Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27874 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 30/10/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 30/10/2019), n.27874

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20899-2018 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

44, presso lo studio dell’avvocato DE FAZI MARCO, rappresentata e

difesa dagli avvocati AMBROSIO RENATO, BERTONE STEFANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS)9, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALI DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– contro ricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 11/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RIVERSO

ROBERTO.

Fatto

RITENUTO

Che:

la Corte d’appello di Firenze con sentenza n. 21/2018 in riforma della sentenza di primo grado rigettava la domanda proposta da A.M. contro il Ministero della Salute con la quale chiedeva la condanna dello stesso Ministero a corrisponderle l’indennizzo ex L. n. 210 del 1992 in relazione all’epatite cronica che l’attrice affermava di avere contratto in esito ad una trasfusione di sangue subita nel luglio 1990 quando aveva 16 anni.

1/ fondamento della domanda la Corte d’appello rilevava che nella fattispecie trovava senz’altro applicazione il termine di decadenza triennale previsto alla L. n. 210 del 1992, art. 3, in esito alla modifica introdotta dalla L. n. 238 del 1997 anche per gli indennizzi spettanti a chi risultava affetto da epatite post trasfusionale, con decorrenza dall’entrata in vigore della stessa legge secondo l’interpretazione datane dalle Sezione Unite della Cassazione con la sentenza 15352/2015. Nel caso di specie doveva ritenersi che la ricorrente fosse a conoscenza dell’eziologia della malattia da una trasfusione anzitutto in base alle affermazioni contenute nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, in cui la ricorrente affermava ai fini dell’inapplicabilità della decadenza che la “conoscew.za della possibile ricollegabilità del suo danno alla (possibile) terapia trasfusionale” si fosse data prima dell’inizio della vigenza della L. n. 238 del 1997; quell’allegazione trovava conferma inoltre nella testimonianza di F.R. marito della Alvisi e nel fatto che la domanda amministrativa risalisse all’anno 2002; il che contraddiceva la tesi dell’appellata secondo cui la conoscenza fosse derivata dalla copia della cartella clinica rilasciata nel maggio 2003 e prodotta in causa in estratto.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.M. con un motivo cui ha resistito il Ministero con controricorso.

E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

RILEVATO

Che:

1. – con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, così come modificato dalla L. n. 238 del 1997; erroneità dell’individuazione del dies a quo del termine di decadenza triennale; poichè la legge richiede l’esistenza in atti di documenti che dimostrino la conoscenza della derivazione causale del danno; e non autorizza il giudice del merito a ricercare aliunde la conoscibilità nè l’ipotizzabilità della stessa.

2. – Il motivo è fondato.

La L. n. 210 del 1992, art. 3 della per quanto qui interessa prevede: “1. I soggetti interessati ad ottenere l’indennizzo di ari all’art. 1, comma 1, presentano domanda al Ministro della sanità entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di dieci anni nei casi di infezioni da HIV. I termini decorrono dal momento in cui, sulla base della documentazione di cui ai commi 2 e 3, l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno.

2. Alla domanda è allegata la documentazione comprovante: la data della vaccinazione, i dati relativi al vaccino, le manifestazioni cliniche conseguenti alla vaccinazione e l’entità delle lesioni o dell’infermità da cui è derivata la menomazione permanente del soggetto.

3. Pe le infezioni da Hiv la domanda deve essere corredata da una documentazione comprovante la data di e effettuazione della trasfusione o della somministrazione di emoderivati con l’indicazione dei dati relativi all’evento trasfusionale o all’emoderivato, nonchè la data dell’avvenuta infezione da HIV.

3. – Il termine triennale di decadenza previsto dalla norma sopra riportata, per i soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, si applica anche al conseguimento della prestazione indennitaria per epatite post- trasfusionale in forza della L. n. 238 del 1997 con la quale il predetto termine decadenziale è stato esteso alle prestazioni in discorso con decorrenza dal 28 luglio 1997 data di entrata in vigore della nuova disciplina.

