Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27903 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 30/10/2019), n.27903

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22483/2014 proposto da:

MINISTERO DEL LAVORO DIREZIONE TERRITORIALE, (EX PROVINCIALE) LAVORO

TARANTO, in persona del Ministro pro tempore domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S. PRODUZIONI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA SCROFA 64,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA GIORDANO, rappresentata e

difesa dall’avvocato ENRICO CLAUDIO SCHIAVONE;

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA SCROFA

64, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA GIORDANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO CLAUDIO SCHIAVONE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 744/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 24/03/2014 R.G.N. 275/2013.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

Fatto

RILEVA

che:

con ricorso depositato il 30 aprile 2005 S.V., in proprio e quale legale rappresentante della S. PRODUZIONI S.r.l., proponeva opposizione avverso le ordinanze ingiunzioni nn. 112 e 112 bis del 1 aprile 2005, con le quali era stato intimato il pagamento della somma di Euro 1071,00 a titolo di sanzioni amministrative per le violazioni accertate come da verbali del 5 ottobre 2004, della L. n. 608 del 1996, ex art. 9 bis, comma 2, per avere omesso di comunicare al competente Centro per l’impiego l’assunzione della lavoratrice Q.A., avvenuta il 3 novembre 2003, del D.Lgs. n. 181 del 2000, art. 4 bis, per avere omesso di consegnare alla suddetta lavoratrice, al momento dell’assunzione, una dichiarazione sottoscritta contenenti dati di registrazione da effettuare sul libro matricola, ed ai sensi del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 14, per avere omesso di comunicare all’Inail il codice fiscale della lavoratrice, contestualmente alla instaurazione del rapporto di lavoro, nonchè L. n. 4 del 1953, ex artt. 1 e 3, per avere omesso di consegnare alla diretta interessata, al momento della corresponsione della retribuzione, il prescritto prospetto paga per il periodo 3 novembre 2003 – 8 giugno 2004;

all’esito della espletata prova per testi, il giudice adito con sentenza del 28 novembre 2012 accoglieva l’opposizione e dichiarava non dovuta la somma di cui alle anzidette ordinanze ingiunzioni, condannando quindi la resistente Direzione Provinciale del Lavoro di Taranto al pagamento delle spese processuali;

tale sentenza veniva appellata dalla Direzione provinciale del Lavoro come da ricorso del 14 febbraio 2013, ribadendo che la contestazione era avvenuta nel rispetto di termini di legge, avendo il giudice di primo grado omesso di considerare l’intervenuta sospensione per effetto della notifica del verbale di diffida in data 14 giugno 2004; la Corte d’Appello di Lecce con sentenza n. 744 in data 11 – 24 marzo 2014 rigettava l’interposto gravame, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese di lite;

la Corte territoriale, premesso che l’impugnazione risultava comunque ammissibile ai sensi dell’art. 434 c.p.c., per le ragioni all’uopo indicate, osservava che il primo giudicante nell’accogliere l’eccezione di nullità opposta da parte opponente aveva rilevato che il verbale di accertamento completo fu consegnato in mani di S.V. il sei luglio 2004 e che la notifica dell’illecito amministrativo contestato avvenne il 4.10.2004 (rectius, il giorno cinque ottobre. Invero, se effettivamente la notifica dell’accertamento fosse avvenuta il 4 ottobre 2004, la stessa sarebbe risultata tempestiva, tenuto conto della decorrenza 6 luglio 2004, per cui, non computato il giorno iniziale, ma sommati 25 giorni di luglio, 31 di agosto, 30 di settembre e 4 di ottobre, a tale data non sarebbe stato superato il termine di 90 giorni), perciò al 910 giorno, quindi in violazione del termine all’uopo previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14. Secondo la Corte distrettuale, era consolidata in giurisprudenza la tesi per cui il termine di 90 giorni dall’accertamento della violazione, entro il quale deve avvenire la contestazione, ha natura perentoria, in base a quanto previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, u.c.. “Rispetto alla determinazione del momento iniziale della decorrenza del termine perentorio di 90 giorni, l’art. 14 citato correla il dies a quo all’accertamento della violazione; tuttavia l’accertamento non coincide con la generica e approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento di tutte le indagini necessarie al fine della piena conoscenza di esso (Cass. 6 febbraio 2009 numero 3043, 1 aprile 2009n. 7951…)”.

