Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27870 del 12/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27870 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 27990-2008 proposto da:
BIAGIOTTI LORENZO C.F. BGTLNZ56M10F458X, ORLANDINI
VALTE C.F. RLNVLT56B05H570N, elettivamente domiciliati
in ROMA, VIA F. PAOLUCCI DE’ CALBOLI 1 C/0 MARVASÌ)2,
presso lo studio dell’avvocato IRENE BADARACCO,
rappresentati e difesi dall’avvocato MONACI MARCELLO,
2013

giusta delega in atti;
– ricorrente –

3320

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante

Data pubblicazione: 12/12/2013

Ero tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
RICCIO ALESSANDRO, PREDEN SERGIO, VALENTE NICOLA,
giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 1270/2007 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 17/11/2007 r.g.n. 1535/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/11/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

– controricorrente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 17 novembre 2007 la Corte d’appello di Firenze ha
confermato la sentenza del Tribunale di Livorno del 14 gennaio 2005 )con
la quale è stata rigettata la domanda di Biagiotti Lorenzo e Orlandini Valte
intesa ad ottenere la dichiarazione del proprio diritto alla maggiorazione

come modificato dall’art. 1, comma 1 del d.l. 169 del 1993 1 convertito nella
legge 271 del 1993. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia di
rigetto applicando il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione
secondo cui, per ottenere i benefici in questione, il lavoratore deve provare
di essere stato esposto al rischio di inalazioni di amianto in misura almeno
pari a quello di cui al d.l. 277 del 1991, e considerando in fatto che la
consulenza tecnica di ufficio non aveva accertato l’esposizione dei
ricorrenti a valori di rischio rilevanti ai fini del beneficio, né era stato
accertato il nesso causale fra l’utilizzo di determinati strumenti di lavoro e
l’esposizione rilevante ai fini in questione; a tale riguardo la stessa Corte
fiorentina ha ritenuto superflua la richiesta ulteriore istruttoria.
L’Orlandini ed il Rosignano propongono ricorso per cassazione avverso
tale sentenza articolato su tre motivi.
Resiste l’INPS con controricorso illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.
115 e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 244 e 245 cod. proc. civ. in relazione
all’art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce l’erroneità
della decisione impugnata riguardo al mancato svolgimento dell’ulteriore
attività istruttoria richiesta con particolare riferimento alle dedotte prove

A

contributiva prevista dall’art. 13, comma 8 della legge n. 257 del 1992 )così

testimoniali che avrebbero potuto confermare l’esposizione rilevante ai fmi
in questione.
Con secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 13,
comma 8 della legge 257 del 1991, e degli artt. 24 e 31 del d.lgs. 277 del
1991 in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. con riferimento

esposizione di cui a detto d.lgs 277 del 1991, e si deduce che, ai fini del
riconoscimento del beneficio richiesto, sarebbe sufficiente l’esposizione
all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, senza la necessità del
raggiungimento delle soglie in questione.
Con il terzo motivo si lamenta l’omissione della motivazione della sentenza
impugnata con riferimento al mero richiamo alla CTU, in relazione all’art.
360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce l’insufficienza della
motivazione con riferimento al richiamo della CTU anche in rapporto tra le
conclusioni della stessa CTU e gli elementi oggetto dell’indagine peritale
che sarebbero stati omessi.
Il primo motivo è inammissibile. Nel quadro del principio, espresso
nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove da parte del giudice
(eccetto le prove legali), quest’ultimo ben può apprezzare
discrezionalmente gli elementi acquisiti, ritenendoli sufficienti per la
decisione ed attribuendo ad essi valore preminente, con conseguente
implicita esclusione di altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Tale
apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico
e coerente il valore preminente attribuito, sia pur per implicito, agli
elementi utilizzati (Cass., 26 aprile 1990, n. 3476; Cass. 14 dicembre 1999
n. 898). Ciò per l’appunto è avvenuto nella specie, risultando evidente, in
quanto espressamente dichiarato, che il Tribunale superiore ha ritenuto
esaustivi i risultati delle indagini tecniche espletate, nel momento in cui ne

all’affermazione secondo cui è necessario il raggiungimento delle soglie di

ha definito le considerazioni e le conclusioni “ineccepibili e logicamente ed
adeguatamente motivate”. Dal canto suo i ricorrenti non soltanto non hanno
mosso censure alla capacità dimostrativa attribuita dalla sentenza
impugnata alla consulenza tecnica, ma si sono limitati a dedurre l’uso
quotidiano e continuo di strumenti di lavoro contenenti amianto,

contestazione, il nesso causale di tale utilizzo. D’altra parte i ricorrenti si
sono limitati all’apodittica asserzione secondo cui la richiesta istruttoria di
prova testimoniale sarebbe stata idonea a provocare una decisione diversa
da quella pronunciata. Questa presunta idoneità, peraltro, è semplicemente
enunciata ma non è in alcun modo illustrata (mentre la parte avrebbe avuto
l’onere di dimostrare la sussistenza di un nesso eziologico tra l’errore
addebitato al giudice e la pronunzia emessa in concreto:Cass., 26 marzo
1999, n. 2894). Di qui l’inammissibilità del mezzo, sia perché la
motivazione della Corte d’appello non è censurabile in questa sede, sia
perché la capacità dimostrativa degli accertamenti tecnici espletati (con
conseguente irrilevanza della prova testimoniale) non ha formato oggetto di
doglianza, sia perché è rimasto a livello di mera affermazione l’assunto
secondo cui l’ammissione della prova avrebbe potuto condurre ad una
decisione diversa.
Il secondo motivo è infondato. È stato infatti più volte affermato dalla
giurisprudenza di legittimità (tra le tante Cass. n. 4913 del 3 aprile 2001)
che il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, va interpretato
nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto va attribuito
unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano valori di rischio per
esposizione a polveri d’amianto superiori a quelli consentiti dal D.Lgs. n.
277 del 1991, artt. 24 e 31; quindi nell’esame della fondatezza della relativa
domanda, il giudice di merito deve accertare – nel rispetto dei criteri di
ripartizione dell’onere probatorio – se l’assicurato, dopo aver provato la

