Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27902 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 30/10/2019), n.27902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20246-2014 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MANFREDI 11,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO AVANZATO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

ASSESSORATO REGIONALE FAMIGLIA POLITICHE SOCIALI E LAVORO,

ISPETTORATO PROVINCIALE LAVORO AGRIGENTO, in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 2845/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 31/01/2014 R.G.N. 1958/2011.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore:

Fatto

RILEVA

che:

il Tribunale di Agrigento, in accoglimento dell’opposizione proposta dalla sig.ra R.A., con sentenza n. 47/2011 dichiarava prive di efficacia le ordinanze – ingiunzione nn. 1201-09, 1202-09 e 1205-09 del 29-10-2009, con le quali l’Ispettorato del Lavoro di Agrigento aveva applicato alla suddetta opponente sanzioni ammnistrative per 18.444,43 Euro in ordine alla contestata violazione della L. n. 608 del 1996, art. 9bis, commi 2 e 3, nonchè della L. n. 4 del 1953, art. 1 (mancate comunicazioni alla sezione circoscrizionale per l’impiego dei dati relativi al personale assunto, mancata consegna all’atto dell’assunzione della dichiarazione scritta concernente i dati della registrazione eseguita sul libro matricola, nonchè omessa o ritardata consegna al personale assunto del prospetto paga, ovvero consegna di buste paga contenenti indicazioni retributive diverse da quelle effettivamente corrisposte), ritenendo l’inosservanza del termine di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2 per la definizione dei procedimenti amministrativi, che aveva comportato la decadenza dalla potestà sanzionatoria, atteso, comunque, il difetto di prova degli asseriti illeciti amministrativi;

la suddetta pronuncia era stata appellata dall’Assessorato Regionale della Sicilia per la famiglia, le politiche sociali e il lavoro, nonchè dall’Ispettorato Provinciale del Lavoro di Agrigento;

la Corte d’Appello di Palermo con sentenza n. 2845/13, in data 5 dicembre 2013 – 31 gennaio 2014, in accoglimento dell’interposto gravame ed in riforma della impugnata decisione, rigettava l’opposizione di cui al ricorso introduttivo del giudizio, condannando l’appellata al rimborso delle spese relative al doppio grado del giudizio; quindi, la pronuncia d’appello è stata impugnata dalla sig.ra R.A. come da ricorso per cassazione in data 28 luglio 2014, affidato a tre motivi;

