Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27901 del 04/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 04/12/2020), n.27901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

CIMA s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv. Aldo

Valentini, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.

Giovanni Bonaccio, in Roma, piazzale Clodio n. 56, come da procura

in calce all’atto;

– ricorrente –

Contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.p.a., in persona dei curatori p.t., rappr. e

dif. dagli avv. Danilo Galletti e Cristina Bertocchini, elett. dom.

presso lo studio della seconda, in Roma, via A. Bertoloni n. 55,

come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Ravenna 10.1.2017, n. 85/2017, in

R.G. n. 1195/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 30 settembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Ferro

Massimo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. CIMA s.r.l. impugna il decreto Trib. Ravenna 10.1.2017, n. 85/2017, in R.G. n. 1195/2016, che ha rigettato la sua opposizione allo stato passivo, promossa contro il decreto con cui il giudice delegato del fallimento (OMISSIS) s.p.a. (FALLIMENTO) aveva solo in parte accolto la domanda, fondata su un contratto di subappalto relativo ad opera pubblica attribuita alla società fallita dal Comune di Reggio Calabria;

2. il tribunale premetteva che le tre voci di credito – prospettate tutte in domanda quali prededotte – erano state dal giudice delegato riunite in solo due, con ammissione in chirografo per 432.378,50 Euro (corrispondenti per 193.736,20 alle fatture per lavori ultimati e 238.642,30 alle ritenute a garanzia maturate e da fatturare) e diniego per 152.004,95 (credito per fornitura di materiali non fatturati); secondo il decreto: a) il credito del subappaltatore di opera pubblica non era assistito di per sè da prededuzione, qualità acquisibile ove la prestazione corrispondente implichi, dunque di volta in volta, un concreto vantaggio per la procedura; b) il generico richiamo al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3, non integrava la prova della predetta qualità, occorrendo dimostrare che il committente pubblico subordini il pagamento (all’appaltatore) all’avvenuto saldo delle prestazioni eseguite dal subappaltatore, circostanza non provata da parte del creditore-opponente, risultando anzi che il citato Comune aveva eccepito la diversa circostanza del difetto del DURC, oltre che contestazioni sulle lavorazioni e riserve contabilizzate; c) in ogni caso, la norma del codice degli appalti – peraltro abrogata dal nuovo e con effetto immediato – non trovava applicazione successivamente al venire meno del rapporto contrattuale, oramai sciolto con il fallimento dell’appaltatore; d) il credito da fornitura, infine, non era stato altrimenti provato;

3. il ricorso è su due motivi, cui resiste il Fallimento, che ha anche depositato memoria;

4. con il ricorso si deduce: a) (primo motivo) la violazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, avendo erroneamente il tribunale negato che il pagamento del subappaltatore costituisse condizione di procedibilità per la riscossione del credito da parte dell’appaltatore e ad opera del committente pubblico, posto il mancato riscontro delle fatture quietanziate e la doverosa sospensione del pagamento dell’opera; b) (secondo motivo) la violazione anche dell’art. 2697 c.c., non potendo gravare sul creditore la prova del beneficio che il pagamento in prededuzione procura alla massa, bensì competendo a chi la rappresenta, e semmai, eccepire la non sussistenza di vantaggi connessi al pagamento sospeso, data anche la terzietà del rapporto con la P.A.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. i motivi, da trattare in via congiunta perchè connessi, sono infondati; la questione della spettanza o meno della prededuzione sul credito del subappaltatore di opere pubbliche ha trovato recente soluzione nelle sentenze n. 5685 e 5686 del 2020 delle Sezioni Unite, a definizione di un contrasto insorto nella stessa giurisprudenza di legittimità; vi si legge che “se è vero… che il fallimento determina lo scioglimento del contratto di appalto (cfr. L. Fall., art. 81 e, per gli appalti pubblici, art. 140, comma 1, del codice del 2006 e art. 110, comma 1, del codice del 2016) qualora il curatore non dichiari di voler subentrare nel rapporto (cfr. citato art. 110, comma 3, lett. b), la tesi che ammette la prededuzione postula l’operatività della sospensione come oggetto di un potere unilaterale della stazione appaltante che renderebbe insindacabile la valutazione dell’interesse che ne è a fondamento… postulato… non condivisibile”;