Secondo le Sezioni Unite di questa Corte (sentenze nn. 15352 e 15353 del 22.7.2015), che hanno risolto il contrasto manifestatosi nell’ambito della sezione lavoro, il termine opera anche per le ipotesi in cui l’emotrasfuzione fosse precedente all’entrata in vigore della legge. Conformemente ai principi generali dell’ordinamento in materia di termini, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applica anche alle situazioni soggettive già in essere, ferma la decorrenza del termine stesso all’entrata in vigore della modifica legislativa (S.u. cit.).

Pertanto sulla scorta della pronuncia delle Sez. Unite se il soggetto ha avuto consapevolezza del danno prima della legge, il termine triennale decorre solo dall’entrata in vigore della legge.

4. – Ed è questa la soluzione applicata nel caso di specie dalla Corte di merito la quale ha ipotizzato che l’appellata avesse avuto conoscenza del danno prima dell’entrata in vigore della L. n. 238 del 1997, talchè ha individuato il dies a quo nel momento dell’entrata in vigore della stessa legge con inevitabile dichiarazione di decadenza dal diritto all’indennizzo avendo l’appallata presentato la domanda amministrativa solo nel 2002.

La Corte fiorentina ha pure affermato che non fosse credibile la tesi secondo cui la ricorrente avesse avuto conoscenza del nesso causale solo nel 2003 ovvero dal rilascio della documentazione clinica attestante l’emostrasfusione, dal momento che in senso opposto deponevano alcuni elementi probatori (desunti dal contenuto del ricorso, dalla testimonianza del marito e per il fatto stesso della presentazione della domanda amministrativa).

5.- Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di indennizzo spettante ai soggetti danneggiati da emotrasfusioni infette, ai fini della corretta identificazione del termine di decadenza in questione, riguardante la presentazione dell’istanza in sede amministrativa, anzitutto va distinta la conoscenza della patologia dalla conoscenza del nesso di causa; dal momento che allo scopo non basta la prima, occorre la conoscenza della correlazione tra l’epatite e l’intervento terapeutico praticato, da intendersi quale elemento costitutivo del diritto al beneficio indennitario (ordinanza n. 25265 del 15/12/2015).

Ld invero “il danno” alla cui conoscenza la legge ricollega il termine non è la malattia in sè e per sè; ma è l’evento indennizzato dalla legge completo quindi del fattore causale.

6. – La predetta conoscenza deve inoltre comprendere la natura irreversibile del danno. Ne consegue che la cronicizzazione della epatopatia post-trasfusionale non configura e costituisce di per sè il requisito esclusivo per accedere ai benefici della legge di sostegno, ma con la malattia post-trasfusionale deve coesistere la documentata consapevolezza, per l’assistito, dell’esistenza di un danno irreversibile. (sentenza n. 837 del 18/01/2006).

7. – Ed ancora, ai fini della decorrenza del termine, è decisiva la conoscenza che lo stesso danno irreversibile possa essere inquadrato – pur alla stregua di un mero canone di equivalenza e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare – in una delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella B annessa al testo unico approvato con D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella 11 allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834 (cfr. Cass. s.u. 8064 e 8065 del 2010, ord. sez. VI lav. n. 22706 del 2010 e n. 19811 del 2013; Cass. 3693 del 2016).

8. Alla conoscenza effettiva è però parificata la ragionevole conoscibilità del danno. La conoscenza si realizza infatti quando il soggetto è in grado, secondo un parametro di ordinaria diligenza, di individuare la causa della patologia cui è affetto e rapportare quindi la propria malattia ad uno degli eventi dannosi previsti dalla L. n. 210 (cfr. Cass. 17.1.2005 n. 753).

9. – Inoltre, ed è il punto che più interessa per la presente decisione, la L. 25 febbraio 1992, n. 210 distingue nettamente, ai fini della tutela indennitaria, la malattia epatica dalla evidenza del danno conseguente, posto che i termini della domanda per l’indennizzo decorrono, alla stregua dell’art. 1, comma 1, “dal momento in cui, sulla base della documentazione di cui ai commi 2 e 3 l’avente diritto risulti aver avuto conoscen. za del danno”.

Secondo quanto pure affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 837 del 18/01/2006; 19702/2018; 3693/2016), la legge individua quindi come fonte della conoscenza il supporto documentale specificandone la tipologia. Deve trattarsi di documentazione clinica che comprovi la data della trasfusione, le manifestazioni cliniche, l’entità delle lesioni o dell’infermità da cui è derivata la menomazione permanente del soggetto. La conoscenza di cui si discute deve quindi avere base documentale. E nel caso in esame risulta dai documenti che la ricorrente abbia potuto prendere cognizione della emotrasfusione solo nel 2003.