la Regione Sicilia con l’Avvocatura Generale dello Stato ha depositato atto di costituzione in giudizio “al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ex art. 372 c.p.c.”.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la ricorrente ha denunciato violazione o falsa applicazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – della L. n. 689 del 1981, art. 14 nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento all’estinzione dell’obbligazione di pagamento. La Corte d’Appello aveva ritenuto infondata l’eccezione di decadenza L. 189 del 1981, ex art. 14 sollevata dall’opponente, non essendo stata esaminata dal Tribunale perchè assorbita da altre ragioni della decisione, ma riproposta. La Corte distrettuale aveva, infatti, rilevato come fosse documentato che l’ispezione a carico dell’appellata si era conclusa il 21 giugno 2006 e che la contestazione degli addebiti era intervenuta il 6 settembre 2006, come da relativo verbale in calce al quale era riportata anche la relata di notifica “, che provenendo da pubblici ufficiali fa fede fino a querela di falso”. Secondo parte ricorrente era consolidato l’orientamento giurisprudenziale, in base al quale l’accertamento deve intendersi compiuto ad ogni effetto di legge quando si tratta di valutare i dati già acquisiti, ancorchè caratterizzati da complessità sotto il profilo tecnico-giuridico (Cass. 28 agosto 2003 n. 12654, nonchè n. 11129 del 1999). Nella specie i documenti prodotti dall’Ispettorato dimostravano, inconfutabilmente, l’estinzione dell’obbligazione di pagamento, ai sensi del citato art. 14, in quanto l’accertamento era da intendersi compiuto già alla data del 25 gennaio 2006 e comunque a tutto voler concedere il 3 marzo 2006, data del verbale d’ispezione, in cui gli ispettori avevano dichiarato di riservarsi di esaminare la corposa documentazione e di comunicare eventuale violazione nelle forme e nei modi di cui alla vigente normativa, donde la decadenza ai sensi del citato art. 14, atteso che la contestazione era intervenuta oltre il termine di 90 giorni. Inoltre, l’Ispettorato Provinciale del Lavoro non aveva fornito prova delle attività compiute quantomeno dal 3 marzo al 21 giugno 2006, data quest’ultima in cui dichiarava di aver concluso gli accertamenti. “Invero, non risulta in alcun dove l’ispezione si sia conclusa il 21 giugno 2006, anzi documenti versati in atti – come superiormente esposto – smentiscono tale circostanza. Esiste esclusivamente la labiale affermazione degli ispettori in seno al provvedimento di contestazione/notificazione illecito amministrativo del 6 settembre 2006, però tamquam non esset – essendo sfornita di prova – atteso che non fa fede fino a querela di falso”, come invece ritenuto dalla Corte d’Appello, trattandosi al più di mera affermazione contenuta in un provvedimento amministrativo e quindi priva di fede privilegiata. La Corte distrettuale aveva omesso di esaminare tali fatti, costituenti oggetto di discussione tra le parti, e si era limitata apoditticamente ad affermare che l’ispezione si era conclusa il 21 giugno 2006. Sussisteva, pertanto, la decadenza di cui al citato art. 14, atteso che la notifica delle contestazioni di cui all’ordinanza ingiunzione era avvenuta il 6 settembre 2006, quindi oltre il termine di 90 giorni dalla data in cui le asserite irregolarità si erano manifestate e potevano tradursi in accertamento, ossia dal 20 gennaio 2006, data del verbale d’ispezione, ovvero 1 dicembre 2005 come da verbale d’ispezione allegato n. 5 al fascicolo di primo grado, o comunque dal 3 marzo 2006;

come secondo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove l’Ispettorato provinciale del Lavoro non aveva fornito alcuna prova dei fatti;

come terzo motivo è stata denunciata la violazione o falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, mentre sul punto la Corte territoriale aveva giudicato inconferente il richiamo alle abrogazioni disposte dal citato art. 116, nella specie inapplicabile poichè avente ad oggetto la violazione di norme in materia di obblighi contributivi. Per contro, il cit. art. 116, comma 12, aveva abolito, oltre alle sanzioni relative a violazione di norme in materia di obblighi contributivi, anche le sanzioni amministrative relative a violazione di carattere formale di norme sul collocamento, avendo statuito l’abolizione di tutte le sanzioni amministrative relative a violazione in materia di previdenza… nonchè la violazione di norme sul collocamento di carattere formale. Era di tutta evidenza, quindi, secondo parte ricorrente, l’applicabilità nella specie dell’art. 116, comma 12, perchè le sanzioni amministrative di cui alle opposte ordinanze ingiunzione riguardavano violazioni di norme sul collocamento. Peraltro, la L. n. 388, art. 116, comma 12, era applicabile nella specie anche ratione temporis, poichè il preteso illecito si era verificato durante l’arco temporale 2002 / 2003;

tanto premesso, le anzidette censure vanno disattese per le seguenti ragioni;

