Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27904 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 30/10/2019), n.27904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25714/2015 proposto da:

F.E., G.E., V.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA DELL’OROLOGIO, 7, presso lo studio

dell’avvocato PAOLA MORESCHINI, rappresentati e difesi dagli

avvocati BRUNO BARBATO MASTRANDREA, VITO CAMPISI;

– ricorrenti –

contro

ALMA MATER STUDIORUM – UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA, in persona

del Rettore pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende

ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 322/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 30/04/2015 r.g.n. 432/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. F.E., G.E. e V.G. convennero in giudizio l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna esponendo di aver frequentato la scuola di specializzazione rispettivamente nel periodo dal 1990 al 1993, dal 1988 al 1991 e dal 1983 al 1986 senza ricevere alcun trattamento economico e facendosi carico dell’assicurazione obbligatoria in relazione al tirocinio a tempo pieno prestato. Dopo le sentenze della Corte di giustizia che riconobbero il diritto dei medici specializzandi ad un’ adeguata retribuzione chiesero la condanna dell’Università a corrispondere loro la retribuzione ovvero al risarcimento del danno.

2. Il Tribunale dichiarò prescritte le domande mentre la Corte di appello, investita del gravame, negò il diritto accertando che legittimato passivo era il Ministero dell’Istruzione e della ricerca. Inoltre accertò che nulla spettava ai ricorrenti a titolo di retribuzione adeguata e neppure per risarcimento del danno.

3. Per la cassazione della sentenza propongono ricorso F.E., G.E. e V.G. che articolano cinque motivi. Resiste con controricorso l’Università degli studi di Bologna. I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380 bis 1. c.p.c., insistendo nelle conclusioni prese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione della L. n. 260 del 1958, art. 4 e dell’art. 101 c.p.c.. Sostengono i ricorrenti che l’Avvocatura dello Stato avrebbe dovuto sollevare l’eccezione di carenza di legittimazione passiva entro la prima udienza, indicando altresì il soggetto legittimato passivamente da convenire in giudizio. In mancanza di tale eccezione il giudice non avrebbe potuto escludere la legittimazione passiva dell’Università convenuta. Evidenzia poi che, in ogni caso, l’individuazione del soggetto tenuto al pagamento del risarcimento del danno costituirebbe un fatto interno all’amministrazione e non opponibile ai ricorrenti.

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 36 Cost., L. n. 25 del 1955, art. 11, lett. c), D.L. n. 726 del 1984, art. 3, comma 5, convertito in L. n. 863 del 1984. Sostengono i ricorrenti che anche a prescindere dalla mancanza di efficacia diretta della direttiva il giudice deve ritenere dovuto il pagamento di una remunerazione adeguata, da stabilire tenendo conto dell’insieme di norme applicabili, e da riconoscere ai sensi dell’art. 36 Cost..

6. Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 24 Cost., artt. 115 e 345 c.p.c. e art. 2697 c.c.. Sostengono infatti che la sentenza non si sarebbe avveduta del fatto che l’Università non aveva mai contestato le concrete caratteristiche dell’attività degli specializzandi, allegate nel ricorso introduttivo, e si era limitata a negare la natura subordinata e parasubordinata del rapporto. Accertata la natura lavorativa dell’attività la Corte avrebbe dovuto riconoscere il conseguente diritto alla retribuzione ammettendo se del caso le prove articolate.

7. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 3 Cost., L. n. 848 del 1955, art. 2,L. n. 657 del 1966, art. 2,L. n. 881 del 1977, art. 2. Sostengono che avallando la ricostruzione della Corte di merito si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento con coloro che svolgevano attività analoghe, con gli ammessi all’internato, con coloro che iscritti prima dell’anno accademico 1991- 1992 avevano ottenuto una sentenza favorevole del TAR ed a cui la L. n. 370 del 1999, riconosce retroattivamente il diritto alla borsa di studio. Del pari discriminatorio escludere per i ricorrenti il diritto all’adeguata remunerazione e riconoscere in ipotesi solo il risarcimento per tardato recepimento della direttiva. Ribadiscono infine che in ogni caso non sarebbe maturata alcuna prescrizione stante la decorrenza del termine decennale dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999.

8. Con il quinto motivo di ricorso è infine denunciata la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, stante l’esistenza di un insanabile contrasto tra dispositivo di accoglimento dell’appello e la motivazione di infondatezza del gravame.