Tuttavia, non era fondata la tesi di parte appellante, secondo cui il termine di 90 giorni sarebbe stato sospeso nella specie dal 14 giugno al 19 luglio 2004, a seguito della diffida rivolta allo S. e contenuta nel verbale ispettivo 14 giugno 2004, di sanare le inadempienze entro il secondo lunedì successivo alla ricezione del verbale, avvenuta il 6 luglio 2004. Sul punto veniva richiamata la sentenza di questa Corte 20 agosto 2009 n. 18555, secondo cui in tema di sanzioni amministrative il termine di 90 giorni per la notificazione degli estremi della violazione, previsto dal citato art. 14, è di decadenza e non già di prescrizione, di modo che non è suscettibile di interruzione alla stregua di quanto previsto dall’art. 2964 c.c.;

avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il Ministero del Lavoro – DIREZIONE TERRITORIALE – ex Provinciale – del LAVORO di TARANTO con l’Avvocatura Generale dello Stato in data 23 settembre 2014, affidato ad un solo motivo, cui hanno resistito S.V. e S. PRODUZIONI S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, amministratore unico S.V., mediante distinti controricorsi in data 4 novembre 2014 (v. poi anche gli avvisi di ricevimento del 7 e 10 nov. 2014);

Memoria ex art. 380-bis 1. c.p.c., è stata depositata nell’interesse di entrambe le parti controricorrenti, laddove peraltro si è sostenuto nella specie l’inizio dell’accertamento, ai fini della decorrenza del termine di giorni 90, era da individuarsi nella data dell’otto giugno 2004, allorchè era stata sentita la lavoratrice, data in cui nessun altro elemento doveva essere più acquisito dalla DPL ai fini della redazione del verbale ispettivo avvenuta il 14 giugno 2004. Inoltre, “l’atto predetto” era stato “notificato solo alla Società controricorrente in data 14/10/2004 (come evidenziato da controparte a pag. 2 della comparsa di risposta relativa al giudizio di primo grado… Ben oltre, quindi, il predetto termine di 90 giorni. Peraltro, il predetto atto mai è stato notificato al sig. S.V….”.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il suddetto ricorso la Direzione territoriale del Lavoro di Taranto ha denunciato violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124, art. 13, nonchè della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, osservando che detto art. 13 al comma 2 testualmente prevede che in caso di constatata inosservanza delle norme di legge… qualora il personale ispettivo rilevi inadempimenti dai quali derivino sanzioni amministrative, questo provvede a diffidare il trasgressore… ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, alla regolarizzazione dell’inosservanze comunque materialmente sanabili, entro il termine di giorni 30 dalla notifica del verbale di cui al comma 4, notificata nel caso di specie era stata eseguita il 6 luglio 2004, sicchè l’adozione della stessa, in base alla testuale previsione di cui dello stesso art. 13, comma 5, aveva interrotto i termini di cui alla cit. L. n. 689, art. 14… fino alla scadenza del termine per compiere gli adempimenti di cui ai commi 2 e 3. Attesa, quindi, l’omessa regolarizzazione, in data 5 (cinque) ottobre 2004 l’Ispettore di Lavoro aveva provveduto alla notifica dell’illecito, quindi nel pieno rispetto del termine di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14, dovendosi ritenere che tale termine aveva ripreso a decorrere dopo il secondo lunedì successivo alla ricezione del verbale, quindi dal 19 luglio 2004, per effetto dell’interruzione di cui al D.Lgs. n. 124 del 2004, art. 13, comma 3, dipesa dalla precedente diffida fino alla scadenza del termine assegnato per la regolarizzazione. Di conseguenza, tale termine aveva ripreso a decorrere dal 19 luglio 2004, sicchè la successiva notifica in data 5 ottobre 2004, perciò dopo 78 giorni, era assolutamente legittima. Invece, il giudice di primo grado aveva tralasciato di considerare l’intervenuta sospensione dei termini di quella L. n. 689, art. 14, per effetto della notifica del verbale di diffida in data 14 giugno 2004, con conseguente operatività della sospensione del termine dal 14 giugno al 19 luglio 2004. Per contro, la Corte leccese aveva richiamato la sentenza di questa Corte n. 18555 del 2009, però relativa a questione del tutto diversa, laddove infatti la notifica avvenuta il 1 dicembre 1998 risultava tardiva rispetto alle violazioni anteriori al 12 maggio dello stesso anno, poichè in quest’ultima data gli illeciti erano comunque noti all’amministrazione, come dimostrato dalla stessa diffida. Era evidente che in quella fattispecie la diffida, peraltro di natura diversa da quella qui in esame, aveva avuto la funzione di determinare la data di conoscenza dell’illecito da parte dell’amministrazione, e non già di interrompere il termine, sicchè in tale contesto andava letta l’affermazione secondo cui il termine in questione era di decadenza e non suscettibile quindi di interruzioni ai sensi dell’art. 2964 c.c.. Invece, nel caso qui in discussione era applicabile del citato D.Lgs. n. 124, art. 13, in quanto norma speciale che derogava agli ordinari criteri civilistici, proprio in relazione alla peculiare natura della diffida di cui trattasi, che per un verso vuole indurre il datore di lavoro a regolarizzare le posizioni dei lavoratori, a loro precipua tutela, e per un altro verso intende consentire al datore di lavoro di pagare una sanzione inferiore qualora adempia all’onere di regolarizzazione;