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circostanza ritenuta pacifica dai giudici di merito, essendo, viceversa in

specifica lavorazione praticata e l’ambiente dove ha svolto per più di dieci
anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause “fisiologiche”, quali
riposi, ferie e festività) detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale
ambiente ha presentato una concreta esposizione al rischio alle polveri di
amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel D.Lgs. n. 277 del

afferma la sentenza impugnata, dalla esistenza dell’obbligo del datore di
pagare il premio supplementare di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124,
art. 153, perché questo consegue allo svolgimento delle lavorazioni
morbigene previste in tabella, qualunque sia la concentrazione della
sostanza nociva. Inoltre la Corte richiama gli accertamenti ispettivi
dell’Inail degli anni 1982 e 1986 per la determinazione del premio
supplementare, ma poi non spiega se da essi sia emersa l’esistenza del
grado di esposizione richiesto dalla legge, di talché i medesimi non sono
idonei a supportare il diritto al beneficio richiesto.
# La disciplina non è mutata a seguito delle nuove norme che sono state
emanate in tema di rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto,
essendosi già affermato (Cass. n. 21862 del 18 novembre 2004 e n. 15008
del 15 luglio 2005) che “In tema di benefici previdenziali in favore dei
lavoratori esposti all’amianto, la L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma
132, che – con riferimento alla nuova disciplina introdotta dal D.L. 30
settembre 2003, n. 269, art. 47, comma 1, (convertito con modificazioni
nella L. 24 novembre 2003, n. 326) – ha fatto salva l’applicabilità della
precedente disciplina, di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, per i
lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano già maturato il diritto ai
benefici previdenziali in base a tale ultima disposizione, o abbiano
avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL od ottenuto sentenze
favorevoli per cause avviate entro la medesima data, va interpretato nel
senso che, tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la

1991. Nè la esposizione alla soglia prescritta può essere dimostrato, come

salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata,
abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per
l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva”.
La nuova disciplina non è quindi applicabile alla presente causa, rientrando
essa nei casi per i quali il legislatore ha espressamente fatto salva la

procedimento per ottenere il beneficio è già iniziato ed era in corso alla
data del primo ottobre 2003. La disposizione si spiega considerando che in
tali evenienze – essendo già terminato, ovvero ancora in corso il
procedimento (talvolta molto difficile e complesso) per l’accertamento dei
requisiti prescritti in precedenza – si rivelerebbe oltremodo gravoso ed
antieconomico imporre che la verifica del diritto si svolga alla luce della
normativa sopravvenuta. La nuova disciplina – ancorché non operante nella
fattispecie per cui è causa, che resta regolata dalla legge precedente (L. n.
257 del 1992, art. 13, comma 8) – vale però a confermare che anche
quest’ultima imponeva, per la concessione del beneficio, il superamento di
una certa soglia di esposizione all’amianto. Sarebbe infatti del tutto
irragionevole e contrario al principio costituzionale di uguaglianza
ipotizzare che, mentre con le nuove regole il beneficio spetta solo nei casi
di superamento della soglia, viceversa, secondo quelle anteriori, questa non
venisse affatto prevista, e fosse sufficiente qualunque grado di esposizione.
Si tratta infatti pur sempre, in entrambi i casi, di esposizioni che risalgono a
periodi lontani nel tempo, di talché non vi è motivo di trattare diversamente
fattispecie uguali. Diversamente opinando si dovrebbe ritenere che si sia
inteso applicare discipline diverse a casi del tutto uguali di esposizione per
lungo periodo alla sostanza nociva, ponendo come discrimine tra l’uno e
l’altro l’elemento del tutto estrinseco e casuale come l’epoca di richiesta del
beneficio, il che sarebbe contrario ai principi costituzionali di uguaglianza e

regolamentazione precedente di cui alla citata L. n. 257, dal momento che il

di ragionevolezza (Cass. 15 aprile 2009 n. 8914; Cass. 22 dicembre 2006 n,
27451).
Anche il terzo motivo è infondato.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, non incorre nel vizio di
carenza di motivazione la sentenza che recepisca “per relationem” le
conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio
di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il
profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che
la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già
dinanzi al giudice “a quo”, la loro rilevanza ai fini della decisione e
l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina,
corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale
richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato
di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 4 maggio 2009 n.
10222). Nel caso in esame, appunto, i ricorrenti criticano la consulenza
posta a fondamento della decisione impugnata senza allegare l’avvenuta
censura già in fase di merito e la conseguente omessa considerazione delle
relative censure ritualmente mosse nella sede competente.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio liquidate in
€ 100,00 per esborsi ed E 2.500,00 per compensi professionali oltre
accessori di legge.
Così deciso i Roma il 20 novembre 2013.

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