Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27871 del 30/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 30/10/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 30/10/2019), n.27871

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13654-2018 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato COGO GIOVANNA;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo

studio dell’avvocato TRIFIRO’SALVATORE, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 253/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

Fatto

RILEVATO

Che:

La corte di appello di Milano con la sentenza n. 253/2017, a seguito di rinvio della Corte di cassazione (n. 2826/2016), confermando la sentenza del tribunale di Lecco, accertativa della illegittimità del termine apposto al contratto stipulato tra Poste italiane e C.C. e della esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, aveva rideterminato l’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, dovuta alla lavoratrice in 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto oltre accessori dalla sentenza di primo grado.

La Corte territoriale, nella determinazione della indennità, aveva considerato la durata limitata del contratto a termine.

Avverso la sentenza la C. proponeva ricorso affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso la società Poste anche con successiva memoria.

E’ stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

1) – Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., vizio di omessa pronuncia, nonchè violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, della L. n. 92 del 2012, art. 1 e della L. n. 604 del 1966, art. 8 in relazione all’art. 12 disp. gen e art. 416 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4).

2) – Con il secondo motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla L. n. 183 del 2012, art. 132 e L. n. 604 del 1966, art. 8, nonchè vizio di motivazione in quanto illogica, assente e apparente (art. 360 c.p.c., n. 5).

Con il primo profilo di censura parte ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciare sulla domanda di condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di accertamento della nullità del termine e di conversione del rapporto (disposta con sentenza) a quella dell’effettivo ripristino del rapporto di lavoro.

La parte allega nel motivo di ricorso la domanda specificamente proposta alla corte territoriale e peraltro la stessa sentenza contiene le conclusioni delle parti nelle quali è chiaramente enunciata la domanda in questione. Il motivo risulta quindi fondato.

Nel merito questa Corte ha chiarito che “In tema di risarcimento del danno per i casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, lo “ius superveniens” L. n. 183 del 2010 ex art. 32, commi 5, 6 e 7, (applicabile nel giudizio pendente in grado di legittimità qualora pertinente alle questioni dedotte nel ricorso per cassazione) configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale “ex lege” a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde perceptum”), trattandosi di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio” (dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione) (Cass. n. 3056/2012).

La norma, che “non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest’ultimo l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato”, in base ad una “interpretazione costituzionalmente orientata” va intesa nel senso che “il danno forfetizzato dall’indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto”, con la conseguenza che a partire da tale sentenza “è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva” (altrimenti risultando “completamente svuotata” la “tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato”) (Cass. n. 3056/2012).

Il motivo risulta quindi fondato alla luce dei richiamati principi.

Con riferimento al secondo profilo del vizio denunciato, inerente la errata valutazione dei criteri utili a determinare l’indennità risarcitoria, deve rilevarsi che la corte territoriale ha utilizzato quale parametro unico la durata (contenuta) del contratto stipulato tra le parti. Parte ricorrente denuncia sotto il profilo dell’omesso esame, la mancata valutazione degli ulteriori criteri dettati dall’art. 8 I.n. 604/66, richiamati dall’art. 32.

A riguardo questa Corte ha chiarito che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, sicchè il fatto storico non può identificarsi con il difettoso esame dei parametri della liquidazione dell’indennità L. 4 novembre 2010, n. 183, ex art. 32, comma 5, sui quali il giudice di merito conduce la valutazione ai fini della liquidazione della stessa” (Cass.n. 2498/2015; Cass. n. 13488/2015).

Quanto alla concreta determinazione dell’indennità deve peraltro soggiungersi che i criteri indicati dal richiamato art. 8 (e quindi dall’art. 32, comma 5), non richiedono una concomitante valutazione da parte del giudice, trattandosi di indicatori previsti dal legislatore per svolgere una valutazione indennitaria che ben può trovare piena soddisfazione solo in taluno di essi utile a realizzare la giusta personalizzazione del ristoro nella singola fattispecie in esame (con riferimento alla personalizzazione del danno si veda Corte Cost. sentenza n. 194/2018). Pertanto la valutazione della corte territoriale, ancorata alla esigua durata del contratto, risulta coerente alle previsioni delle disposizioni inerenti la quantificazione e rispettosa dei criteri ivi contenuti.

Per quanto rilevato la censura è da rigettare.

2) – Con il secondo motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla L. n. 183 del 2012, art. 32 e L. n. 604 del 1966, art. 8, nonchè vizio di motivazione in quanto illogica, assente e apparente (art. 360 c.p.c., n. 5).

Il motivo risulta infondato alla luce di quanto già rilevato in precedenza con riferimento alla determinazione dell’indennità in questione ed ai criteri utilizzati.

Altresì inammissibili gli ulteriori profili del secondo motivo perchè il vizio di motivazione denunciato non è ammissibile a seguito della riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ed in quanto non è rappresentata la decisività dei fatti omessi (peraltro non sono fatti come sopra detto).

3) – Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91,112,336 e 384 c.p.c., nonchè vizio di omessa pronuncia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4).

4) con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, art. 24, D.M. n. 127 del 2004 e del D.M. n. 55 del 2014 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.).

Entrambi i motivi denunciano, sotto vari profili, la pronuncia in materia di spese, ed in particolare la mancata liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, rimesso dalla corte di legittimità con la ordinanza di rinvio, nonchè la non congruità delle spese liquidate.

La corte territoriale non ha specificato la liquidazione e quindi non è possibile individuare quali le voci liquidate e quanto l’ammontare delle spese del giudizio di legittimità.

A riguardo deve darsi seguito al principio già enunciato da questa Corte secondo cui “in tema di spese giudiziali, il giudice deve liquidare in modo distinto spese ed onorari, in relazione a ciascun grado del giudizio, per consentire alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e, in presenza di una nota spese specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può rideterminare globalmente i compensi in misura inferiore a quelli esposti, ma deve motivare adeguatamente l’eliminazione o la riduzione delle singole voci”(Cass. n. 18905/2017). I motivi devono quindi essere accolti e cassata ma deve motivare adeguatamente l’eliminazione o la riduzione delle singole voci”(Cass. n. 18905/2017). I motivi devono quindi essere accolti e cassata la sentenza con riguardo a tutti i motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Milano, in differente composizione, perchè provveda in conformità con gli enunciati principi, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo (con riguardo alle indicate censure) nonchè il terzo ed il quarto e rigetta il secondo motivo. Cassa la sentenza con riguardo ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019

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