secondo i controricorrenti, però, il ricorso sarebbe inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., avendo deciso la Corte territoriale in base consolidata a giurisprudenza. Quanto al merito, la semplice contrapposizione di interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata non rilevava ai fini dell’annullamento di quest’ultima. La denuncia della violazione delle regole di ermeneutica e la denuncia del vizio di motivazione esigono la specifica indicazione del modo attraverso il quale si è realizzata la anzidetta violazione e delle ragioni della obiettiva deficienza o contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di una interazione diversa da quella criticata. Nel caso in esame vi era stata indiscutibile violazione del termine di decadenza di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14, donde la nullità e l’inammissibilità della sanzione pecuniaria applicata. Peraltro, l’inizio dell’accertamento da parte della Direzione Provinciale del Lavoro, ai fini della decorrenza del termine di giorni 90, andava individuato nella data dell’8 giugno 2004, allorchè era stata sentita sommarie informazioni la lavoratrice Q.A., data dalla quale nessun altro elemento doveva essere acquisito ai fini della redazione del verbale ispettivo, avvenuta in data 14 giugno 2004, poi notificato soltanto il 14 ottobre 2004 (ma nella sentenza qui impugnata sul punto è indicata la data “4.10.2004 esattamente al 91 giorno”, rispetto al verbale di accertamento completo consegnato a mani di S.V. il 6.7.2004. Cfr. altresì le pagine n. 2 degli stessi controricorsi: “Con notificazioni di illecito amministrativo n. 593 del 5/10/2004 e 593/2 del 5/10/2004, notificate il 5/10/2004, nonchè con processo verbale di accertamento di illecito amministrativo n…. del 14/6/2004, il Ministero… – Direzione Provinciale del Lavoro di Taranto, a seguito di visita ispettiva del 28/5/29004 e del 3/6/2004, contestava ai deducenti, in solido la violazione…”), come evidenziato da controparte a pagina due della comparsa di risposta in data 16 marzo 2006, ben oltre quindi il termine di giorni 90;

