Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27895 del 23/11/2017


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 27895 Anno 2017
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25830/2044 R.G. proposto da:
Michielli Paolo, rappresentato e difeso dall’Avv. Mario Martinelli, con
domicilio eletto in Roma, via G. Belli, n. 6, presso lo studio dell’Avv.
Riccardo Battiati;
– ricorrente contro
Michielli Impianti s.a.s. di Michielli Manuel & C., in persona del
legale rappresentante pro tempore;
– intimata avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia depositata il 2
aprile 2014.

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere
Cosimo D’Arrigo;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore generale Corrado Mistri, che ha chiesto il

Data pubblicazione: 23/11/2017

rigetto del ricorso;
letta la sentenza impugnata;
letto il ricorso;
RITENUTO
La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza indicata in
epigrafe, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da Paolo
Michielli avverso la sentenza del Tribunale di Padova del 21 gennaio

posti dall’art. 342 cod. proc. civ.
Avverso tale decisione il Michielli propone ricorso per
cassazione articolato in due motivi. La Michielli Impianti s.a.s. di
Michielli Manuel & C., parte intimata, non ha svolto attività
difensiva.
CONSIDERATO
Con il primo motivo di ricorso il Michielli deduce la violazione
degli artt. 3, 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 342 cod. proc. civ.,
nonché l’illegittimità costituzionale del dispositivo della sentenza
impugnata.
In sostanza, nonostante l’imprecisa formulazione della rubrica
del motivo di ricorso (che sembrerebbe prospettare l’illegittimità
costituzionale del provvedimento impugnato, anziché della norma
di cui la corte d’appello ha fatto applicazione), il Michielli sostiene
che il tenore dell’art. 342 cod. proc. civ. si porrebbe in contrasto
con i citati princìpi costituzionali, in quanto introdurrebbe
«trabocchetti formali»
l’inammissibilità del

appositamente per far dichiarare

«maggior numero possibile di ricorsi».

Si

tratterebbe, quindi, di una disposizione volta a denegare giustizia,
in contrasto con il diritto di difesa, i princìpi del giusto processo e
l’eguaglianza sostanziale.
La questione di legittimità costituzionale prospettata dal
ricorrente è manifestamente infondata.
Si deve rilevare, anzitutto, che il ricorrente incentra le proprie
censure su ciò che egli chiama, con espressione certamente
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2013, ritenendo che l’impugnazione non rispondesse ai requisiti

inappropriata, i “filtri di cassazione”, accomunando le disposizioni in
tema di forma (art. 342 cod. proc. civ.) e di improcedibilità
dell’appello (art. 348 cod. proc. civ.) con quanto disposto dell’art.
366-bis cod. proc. civ., che prevedeva invece l’obbligatorietà della
formulazione dei cosiddetti “quesiti di diritto” in sede di ricorso per
cassazione.
È evidente che le prime due disposizioni operano su un piano

vigente in quanto abrogata dalla legge 18 giugno 2009, n. 69.
Però, l’ampia e articolata questione di legittimità costituzionale
riguarda solo quest’ultima norma, mentre pressoché nulla si dice in
relazione agli artt. 342 e 348 cod. proc. civ.
La questione di legittimità costituzionale, pertanto, così come è
stata prospettata, è manifestamente irrilevante e infondata.
Né si può immaginare un’automatica trasposizione in capo
all’art. 342 cod. proc. civ. delle considerazioni concernenti l’art.
366-bis cod. proc. civ. Come si è già detto, infatti, l’art. 342 cod.
proc. civ. non prevede – diversamente da quanto sostenuto dal
ricorrente – alcun “filtro di cassazione”, ma è volto a regolare il
contenuto dell’atto d’appello.
In sostanza, dunque, il ricorrente non prospetta seriamente
alcun motivo a sostegno della dedotta questione di illegittimità
costituzionale dell’art. 342 cod. proc. civ., avendo incentrato le
proprie considerazioni esclusivamente su una disposizione diversa,
finalizzata ad accentuare la funzione nomofilattica della Corte di
cassazione e, comunque, oramai abrogata.
Anche qualora si volesse ipotizzare che il ricorrente abbia inteso
lamentarsi dell’eccessiva gravosità degli oneri posti dall’art. 342
cod. proc. civ. a carico dell’appellante, la questione di legittimità
costituzionale sarebbe manifestamente infondata per almeno due
ragioni.
La prima è che l’art. 111, settimo comma, della Costituzione prevedendo la ricorribilità per cassazione, per violazione di legge,
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del tutto diverso da quello cui si riferiva la terza, peraltro non più

contro tutte le sentenze e provvedimenti pronunciati sulla libertà
personale – garantisce esclusivamente che alla pronuncia di merito
faccia seguito il giudizio di legittimità. La previsione di un doppio
grado di merito (ossia della sequela primo grado e appello) rientra
invece nella discrezionalità del legislatore ordinario e, difatti,
manca sia nelle ipotesi di sentenze non appellabili (ad esempio
quelle pronunciate in materia di opposizione agli atti esecutivi), sia

grado unico (ad esempio, sull’impugnazione per nullità del lodo
arbitrale). Rientrando nella facoltà esclusiva del legislatore
approntare o meno un secondo grado di merito, quand’anche l’art.
342 cod. proc. civ. fosse davvero eccessivamente restrittivo della
possibilità di proporre appello, ciò non si porrebbe in alcun caso in
contrasto con i precetti costituzionali.
La seconda ragione è che gli oneri posti dall’art. 342 cod. proc.
civ. in tema di contenuto dell’atto di appello non comportano
alcuna restrizione alla proponibilità dell’impugnazione di merito, ma
semplicemente accentuano il carattere devolutivo della stessa.
In conclusione, l’art. 342 cod. proc. civ. non presenta profili di
illegittimità costituzionale e la relativa questione è manifestamente
infondata.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa
applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. Il motivo si compendia
nella affermazione secondo cui «l’appellante ha svolto con l’atto
introduttivo dell’appello un “preambolo” indicante le parti del
provvedimento impugnato, i motivi di gravame e le richieste
innovative. Nel testo del ricorso ha poi sviluppato gli aspetti del
preambolo. Si ritiene, pertanto, che l’appellante abbia esaudito,
seppure per intervalli, quanto prescritto dall’art. 342 c.p.c.». Tale
censura è inammissibile in quanto sprovvista di qualsiasi riscontro
e quindi carente del requisito dell’autosufficienza richiesto dall’art.
366 cod. proc. civ.
In particolare, il motivo in esame non contiene l’indicazione di
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nel caso in cui la corte d’appello opera come giudice di merito in

alcun elemento concreto in base al quale questa Corte possa
ritenere, al di là di quanto affermato dal ricorrente, l’inesattezza
della valutazione della corte d’appello, secondo cui l’atto d’appello
conteneva la mera riproduzione delle «argomentazioni difensive già
considerate dal tribunale, con argomentazione di carattere
largamente generico».
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

cassazione, poiché la parte intimata non ha svolto attività
difensiva.
Sussistono, altresì, i presupposti per l’applicazione dell’art. 13,
comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito

dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché
va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per
valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014,
Rv. 630550).
P.Q.M.
dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 342 cod. proc. civ. e dichiara inammissibile il
ricorso. Nulla spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,

inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello

stesso art. 13.
Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2017.

Non si fa luogo alla liquidazione delle spese del giudizio di

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