invero, con l’impugnata sentenza in primo luogo la Corte d’Appello, nel ribadire il principio affermato dalle Sezioni unite civili di questa Corte con la sentenza n. 9561 del 2006 (nonchè da Cass. n. 11530/2007), ha escluso che il termine decadenziale, di cui alla L. 241 del 1990, art. 2 sia applicabile al procedimento, regolato in modo compiuto e autonomo dalla L. n. 689 del 1981, donde l’insussistenza nella specie della pretesa decadenza. Giudicava, altresì, infondata l’eccezione di decadenza L. n. 689 del 1981, ex art. 14 essendo stato documentato che l’ispezione a carico dell’appellata si era conclusa il 21 giugno 2006 e che la contestazione degli addebiti era intervenuta il 6 settembre dello stesso anno. Tanto risultava attestato nel verbale di contestazione in calce al quale era riportata anche la relata di notifica, che provenendo da pubblici ufficiali faceva fede fino a querela di falso. Nel merito, poi, la fondatezza o meno degli addebiti andava verificata in relazione alla natura dei rapporti di lavoro intrattenuti dall’appellata con il personale docente (17 insegnanti nominativamente indicati) impiegato presso la S.r.l. CESCO, della quale era legale rappresentante l’opponente durante il periodo considerato. I verbalizzanti avevano ritenuto che tali rapporti fossero di lavoro subordinato, e non di co.co.co., come formalmente dichiarato nei rispettivi contratti, e ciò era stato dimostrato in giudizio. La stessa opponente, interrogata in sede amministrativa, aveva dichiarato che il tipo contrattuale applicato ai docenti era stato predisposto e lasciato alla scelta tecnica del consulente di fiducia, ma che anche nei casi in cui si era fatto ricorso ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa i docenti avevano partecipato regolarmente alla predisposizione del POF, ai consigli di classe e di istituto… La retribuzione loro corrisposta era indipendente dal numero dei componenti della classe dove insegnavano, ma, come per la generalità degli altri docenti, era riferita alle ore di lavoro prestate (part-time). Nei casi di assenza dei docenti a co.co.co. era stato l’Istituto a farsi carico della loro sostituzione e alcunchè veniva loro addebitato in termini economici. Inoltre, detto personale era perfettamente inserito nella struttura organica dell’Istituto. Pertanto, ad avviso della Corte territoriale, sulla base delle descritte modalità di svolgimento non poteva dubitarsi che i rapporti di lavoro in questione, a prescindere dal nomen juris, si fossero di fatto svolti con le modalità della subordinazione, essendo stati i suddetti docenti organicamente e funzionalmente inseriti nella struttura aziendale riconducibile all’opponente, a disposizione della quale avevano messo le loro energie lavorative, in quanto tali a fronte di una remunerazione rapportata alla sola durata della prestazione e senza rischio di impresa. Nè, del resto, l’appellata aveva sollevato contestazioni specifiche al riguardo, essendosi limitata ad affermare genericamente di avere sempre regolarmente provveduto agli adempimenti imposti dalla legge. Pertanto, doveva concludersi per la fondatezza degli addebiti.

La Corte territoriale, inoltre, richiamava il principio di diritto affermato da Cass. lav. n. 5210 del 4 marzo 2009, secondo cui in materia di sanzioni amministrative, i principi generali di legalità ed irretroattività trovano applicazione anche rispetto a disposizioni abrogative di sanzioni, restando irrilevante il carattere più favorevole della disposizione sopravvenuta. Di conseguenza, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 85 – con l’abrogazione del D.L. n. 510 del 1996, art. 9-bis, comma 3 e art. 9-quater, comma 4 e art. 18, conv. in L. n. 608 del 1996, in tema di obblighi del datore di lavoro per l’assunzione di personale – aveva carattere irretroattivo (v. altresì Cass. lav. n. 14959 del 25/06/2009: in materia di sanzioni amministrative, l’applicazione dei principi generali di legalità ed irretroattività comporta l’assoggettamento della condotta alla legge in vigore al tempo del suo verificarsi, restando irrilevante, in mancanza di un’espressa previsione di retroattività, il carattere più favorevole della disposizione sopravvenuta. Nella specie, quindi, veniva confermata la sentenza di merito, che aveva ritenuto correttamente irrogata la sanzione amministrativa, già prevista dal D.P.R. n. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 21 per la mancata tenuta sul luogo di lavoro dei libri paga e matricola, benchè, in epoca successiva all’illecito, la norma sia stata abrogata dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 39. Cfr., parimenti, tra le altre, Cass. II civ. – 6 n. 29411 del 28/12/2011, secondo cui in tema di sanzioni amministrative i principi di legalità, irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1 comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali “ab origine”, senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2 c.p., commi 2 e 3, i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività della legge, possono, al di fuori della materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente richiamati dal legislatore);

risultava, infine, secondo la Corte palermitana, inconcludente il richiamo alle abrogazioni disposte dalla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, nella specie inapplicabile poichè avente ad oggetto violazione di norme in materia di obblighi contributivi;