tanto premesso, il ricorso de quo appare ammissibile ex art. 366 c.p.c. e fondato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, tenuto conto, sotto il primo profilo delle sufficienti allegazioni ivi enunciate, rilevanti ai fini della decisione, rispetto pure a quanto già evidenziato dalla stessa Corte leccese, che infatti disattendeva l’eccezione d’inammissibilità sollevata da parte appellata, avuto riguardo ai pertinenti motivi di gravame dedotti “specificamente sull’unico punto trattato e deciso, vale a dire la declaratoria di nullità delle ordinanze-ingiunzioni per il mancato rispetto del termine di 90 giorni per la notifica del verbale di accertamento” (rectius di contestazione, poichè l’accertamento inerisce al completo rilevamento di fatti e circostanze integranti l’illecito amministrativo, oggetto quindi della successiva contestazione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14, da notificarsi nei termini ivi previsti – V. anche Cass. lav. n. 865 del 2/2/1999, secondo cui la L. n. 689 del 1981, art. 14, non comporta l’automatica predeterminazione del limite temporale del procedimento di verifica per l’accertamento dell’infrazione amministrativa, il cui concreto espletamento è legato alle peculiarità delle varie situazioni, spettando al giudice di merito di apprezzare la congruità del tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per acquisire i dati e valutarne la consistenza ai fini della corretta formulazione della contestazione, fermo restando che comunque incombe alla parte opponente che contesta la legittimità della sanzione l’onere di provare le circostanze che renderebbero ingiustificata o colposamente tardiva la pretesa della Amministrazione stessa – Cfr., inoltre, tra le varie Cass. I civ. n. 6408 del 15/07/1996, secondo cui in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, l'”accertamento” al cui termine collocare, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, comma 2, il “dies a quo” per il computo dei novanta giorni entro i quali può utilmente avvenire la contestazione mediante notifica, va inteso come comprensivo anche del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti gli elementi – oggettivi e soggettivi – dell’infrazione e, quindi, della fase finale deliberativa correlata alla complessità della fattispecie. Conformi Cass. nn. 2926 e 9544 del 1994, n. 7792 del 23/08/1996, n. 7805 del 23/08/1996, n. 7795 del 23/08/1996 ed altre. Ancor, più recentemente, Cass. lav. n. 7681 del 2/4/2014 ha confermato che in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, il termine di novanta giorni, previsto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, per la notifica degli estremi della violazione, decorre dal compimento dell’attività di verifica di tutti gli elementi dell’illecito, dovendosi considerare anche il tempo necessario all’amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi acquisiti e gli atti preliminari. Conforme Cass. n. 8456 del 2006. E parimenti, secondo Cass. I civ. n. 14678 del 6/6/2018, in tema di illeciti amministrativi di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, il “dies a quo” per il computo del termine di novanta giorni per la notificazione del verbale di contestazione decorre dall’accertamento della violazione, il quale non coincide “sic et simpliciter” con la generica ed approssimativa percezione del fatto e l’acquisizione di documentazione ad esso relativa, ma richiede l’avvenuta elaborazione dei dati così ottenuti al fine di individuare gli elementi costituitivi delle eventuali violazioni);

inconferenti, altresì, appaiono le eccezioni di parte controricorrente per quanto concerne le asserite contrapposizioni propugnate dall’amministrazione controricorrente, donde la loro inammissibilità, laddove nel caso di specie correttamente ed in rito ex cit. art. 360, n. 3, è stata censurata la violazione e falsa applicazione della succitata normativa (e non già l’errata interpretazione di attività contrattuale, per la quale invece – come ritenuto tra le altre da Cass. III civ. n. 28319 del 28/11/2017 – vale il principio secondo cui parte ricorrente in sede di legittimità non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata);

invero, poi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass. sez. un. civ. n. 5 del 18/01/2001);

