Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27886 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 30/10/2019, (ud. 14/02/2019, dep. 30/10/2019), n.27886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13899-2018 proposto da:

A.P., A.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA AUGUSTO RIBOTY 3, presso lo studio dell’avvocato BARBARA

CUFARI, rappresentati e difesi dall’avvocato CARLO BERTI;

– ricorrenti –

contro

G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

PLEBISCITO 107, presso lo studio dell’avvocato LAURA SANDRA

COLANTONI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARIO PAOLO GHELFI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 14913/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 15/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2019 dal RAFFAELE SABATO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza depositata il 15 giugno 2017 n. 14913 questa corte di cassazione ha rigettato ricorso proposto da A.P. e A. contro G.P. avverso sentenza della corte d’appello di Milano depositata il 24/1/2012.

2. Con la predetta sentenza questa corte di legittimità:

– ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, considerando che rettamente la corte d’appello avesse qualificato la domanda di G.P. quale azione di regolamento di confini, e non di adempimento contrattuale, essendo il riferimento a un accordo tra le parti circa il confine un mero elemento probatorio per la sua determinazione, a fronte di mera incertezza soggettiva del confine stesso;

– ha ritenuto una inammissibile pretesa di rivalutazione della decisione di merito il secondo motivo, in quanto si traduceva in una richiesta di riesame delle dichiarazioni qualificate confessorie, delle prove testimoniali, delle risultanze della c.t.u. e di altri elementi fattuali.

3. Avverso la sentenza di questa corte hanno proposto ricorso ex art. 391 bis c.p.c. A.A. e P. su un unico motivo. Ha resistito con controricorso G.P..

4. Su proposta del relatore, il quale ha ritenuto che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, in vista della quale entrambe le parti hanno depositato memorie e nella quale il collegio ha come segue condiviso la predetta proposta del relatore.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso per revocazione, formulato ex art. 391 bis c.p.c. in relazione a un unico motivo riferito all’art. 395 c.p.c., n. 4 (errore di fatto), è inammissibile.

2. Il motivo non fa infatti riferimento all’erronea supposizione di fatto la cui verità è esclusa, bensì alla “omessa valutazione delle conseguenze giuridiche” di deduzioni in tema di “onere probatorio” (p. 9 e 10 ricorso), sostenendosi in particolare l’applicabilità alla fattispecie esaminata in causa dell’onere rigoroso previsto per la rivendica.

3. In altri termini, non sarebbero state considerate nella sentenza le conseguenze giuridiche del fatto che – secondo quanto dedotto – sin dalla costituzione in primo grado A.A. avesse eccepito l’usucapione della striscia di terreno al confine; eccezione questa – in tesi – idonea a far mutare l’onere probatorio dell’azione di regolamento in quello, più rigoroso, previsto per la rivendicazione.

4. Trattasi, come è dato evincere da quanto riepilogato, di critica giuridica alla sentenza, non deducibile con la revocazione per errore di fatto.

5. In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile, regolandosi le spese secondo soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

E’ applicabile al procedimento l’art. 385 c.p.c., u.c. (in luogo dell’art. 96, u.c.), in quanto abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 20, con applicazione dell’abrogazione stessa ex art. 58, comma 1, L. cit., ai soli giudizi instaurati dopo la data dell’entrata in vigore della legge medesima, avvenuta il 4 luglio 2009. La suddetta disposizione prevede la condanna, anche d’ufficio, della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata, se si ritenga che il ricorso sia stato proposto o allo stesso si sia resistito anche solo con colpa grave. Ai fini della responsabilità in parola la colpa grave va ravvisata nei casi in cui il ricorso per cassazione sia stato proposto senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire consapevolezza dell’inammissibilità (cfr. Cass. 17 luglio 2015, n. 15030); ciò che nel caso di specie si evince dalla proposizione di censure di carattere giuridico. La somma in questione può essere equitativamente determinata come in dispositivo, tenuto conto del valore della lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

P.Q.M.

la corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di Cjilln212), che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 4.000 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge, nonchè oltre Euro 2.000 ex art. 385 c.p.c., u.c.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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