pertanto, i primi due motivi risultano inammissibili, poichè – a parte carenti allegazioni in ordine ai fatti ed agli atti relativi alle precedenti fasi di merito, però necessarie a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, specialmente sub n. 6, – con le anzidette doglianze parte ricorrente pretende di ricostruire in punto di fatto la vicenda che ha dato origine alle opposte ordinanze ingiunzione in modo diverso da quanto ritenuto ed accertato dalla Corte di merito, peraltro correttamente in punto di diritto con riferimento al suddetto L. n. 689 del 1981, art. 14 (“modifiche al sistema penale”), che disciplina specificamente, come da succitata giurisprudenza, gli illeciti amministrativi con il relativo apparato sanzionatorio – e non già in relazione alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2 recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi – circa la tempestiva contestazione degli addebiti avvenuta il sei settembre 2006, perciò nel termine di novanta giorni dall’accertamento concluso il precedente 21 giugno. Nè, come già accennato, parte ricorrente ha enunciato, mediante esauriente indicazione dei relativi atti ex cit. art. 366 n. 6 (v. in particolare i documenti prodotti dall’Ispettorato che dimostrerebbero l’estinzione dell’obbligazione per intervenuta decadenza ai sensi dell’art. 14, solo vagamente menzionati a pag. 5, ultimo cpv., del ricorso per cassazione) specifiche circostanze da cui poter desumere che già dal 25 gennaio ovvero dal tre marzo 2006, o addirittura ancor prima, l’accertamento si sarebbe dovuto considerare terminato, ma contrariamente a quanto verificato ex actis dalla Corte distrettuale in relazione alla data del 21 giugno, sicchè inoltre la relativa prova, quindi necessariamente mediante apposite comparazioni documentali, della indubbia completezza dell’accertamento avrebbe dovuta fornirla parte opponente – ricorrente per far desumere l’assoluta inattività nelle more della competente autorità amministrativa (cfr. anche Cass. lav. n. 865 del 2/2/1999, secondo cui la L. n. 689 del 1981, art. 14 non comporta l’automatica predeterminazione del limite temporale del procedimento di verifica per l’accertamento dell’infrazione amministrativa, il cui concreto espletamento è legato alle peculiarità delle varie situazioni, spettando al giudice di merito di apprezzare la congruità del tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per acquisire i dati e valutarne la consistenza ai fini della corretta formulazione della contestazione, fermo restando che comunque incombe alla parte opponente che contesta la legittimità della sanzione l’onere di provare le circostanze che renderebbero ingiustificata o colposamente tardiva la pretesa della Amministrazione stessa – principio affermato in fattispecie relativa a materia di assunzione di lavoratori in violazione delle norme sul collocamento). Peraltro, le tesi in proposito sostenute da parte ricorrente risultano anche infondate alla luce del consolidato principio di diritto (cfr. tra le varie Cass. I civ. n. 6408 del 15/07/1996), secondo cui in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, l'”accertamento” al cui termine collocare, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, comma 2, il “dies a quo” per il computo dei novanta giorni entro i quali può utilmente avvenire la contestazione mediante notifica, va inteso come comprensivo anche del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti gli elementi – oggettivi e soggettivi – dell’infrazione e, quindi, della fase finale deliberativa correlata alla complessità della fattispecie. Conformi Cass. nn. 2926 e 9544 del 1994, n. 7792 del 23/08/1996, n. 7805 del 23/08/1996, n. 7795 del 23/08/1996 ed altre. Cfr. pure Cass. I civ. n. 5904 del 2/7/1997, secondo cui nell’economia della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14 la omessa contestazione immediata della violazione, persino quando essa è possibile, non invalida la successiva ordinanza – ingiunzione, sempre che si sia proceduto alla notifica degli estremi della violazione nel prescritto termine di novanta giorni dall’accertamento; termine il quale incomincia a decorrere dal momento in cui è compiuta – o si sarebbe dovuta compiere, anche in relazione alla complessità o meno della fattispecie – l’attività amministrativa intesa a verificare l’esistenza dell’infrazione, atteso che l’accertamento presuppone il completamento, da parte dell’autorità amministrativa, delle indagini intese a riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi – oggettivi e soggettivi – dell’infrazione medesima. Pur – peraltro – nell’assenza di limiti temporali predeterminati, tali indagini devono avvenire – comunque – entro un termine congruo a seconda delle circostanze, e spetta al giudice di merito di valutare quando questa conoscenza si sia concretamente formata.