nemmeno è ravvisabile, per altro verso, l’eccepita inammissibilità del ricorso ex art. 360-bis c.p.c., tenuto conto soprattutto che il caso qui in esame, anche ratione temporis, è in parte diverso da quello definito da questa Corte con la sentenza n. 18555/09 in data 14/07 – 20/08/2009 (laddove con ricorso depositato il 15.12.2000, D., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della (omissis) S.r.l., poi trasformatasi in S.r.l. (omissis) (OMISSIS), proponeva opposizione contro l’ordinanza n. 10429 del 17 novembre 2000, con la quale il Ministero del Lavoro – Direzione Provinciale del Lavoro di Bari aveva contestato violazioni della normativa in materia di assunzione di lavoratori, in particolare per avere omesso di comunicare, entro il primo giorno non festivo successivo l’assunzione di manodopera per l’esecuzione di servizi speciali di durata non superiore ad un giorno. L’opponente aveva dedotto di avere ricevuto una visita ispettiva della Direzione Provinciale del Lavoro in data 25 febbraio 1998 e di avere ricevuto un verbale d’ispezione il successivo 12 maggio, con cui veniva “diffidato in via del tutto eccezionale e per il futuro” all’osservanza dell’art. 23, comma 3, citato, con avviso che “in mancanza si procederà a norma di legge”. Il Tribunale di Bari con sentenza n. 12120 del 30 giugno 2005 aveva respinto l’opposizione e quindi confermato l’opposta ordinanza-ingiunzione. Quanto al termine di novanta giorni, imposto dalla L. 24 novembre 689, art. 14, comma 2, alla pubblica amministrazione per la notificazione all’interessato degli estremi delle violazioni, esso era stato rispettato dal Ministero, poichè l’accertamento delle violazioni era terminato nel novembre 1998 e la notificazione era avvenuta il successivo 1 dicembre. Inoltre, detto termine era stato interrotto con la diffida del 12 maggio 1998. Il D. in proprio e nell’indicata qualità, ricorreva per cassazione (r.g. n. 6682 del 2006), mentre l’intimata amministrazione resisteva con controricorso. Contro la medesima sentenza, inoltre, il D. proponeva appello, accolto dalla Corte di Appello di Bari, la quale con decisione n. 308 del 7 maggio 2007 annullava l’ordinanza-ingiunzione. Contro questa sentenza ricorrevano per cassazione in via principale il Ministero con sei motivi ed in via incidentale condizionato il D. (ricorsi nn. 22284 e 24317 del 2007). La cassazione dell’intera sentenza di appello assorbiva i motivi del ricorso incidentale n. 24137 del 2007, concernente il contenuto della medesima. Per quanto riguarda il ricorso per cassazione proposto dal D., n. 6682 del 2006, con il secondo motivo il ricorrente lamentava la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14,artt. 2934,2945 e 2964 c.c. e vizi di motivazione, per nullità dell’ordinanza-ingiunzione, causata dalla notificazione degli estremi della violazione oltre il termine decadenziale di novanta giorni dall’accertamento di esse.

Questo motivo risultava in parte fondato. Infatti, il giudice di merito aveva incensurabilmente accertato che la notificazione delle violazioni avvenne il 1 dicembre 1998 e che le violazioni anteriori al 12 maggio 1998 erano, in questa data, note all’Amministrazione, la quale diffidò l’autore dal perseverare. Era anche da osservare che il termine in questione era di decadenza e non di prescrizione, onde ad esso non si applicavano le norme sull’interruzione, come stabilito dall’art. 2964 c.c.. Poichè al 12 maggio 1998 gli illeciti, in relazione ai quali avvenne la diffida, erano certamente noti all’Amministrazione, questa decadde dal potere di contestarli. Per gli illeciti successivi, durati fino al 26 ottobre 1998 ed accertati solo con la visita ispettiva del successivo novembre, la contestazione era stata tempestiva. Di conseguenza, la sentenza veniva cassata sul punto e la causa era rinviata al Tribunale di Bari per accertare il numero delle violazioni successive al 12 maggio 1998 e calcolare le relative sanzioni);