Tanto risulta non solo dalla cartella clinica richiamata dalla stessa Corte d’appello, ma anche dal contenuto dell’atto riprodotto in ricorso con cui, in data 17.4.2003, il CENTRO MILITARE MEDICINA LEGALE DI FIRENZE CMO 3, organo tecnico chiamato ad esaminare la domanda presentata nel 2002, restituiva “inevaso” il fascicolo all’ASL, in quanto non vi era la prova documentale “dell’effettiva somministrazione dell’unità trasfusionali”;

ripromettendosi di riesaminare la pratica quando fosse stata completata l’istruttoria documentale.

10.- In contrario a quanto sopra affermato, non possono avere quindi alcun valore nè le affermazioni contenute in ricorso con le quali la ricorrente ipotizzava la possibile ricollegabilità del suo danno ad una possibile terapia trasfusionale precedente la legge del 1997 (ma solo ai fini di sottrarsi alla disciplina della decadenza che prima delle pronunce della Sez. unite del 2015 una parte della giurisprudenza anche di legittimità riteneva non applicabile nella stessa ipotesi); nè le affermazioni di un testimone (peraltro prive di rilevanza); nè le supposizioni tratte dalla Corte dalla presentazione della domanda amministrativa.

11. Ed invero, per quanto riguarda la domanda amministrativa, neppure questa può rilevare dal momento che, sulla base di quanto già detto, risulta che nella fattispecie la documentazione clinica attestante l’emotrasfusioni praticate alla ricorrente sia stata consegnata alla stessa ricorrente solo dopo la presentazione della medesima domanda; talchè non interessa sapere perchè la ricorrente presentò comunque la domanda amministrativa in data precedente.

12. – Va ricordato che le Sez. unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 573/2008 hanno affermato, in diversa questione – relativa al termine di prescrizione per la responsabilità extracontrattuale del Ministero della salute per il risarcimento dei danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi, decorrente per legge dal giorno in cui il fatto si è verificato ex artt. 2935 e 2947 c.c. – che, a fini di certezza, il termine vada fatto decorrere dalla data della domanda presentata dal danneggiato per l’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992.

13. – La giurisprudenza di questa Corte non ha mai affermato, invece, ai fini della decadenza per il beneficio dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992 (fissata dalla legge dal momento in cui, sulla base della documentazione di cui ai commi 2 e 3 l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno), che la domanda amministrativa possa rilevare per confermare in via induttiva una conoscenza del danno ricostruita aliunde in mancanza di documenti.

In tema di decadenza che riguarda soltanto la presentazione della stessa domanda amministrativa (e non l’azione giudiziaria di danno soggetta invece a prescrizione) in mancanza di documentazione probante, la domanda potrebbe rilevare quindi, al più, per individuare il dies a quo a quo ma anche, al tempo stesso, a soddisfare l’atto di impulso da presentare entro il termine perentorio; atto che quindi non potrebbe mai essere considerato tardivo.

14. – Peraltro, nella particolare fattispecie che si esamina la documentazione clinica rilevante, secondo legge, esiste e dimostra che la conoscenza dell’emotrasfusione sia stata successiva rispetto alla stessa data della domanda amministrativa.

15- La Corte d’appello avrebbe dovuto quindi accertare la consapevolezza del danno e della riconducibilità della malattia alle emotrasfusioni in base alla fonte documentale esistente, mentre ha fatto affidamento su elementi (incerti) di diverso spessore.

16. – Il che contraddice anche il principio, più volte affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 1272/2012), secondo cui le norme in materia di decadenza sono di stretta interpretazione e si applicano solo per i casi ed per i tempi in esse considerati. Esse non possono dar luogo ad applicazioni analogiche vietate dall’art. 14 preleggi.

17. – Per le considerazioni esposte il ricorso va quindi accolto.

La sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo il quale nella decisione della causa si atterrà ai principi sopra indicati e provvederà sulle spese del giudizio.

Avuto riguardo all’esito del giudizio non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’adunanza camerale, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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