V. altresì Cass. lav. n. 12634 del 13/12/1997: qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, l’accertamento al cui termine collocare ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 389, art. 14, comma 2 il “dies a quo” per il computo dei novanta giorni entro i quali può utilmente avvenire la contestazione mediante notifica, va inteso come comprensivo anche del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti agli elementi soggettivi ed oggettivi dell’infrazione, e, quindi, della fase finale deliberativa correlata alla complessità della fattispecie. Conforme Cass. n. 3797 del 15/04/1998.

Cass. I civ. n. 11097 del 5/11/1998: l’omessa contestazione immediata della violazione non invalida – finanche nel caso in cui essa risulti in concreto possibile – la successiva ordinanza – ingiunzione a condizione che si sia proceduto alla notifica degli estremi della violazione nel termine di novanta giorni dall’accertamento.

Cass. lav. n. 12724 del 19/12/1998: qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, l’accertamento al cui termine collocare ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, comma 2, il “dies a quo” per il computo dei novanta giorni entro i quali può utilmente avvenire la contestazione mediante notifica, va inteso come comprensivo anche del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti agli elementi soggettivi ed oggettivi dell’infrazione. Pressochè conforme Cass. III civ. n. 11129 del 6/10/1999 -rv. 530494- peraltro citata dalla stessa ricorrente. V. ancora, parimenti, la stessa sentenza di Cass. lav. n. 12654 del 28/08/2003: in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, l’accertamento al cui termine collocare ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, comma 2, il “dies a quo” per il computo dei novanta giorni entro i quali può utilmente avvenire la contestazione mediante notifica, va inteso come comprensivo anche del periodo di tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti agli elementi soggettivi ed oggettivi dell’infrazione. Il momento del completamento di detto periodo va valutato dal giudice del merito in relazione al caso concreto e sulla base della complessità delle indagini indispensabili. Nella specie, quindi, veniva confermata la pronuncia del giudice di merito che – in un caso in cui il sindaco di un Comune aveva fatto ricorso all’assunzione diretta di dipendenti senza il previo nulla osta della sezione circoscrizionale dell’impiego per l’urgente necessità di evitare danni alle persone e agli impianti – aveva ritenuto tardiva la notificazione dell’accertamento della infrazione avvenuta a distanza di circa tre anni e nove mesi dal momento a partire dal quale detta sezione circoscrizionale aveva avuto, con la comunicazione della Delib. giunta comunale relativa all’assunzione diretta di lavoratori, conoscenza del fatto materiale, ancorchè priva di specifiche indicazioni delle circostanze di fatto, e l’amministrazione era stata posta pertanto in grado di iniziare il procedimento di accertamento degli elementi costitutivi della fattispecie di illecito, non attribuendo alcun rilievo alla circostanza che la stessa sezione avesse informato la direzione provinciale del lavoro solo dopo oltre tre anni, nè al fatto che la notifica della contestazione fosse avvenuta entro novanta giorni dalla conclusione delle operazioni di ispezione.

Inoltre, secondo Cass. lav. n. 3254 del 5/3/2003, l’accertamento al cui termine collocare, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, il “dies a quo” per il computo dei novanta giorni entro i quali può utilmente avvenire la contestazione mediante notifica non può essere fatto coincidere con la mera notizia del fatto materiale, bensì con l’epoca in cui la piena conoscenza dell’illecito è idonea a giustificare la redazione del rapporto previsto dall’art. 17 legge citata. Conforme id. n. 4519 del 26/03/2003. In senso analogo Cass. lav. n. 18347 in data 01/12/2003 e n. 3115 del 17/02/2004 Cfr. inoltre Cass. lav. n. 5921 del 18/03/2005, secondo cui il termine prescritto per la notifica degli “estremi della violazione” – L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14 che non sia stata contestata immediatamente, decorre “dall’accertamento”, momento che non coincide nè con la data di consumazione della violazione, nè con la mera percezione del fatto, ma con il compimento di tutte le indagini volte ad acquisire la piena conoscenza del fatto e della determinazione della sanzione, che siano ritenute necessarie da parte degli “organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa” inflitta nel caso concreto, oppure degli “ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria” (L. n. 689 cit., art. 13). Pertanto, nella ipotesi della comunicazione tardiva dell’assunzione del lavoratore alla sezione circoscrizionale dell’impiego – prevista dal D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9 bis, comma 2, convertito nella L. 28 novembre 1996, n. 608 – il “dies a quo” per la notifica degli estremi della violazione non coincide con la medesima comunicazione tardiva, ancorchè essa risulti inviata non solo all’ufficio di collocamento, che ne è destinatario, ma anche all’organo addetto al controllo quale il servizio ispettivo del lavoro. In senso analogo Cass. nn. 12654 e 18347 del 2003, 3115, 7346 e 7710 del 2004.