per contro, nel caso qui in esame l’accertamento fu completato come da verbale in data sei luglio 2004, di cui poi alla successiva notifica della contestazione in data 5 ottobre 2004, preceduti tuttavia da verbale di diffida notificato in data 14 giugno 2004, per cui la p.a. appellante sostenne la sospensione del termine di 90 giorni di cui al cit. art. 14 dal 14 giugno al 19 luglio, per effetto della diffida rivolta allo S., contenuta nel verbale ispettivo dello stesso 14 giugno 2004, di sanare le inadempienze entro il secondo lunedì successivo alla ricezione di detto verbale, quest’ultima avvenuta il sei luglio 2004 (così pag. 6 della sentenza di appello qui impugnata, laddove si rigettava inoltre tale motivo d’appello, attesa la perentorietà del termine, sempre quello di giorni 90 ex art. 14, la quale di conseguenza non consentiva sospensioni nè interruzioni, all’uopo richiamandosi nella successiva pagina la succitata pronuncia di Cass. n. 18555/09 con riferimento all’art. 2964 c.c., di cui è stata per intero richiamata la massima n. rv. 610323 – 01, peraltro erronea per la parte in cui si afferma “principio applicato con riferimento alla diffida a perseverare nell’inosservanza della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 3, indirizzata dall’Amministrazione al datore di lavoro inottemperante alla normativa in tema di assunzione dei lavoratori, con avviso che “in mancanza si procederà a norma di legge””, ciò che non trova alcuna specifica conferma sul punto nella motivazione integrale della medesima pronuncia n. 18555/09, per cui è chiaramente inconferente il richiamo del suddetto art. 23, comma 3, che invece riguarda il solo giudizio di opposizione e senza alcun riferimento a diffide di sorta);

pertanto, erroneamente non risulta considerata e quindi nemmeno applicata la successiva disciplina speciale introdotta dal D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124 (Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma della L. 14 febbraio 2003, n. 30, art. 8 – Gazz. Uff. n. 110 del 12-5-2004, in vigore sin dal 27-5-2004, il cui art. 19, peraltro, espressamente dispone che alla sua data di entrata in vigore del sono abrogate le norme incompatibili con le disposizioni in esso contenute), laddove l’art. 13, qui ratione temporis indubbiamente applicabile, testualmente così recita, secondo la formulazione vigente 27-5-2004 al 23-11-2010, in tema di diffida: “1. In caso di constatata inosservanza delle norme in materia di lavoro e legislazione sociale e qualora il personale ispettivo rilevi inadempimenti dai quali derivino sanzioni amministrative, questi provvede a diffidare il datore di lavoro alla regolarizzazione delle inosservanze comunque sanabili, fissando il relativo termine. 2. In caso di ottemperanza alla diffida, il datore di lavoro è ammesso al pagamento dell’importo delle sanzioni nella misura pari al minimo previsto dalla legge ovvero nella misura pari ad un quarto della sanzione stabilita in misura fissa. Il pagamento dell’importo delle sanzioni amministrative estingue il procedimento sanzionatorio. 3. L’adozione della diffida interrompe i termini di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, fino alla scadenza del termine per la regolarizzazione di cui al comma 1. 4. Il potere di diffida nei casi previsti al comma 1, e con le modalità di cui ai commi 2 e 3, è esteso, limitatamente alla materia della previdenza e dell’assistenza sociale, anche agli ispettori degli enti previdenziali, per le inadempienze da loro rilevate” (non interessano, quindi, le successive modifiche di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, con l’art. 33, comma 1 e D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 149 con l’art. 11, comma 5, alinea e lett. c, le quale peraltro hanno comunque confermato l’anzidetta interruzione);

pertanto, l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio della causa alla Corte di provenienza (in diversa composizione), che deciderà la causa riconsidererà la vicenda processuale attenendosi ai principi di diritto sopra richiamati, provvedendo all’esito anche al regolamento delle spese di questo giudizio di legittimità;

atteso l’esito positivo dell’impugnazione per giunta proposta da Amministrazione statale, comunque esentata al pagamento del contributo unificato, non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di legittimità alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della NON sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuti per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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