e ora ribadito dal nuovo testo dell’art. 111 Cost., per cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti”. Tale principio, hanno esplicitato le sezioni unite, implica e contiene anche quello della “giusta parte”, quale non può evidentemente essere considerata la persona non più in vita, nel cui universum ius sono subentrati i successori.

Consegue da tanto che l’eccezionale deroga introdotta dall’art. 300 cod. proc. civ., che consente la prosecuzione del giudizio nei confronti della parte deceduta, se il suo procuratore non dichiara o notifica l’evento, non può essere ritenuta operante indefinitamente, anche nell’eventuale grado successivo del giudizio, in cui si incardina un nuovo rapporto processuale ulteriore e distinto, ancorchè collegato a quello ormai esaurito con la pronuncia della sentenza. Nè il difetto assoluto della qualità di “giusta parte” nel defunto comporta che all’invalidità derivante dall’instaurazione nei suoi confronti del giudizio di impugnazione può essere posto rimedio mediante lo strumento della rinnovazione, apprestato dall’art. 291 cod. proc. civ., non vertendosi, a ben vedere, in ipotesi di “un vizio che importi nullità nella notificazione della citazione”, qual è quello previsto da detta norma, ma piuttosto di errore incidente sulla vocatio in ius, in quanto rivolta verso un soggetto diverso da quello che avrebbe dovuto esserne il destinatario.

In sostanza le sezioni unite, pur non avendo escluso che possano venire in considerazione (nei processi in cui sono applicabili), al fine di sanare l’eventuale errore incolpevole consistito nell’indirizzare l’impugnazione nei confronti del defunto, anzichè degli eredi, l’art. 164 cod. proc. civ., come modificato dalla L. n. 353 del 1990 (che consente di emendare con effetto retroattivo le nullità della citazione, mediante la sua rinnovazione), o l’art. 153 cod. proc. civ., comma 2 inserito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46 (che ammette la rimessione in termini della parte incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile), si sono mosse nella prospettiva che le parti, quando, definito un grado, deve aprirsene un altro, tornano nella situazione in cui si trova l’attore prima di proporre la domanda, e cioè nella condizione di dovere appurare la condizione di colui con il quale intende contrarre il rapporto processuale.

10 Ritiene il collegio che, indipendentemente dall’applicabilità o meno dell’istituto della interruzione alle fusioni perfezionatesi nel sistema normativo antecedente alla riforma, considerata la perdurante operatività, già innanzi segnalata, dell’opzione ermeneutica secondo cui esse darebbero luogo a un fenomeno successorio e non modificativo dellforganizzazione sociale, con i conseguenti effetti sulla legittimazione attiva e passiva (Cass. sez. un. n. 19698 del 2010 cit.), il caso dedotto in giudizio si presti a essere risolto in conformità ai principi enunciati dalle sezioni unite nella sentenza n. 26279 del 2009, testè menzionata, sulla base di due stringenti e intrecciati sillogismi:

a) ricostruito l’istituto della fusione di società nel sistema ante D.Lgs. n. 6 del 2003 alla stregua di un fenomeno di estinzione della o delle società fuse e di nascita di un nuovo soggetto giuridico, il relativo regime processuale va individuato nell’art. 110 cod. proc. civ., che, ai fini della prosecuzione del processo, accomuna alla morte della persona fisica il venir meno della parte per altra, causa, con la precisazione che la prosecuzione non necessariamente passa attraverso l’interruzione (confr. Cass. civ. sez. un. n. 19698 del 2010 cit.);

b) il particolare rigore richiesto con riguardo alla individuazione del o dei soggetti nei cui confronti deve essere rivolto e notificato l’atto di impugnazione non può non valere, a maggior ragione, anche e prima di tutto, per il medesimo impugnante, avendosi, altrimenti, l’assurdo che un’impugnazione notificata in nome e per conto di un soggetto non più esistente, venga ritenuta validamente proposta, in ragione del principio dell’ultrattività del mandato, laddove quella allo stesso indirizzata venga invece ritenuta inidonea a instaurare un valido rapporto processuale.

11 In definitiva, deve essere accolto il primo motivo del ricorso principale, nel quale restano evidentemente assorbiti sia gli altri motivi dello stesso ricorso principale, che il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in applicazione del seguente principio di diritto: con riferimento a fusione di società perfezionatasi nel sistema vigente prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, a partire dall’ultima delle iscrizioni nell’ufficio del registro delle imprese, prescritte dall’art. 2504, la società risultante dalla fusione assume tutti i diritti e gli obblighi di quella che si estingue, con la conseguenza che è inammissibile, in quanto proveniente non dal soggetto legittimato, ma da soggetto inesistente, l’impugnazione proposta, da società incorporata, dopo il perfezionamento dell’incorporazione.

Non ostando alla decisione della causa nel merito la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, in applicazione dell’art. 384 cod. proc. civ., dichiara inammissibile l’appello.

La difficoltà delle questioni induce il collegio a compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello. Dichiara assorbito il ricorso incidentale.

Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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