Ancora, più recentemente, Cass. lav. n. 7681 del 2/4/2014 ha confermato che in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, il termine di novanta giorni, previsto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14 per la notifica degli estremi della violazione, decorre dal compimento dell’attività di verifica di tutti gli elementi dell’illecito, dovendosi considerare anche il tempo necessario all’amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi acquisiti e gli atti preliminari, quali le convocazioni di informatori, che non hanno sortito effetto. Conforme Cass. n. 8456 del 2006. E parimenti, secondo Cass. I civ. n. 14678 del 6/6/2018, in tema di illeciti amministrativi di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003 -c.d. “codice della privacy” -, il “dies a quo” per il computo del termine di novanta giorni per la notificazione del verbale di contestazione decorre dall’accertamento della violazione, il quale non coincide “sic et simpliciter” con la generica ed approssimativa percezione del fatto e l’acquisizione di documentazione ad esso relativa, ma richiede l’avvenuta elaborazione dei dati così ottenuti al fine di individuare gli elementi costituitivi delle eventuali violazioni.

Quindi, anche secondo Cass. III civ. n. 2088 del 24/02/2000, il termine previsto dalla legge per la notifica degli estremi dell’infrazione, quando non sia stata possibile la contestazione personale, va inteso come comprensivo del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti gli elementi dell’infrazione, spettando al giudice di merito di apprezzare la congruità del tempo ragionevolmente necessario all’amministrazione per acquisire i dati e valutarne la consistenza ai fini della corretta formulazione della contestazione. Conformi tra le altre Cass. n. 10234 del 4/8/2000 e nn. 10353 nonchè 10354 del 7/8/2000);

come anticipato, ugualmente è inammissibile il secondo motivo (pagine 7 e 8 del ricorso) concernente la pretesa violazione dell’art. 2697 c.c., per aver la Corte d’Appello ritenuto dimostrata la natura subordinata degli anzidetti rapporti di lavoro intrattenuti con i docenti, mentre l’Ispettorato provinciale del lavoro non aveva fornito alcuna prova dei fatti dedotti, laddove in effetti con detta censura si contesta il merito di quanto per contro apprezzato dai giudici aditi con l’interposto gravame circa il raggiungimento della prova sulla scorta dei surriferiti elementi di cognizione, acquisiti agli atti di causa, all’uopo motivatamente valutati e senza alcuna inversione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., inversione che evidentemente non può desumersi dal mero e marginale rilievo, operato dalla Corte distrettuale per mera completezza di argomentazione, circa la mancanza di specifiche contestazioni in senso contrario da parte opponente sul punto, la quale si era limitata ad affermare genericamente di aver sempre e regolarmente provveduto agli adempimenti imposti ex lege;

trattandosi, pertanto, di apodittiche e sterili deduzioni contrarie agli accertamenti e conseguenti apprezzamenti compiuti dalla competente Corte di merito, le doglianze al riguardo mosse sono estranee alle tassative ipotesi contemplate e consentite dalla c.d. critica vincolata ammessa dall’art. 360 c.p.c.;

risulta, invece, infondata la terza censura, sebbene con motivazione diversa da quella svolta con l’impugnata sentenza, la quale ha ritenuto, errando, che l’abolizione di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, fosse limitata alle sanzioni amministrative relative a violazioni in materia previdenziale, però omettendo il riferimento di detta abrogazione anche alla violazione di norme sul collocamento di carattere formale;