2. premette il Collegio che, nella fattispecie ed in conseguente modifica della motivazione resa dal tribunale, trova piena attualità applicativa anche il D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3, codice degli appalti, almeno nei termini in cui, ratione temporis, va riferito alla disciplina del rapporto contrattuale sottoposto all’odierno esame; il D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 216 (e con riguardo all’art. successivo che dispone l’abrogazione del precedente codice degli appalti) ha invero previsto che le nuove norme regolano procedure e contratti “per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonchè, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”; si tratta di condizione che non è stata nemmeno riferita dal decreto, sul punto errato;

3. la disciplina della sorte del credito del subappaltatore di opere pubbliche, per il quale non risultino all’ente pubblico le quietanze di pagamento, in quanto non pagato dall’appaltatore, interessa in termini la procedura nell’ipotesi in cui, come da prospettazione, residui appunto un credito dell’appaltatore verso l’amministrazione appaltante; non ha invece, nella vicenda, portata decisiva la circostanza che l’amministrazione abbia o meno opposto, e quale condizione di esigibilità, la prerogativa di sospensione di cui al codice del 2006, art. 118;

4. se è vero infatti che, per essa, la norma ammetteva la stazione appaltante a far inserire nel bando di gara, in alternativa al pagamento diretto in favore del subappaltatore, lo specifico obbligo dell’appaltatore di trasmetterle le fatture quietanzate dei pagamenti effettuati al subappaltatore e, in difetto, sospendere il pagamento dovuto all’appaltatore, la reattività di tale previsione non può prescindere – a giudizio delle Sezioni Unite – dal riscontro della pendenza del contratto di appalto;

5. qualora infatti sia sopravvenuto il fallimento dell’appaltatore, il contratto – come è pacifico nella fattispecie – si sia sciolto e il curatore intenda incassare il credito dall’appaltante pubblico, non trova più applicazione l’originaria regola dell’appalto (per cui il subappaltatore va pagato e in prededuzione), operando la prevalente disciplina comune della concorsualità, posto che l’appalto non è più pendente; il meccanismo delineato dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, comma 3 (ove permette alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest’ultimo al subappaltatore) va perciò riferito all’ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un’impresa in bonis; ne consegue che il subappaltatore è un creditore concorsuale dell’appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione;

6. così come la invocata condizione di esigibilità (o procedibilità per la riscossione del credito dall’ente), su cui si fondavano i precedenti ammissivi della prededuzione, non è nè automatica, nè generale; invero anche la nozione di sospensione contraddice un contratto che, ai sensi della L. Fall., art. 81, si scioglie con il fallimento; fallito l’appaltatore, esso non è pertanto (di regola) più eseguibile, spettando allora al curatore il credito per le prestazioni effettuate fino all’intervenuto scioglimento; a sua volta, la stazione appaltante può rifiutare il pagamento solo delle opere ineseguite o eseguite non a regola d’arte, ma non può invocare l’art. 1460 c.c., cioè un’eccezione di inadempimento, nella quale si risolverebbe la sospensione della prestazione della parte non inadempiente, che presuppone un contratto non ancora sciolto e quindi tuttora eseguibile;

il ricorso è pertanto infondato, corretta parzialmente la motivazione ai sensi del superiore punto 2); il recente superamento del contrasto in seno alla giurisprudenza di legittimità e la stessa emersione di precedenti dissonanti rispetto alle tesi prospettate in ricorso ma successivi alla sua proposizione giustificano ex art. 92 c.p.c., comma 2, la compensazione delle spese del procedimento; sussistono invece i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte rigetta il ricorso; dichiara la compensazione fra le parti delle spese del procedimento di legittimità; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2020

 

 

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