9. Il ricorso non può trovare accoglimento per le ragioni che di seguito si espongono.

9.1. Va rammentato in via generale che in tema di responsabilità dello Stato da mancata attuazione di direttive comunitarie, sussiste la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ove, tuttavia venga evocato in giudizio un diverso organo statuale non si verifica una mancata instaurazione del rapporto processuale. Si tratta infatti di una mera irregolarità, sanabile, ai sensi della L. n. 260 del 1958, art. 4, sempre che l’Avvocatura dello Stato si sia avvalsa, nella prima udienza, della facoltà di eccepire l’erronea identificazione della controparte pubblica, provvedendo alla contemporanea indicazione di quella realmente competente. In mancanza di tale tempestiva eccezione è preclusa la possibilità di far valere, in seguito, l’irrituale costituzione del rapporto giuridico processuale che neppure può essere d’ufficio rilevato (cfr. Cass. Sez. U. n. 30649 del 2018). La citata L. n. 260 del 1958, art. 4, dispone infatti che “l’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’avvocatura dello stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato.” Successivamente “tale indicazione non è più eccepibile. Il giudice prescrive un termine entro il quale l’atto deve essere rinnovato. L’eccezione rimette in termini la parte.” Si tratta di disposizione che mira a sanare, attraverso una rimessione in termini, l’errore nella “vocatio in ius” dell’autorità amministrativa effettivamente competente in relazione alla domanda proposta. Tuttavia esigenze di tutela del diritto azionato dalla parte attrice comportano la definitiva sanatoria del vizio che non sia tempestivamente eccepito e gli effetti della pronuncia si produrranno nei confronti dell’amministrazione originariamente convenuta, ancorchè erroneamente, in giudizio e non nei confronti del corretto e reale destinatario della domanda (Cfr. Cass. n. 15195 del 2013). La sanatoria opera nei confronti dello Stato nelle sue varie specificazioni ma non si estende anche nei confronti di soggetti pubblici diversi che, come è per le Università degli Studi, non solo sono dotati di autonoma soggettività e organizzazione ma inoltre non rientrano tra le amministrazioni dello Stato. Rispetto a tali soggetti non può operare la sanatoria della vocatio in ius per effetto della mancata tempestiva eccezione da parte dell’Avvocatura dello stato ed il giudice è chiamato a verificare la legittimazione passiva in relazione alla domanda formulata.

9.2. Correttamente perciò la Corte di merito ha verificato, rispetto alla domanda risarcitoria avanzata dai medici ammessi alla scuola di specializzazione negli anni 1983-1993 ( F. dal 1990 al 1993, V. dal 1983 al 1986, G. dal 1988 al 1991), quale fosse il soggetto passivamente legittimato ed ha escluso la elgittimazione passiva dell’Università, presso le cui scuole di specializzazione i medici, aventi diritto alla corresponsione della borsa di studio, hanno frequentato i corsi e conseguito i diplomi.

9.3. In tema di borse di studio per i medici specializzandi, e relativi meccanismi di rivalutazione automatica, istituite dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 e finanziate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, sulla base di un decreto interministeriale adottato dal MIUR e dai Ministri della Salute e dell’Economia, sussiste carenza di legittimazione passiva in senso sostanziale dell’Università degli Studi che ne provvede alla mera corresponsione materiale, senza che le possa essere imputato alcun comportamento inerte in tema di violazione degli obblighi di attuazione e recepimento delle direttive comunitarie in materia. Ne consegue che, trattandosi di questione attinente alla titolarità del rapporto controverso, è rilevabile anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del giudizio, fermi i limiti del giudicato, e qualora detto ente sia stato l’unico soggetto convenuto in giudizio, l’azione al riguardo è improseguibile (cfr. Cass. 23/09/2016 n. 18710) Le Università restano estranee ad ogni onere di stanziamento di somme e sono incaricate della sola gestione del rapporto finale con gli specializzandi, operano come delegate al pagamento (art. 1269 c.c., comma 1) delle borse di studio e di quanto ad esse consegue, restando prive, come tali, di legittimazione sostanziale rispetto all’azione dei borsisti-creditori (cfr. oltre a Cass. ult. cit. anche Cass. 14/06/ 2018 n. 15634 e 27/02/ 2019, n. 5706).

10. Il rigetto della prima censura che investe la statuizione relativa alla carenza di legittimazione dell’Università di Bologna rende superfluo l’esame delle altre censure che attengono allo scrutinio della fondatezza nel merito della domanda e restano perciò assorbite.

11. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Quanto alle spese l’esistenza di orientamenti di merito difformi e gli approdi della giurisprudenza di legittimità successivi alla proposizione del ricorso in cassazione ne consigliano la compensazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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