tuttavia, il quadro non cambia, poichè alla stregua delle succitate contestazioni l’invocata abrogazione comunque non opera nel caso in esame (v. infatti Cass. lav. n. 20233 del 25/09/2014, secondo cui le violazioni relative all”omessa o tardiva comunicazione di assunzione nel rapporto di lavoro, di cui al D.L. 10 gennaio 1996, n. 510, art. 9 bis conv. nella L. 28 novembre 1996, n. 608, hanno natura sostanziale poichè attengono all’esercizio da parte della pubblica amministrazione della funzione di controllo del lavoro propria delle norme sul collocamento dei lavoratori, sicchè non si applica la L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, che ha abrogato le sole infrazioni di carattere meramente formale. In senso conforme Cass. lav. n. 3857 del 15/02/2008, secondo cui in tema di sanzioni amministrative relative a violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, si connotano come violazioni di carattere meramente formale, ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, comportanti l’abolizione delle sanzioni amministrative medesime, solo quelle che non determinano una lesione alla sostanza del bene giuridico tutelato, quali le comunicazioni di assunzioni errate o incomplete, atteso che queste ultime non incidono sulla tutela della funzione di controllo che caratterizza la materia del collocamento e dell’assunzione, mentre sono da considerarsi di carattere sostanziale, e di conseguenza escluse dall’ambito applicativo dell'”abolitio”, tutte le violazioni relative all’omessa o tardiva comunicazione di assunzione nel rapporto di lavoro, in quanto realmente incidenti sulla suddetta finalità. Nella specie, quindi, si è ritenuto il carattere sostanziale delle condotte consistenti: nell’omessa registrazione di sette lavoratori sul libretto di lavoro, ai sensi della L. 10 gennaio 1935, n. 112, artt. 3 e 4; nell’omessa consegna ai lavoratori, all’atto della corresponsione della retribuzione, del prescritto prospetto di paga, ai sensi della L. 5 gennaio 1953, n. 4, artt. 1 e 3; nell’omessa comunicazione alla competente Sezione circoscrizionale per l’impiego, nei termini, dell’assunzione dei lavoratori nonchè nell’omessa consegna, all’atto dell’assunzione, della dichiarazione contenente i dati della registrazione effettuata sul libro di matricola in uso, ai sensi del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9 bis, commi 1 e 2, conv. in L. 28 novembre 1996, n. 608; nell’omessa comunicazione alla competente Sezione circoscrizionale per l’impiego, nei termini, della cessazione del rapporto di lavoro di un lavoratore, ai sensi della L. n. 264 del 1949, art. 21.

Parimenti, secondo Cass. lav. n. 65 in data 8/1/2007, in tema di sanzioni amministrative relative a violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, si connotano come violazioni di carattere meramente formale, ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, comportante l’abolizione delle sanzioni amministrative, quelle che non determinano una lesione alla sostanza del bene giuridico tutelato, quali le comunicazioni di assunzioni errate o incomplete che non incidono, di fatto, sull’essenziale funzione di controllo e monitoraggio, che caratterizza la materia del collocamento; di carattere sostanziale, e dunque, non colpite dall'”abolitio”, devono ritenersi, di contro, tutte le violazioni relative, come nella specie, all’omessa o tardiva comunicazione di assunzione e cessazione del rapporto di lavoro, in quanto realmente incidenti sulla suddetta finalità);

atteso, infine, l’esito negativo dell’impugnazione qui proposta sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, laddove per altro verso, nonostante la propria soccombenza all’esito di questo giudizio, nulla va disposto a favore della Regione Sicilia, essendosi quest’ultima limitata a depositare con l’Avvocatura generale dello Stato un mero atto di costituzione (nel quale non figurano nemmeno rassegnate conclusioni), senza aver mai svolto alcuna effettiva attività difensiva processuale in relazione alla prospettata eventuale partecipazione all’udienza ex art. 372 c.p.c., partecipazione tuttavia del tutto mancata, nonostante rituali e tempestivi avvisi di rito in vista dell’adunanza fissata al sei marzo 2019, per cui non risultano neanche depositate in atti memorie illustrative.

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso. NULLA per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuti per il ricorso, a norma dello

stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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