Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2787 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 02/02/2017, (ud. 08/11/2016, dep.02/02/2017),  n. 2787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25173 – 2012 R.G. proposto da:

I.G., – c.f. (OMISSIS) – N.F. – (OMISSIS) –

R.A. – c.f. (OMISSIS) – I.M. – c.f. (OMISSIS) –

I.L. – (OMISSIS) – elettivamente domiciliati in Roma, alla via

Emilio dè Cavalieri n. 11, presso lo studio dell’avvocato professor

Pierfrancesco Zecca che li rappresenta e difende in virtù di

procura speciale per scrittura privata autenticata a ministero notar

B.M. in data 9.9.2014;

– ricorrenti –

contro

A.G., – c.f. (OMISSIS) – I.F. – (OMISSIS) –

IN.GI. – c.f. (OMISSIS) -rappresentati e difesi

congiuntamente e disgiuntamente in virtù di procura speciale a

margine del controricorso dall’avvocato Vito Monteleone e

dall’avvocato Paolo De Palma ed elettivamente domiciliati in Roma,

al corso Trieste, n. 146, presso lo studio dell’avvocato Domenico

Abbadessa;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 958 dei 3.7/4.9.2012 della corte d’appello di

Bari;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica dell’8

novembre 2016 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Aldo Fontanelli, per delega dell’avvocato professor

Pierfrancesco Zecca per i ricorrenti;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 25.1.1991 I.N. citava a comparire innanzi al tribunale di Bari I.M., I.L., R.A., I.G. e N.F..

Esponeva che il 16.10.1988 era deceduta in Bari C.G. in I., lasciando a sè quali eredi i figli, I.L. e I.M. nonchè egli attore.

Esponeva che con atto per notar P. del 6.10.1988 la madre aveva alienato a B.M.R. un appartamento in (OMISSIS); che con atto per notar P. del 14.10.1988 la madre aveva alienato alla nipote I.G. ed al coniuge di costei, N.F., altro appartamento in Bari, parimenti alla via (OMISSIS), ed alla nipote R.A. altro appartamento in (OMISSIS), del pari ricompreso nello stabile di via (OMISSIS): che la madre aveva stipulato preliminare con il quale aveva promesso di alienare a tale V.C. un ulteriore appartamento analogamente ubicato nello stabile di via (OMISSIS), siglate vendite, sicchè le alienazioni dissimulavano senz’altro delle donazioni: e che non si aveva traccia del patrimonio mobiliare – danaro. preziosi, corredo – della de cuius.

Chiedeva che le surriferite compravendite fossero dichiarate “nulle e, comunque, soggette alla revocazione integrativa della quota dovuta ai legittimari- (così ricorso, pag. 2); che I.M. e I.L. fossero condannati a restituire alla massa ereditaria i beni mobili di cui si erano appropriati.

Si costituivano i convenuti.

Instavano per il rigetto delle avverse domande, I.L. esperiva altresì domanda riconvenzionale volta a conseguire la condanna dell’attore al pagamento dell’importo di lire 6.019.430.

Espletata c.t.u., acquisiti i chiarimenti richiesti al consulente, assunto l’interrogatorio formale dei convenuti, all’udienza dell’11.5.2000 si costituiva A.G., moglie di I.N., quale sua erede.

Indi, con sentenza n. 2811/2008 il giudice adito dichiarava e dava atto della simulazione della vendita per notar P. del 14.10.1988, dichiarava e dava atto della lesione della quota di legittima riservata a I.N., condannava per l’effetto i convenuti a pagare in solido la somma di Euro 22.557,80, oltre interessi e rivalutazione, accoglieva la riconvenzionale e, per l’effetto, condannava l’attore a pagare a I.L. la somma di Euro 3.108,78 oltre interessi, compensava le spese di lite.

Con atto notificato in data 17.3.2009 interponevano appello I.M., R.A., I.L., I.G. e N.F..

Resisteva A.G..

Intervenivano I.F. e In.Gi., figli di I.N., quali suoi ulteriori eredi.

Con comparsa del 9.12.2009 si costituiva l’avvocato Luigi Tosches quale ulteriore difensore degli appellanti.

Con sentenza n. 958 del 3.7/4.9.2012 la corte d’appello di Bari rigettava il gravame e condannava in solido gli appellanti alle spese del grado.

Esplicitava, la corte di merito, che il giudice di prima istanza aveva – statuito esattamente sulla domanda che era stata proposta – (così sentenza d’appello, pag. 7).

Esplicitava altresì che era destituita di fondamento l’eccezione di nullità della sentenza di prime cure a cagione della mancata partecipazione al primo giudizio di I.F. e Gi.; che costoro invero si erano costituiti in appello ed avevano espressamente accettato il processo nello stato in cui si trovava nè la loro assenza in prime cure aveva in qualche modo inciso sulla posizione degli appellanti; che d’altra parte gli appellanti avevano contraddittoriamente eccepito il difetto di legittimazione di I.F. e Gi. in dipendenza dell’asserita mancata accettazione della eredità di I.N. antecedentemente al compimento del termine di prescrizione.

Esplicitava inoltre che destituita di fondamento era pur l’eccezione di estinzione del giudizio di primo grado per asserito difetto di contradditorio; che difatti il giudizio aveva avuto legittima prosecuzione in dipendenza della costituzione di A.G.; che in pari tempo l’estinzione era stata eccepita tardivamente, in secondo grado, con la comparsa di costituzione dell’avvocato Tosches.

Esplicitava ancora che del tutto irrilevante era la pretesa natura remuneratoria delle donazioni dissimulate, giacchè vere e proprie donazioni comunque assoggettate alla disciplina della riduzione per lesione di legittima: che conseguentemente il tribunale aveva correttamente atteso alla formazione dell’asse ereditario.

Esplicitava ulteriormente che corretta era anche la valutazione dei cespiti costituenti la massa ereditaria, “atteso che le conclusioni del consulente dell’Ufficio (….) sono logiche e condivisibili e (…) ancorate a parametri di obiettività” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Esplicitava infine che ineccepibile era anche la condanna degli eredi di I.N. al pagamento pro quota delle spese; che infatti, contrariamente all’assunto degli appellanti – secondo cui le spese de quibus dovevano gravare sull’asse, da cui erano da detrarre prima della determinazione della quota di legittima – “si trattava di una azione di rimborso proposta direttamente da I.L. nei confronti di I.N., e come tale era stata accolta dal primo giudice” (così sentenza d’appello. pag. 8): che al contempo gli appellanti non avevano interesse a dolersi al riguardo, atteso che, qualora si fosse proceduto alla stregua della loro prospettazione, agli eredi di I.N. sarebbe spettata una somma maggiore.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso I.M., R.A., I.L., I.G. e N.F.; ne hanno chiesto sulla scorta di un unico articolato motivo la cassazione con ogni susseguente pronuncia in ordine alle spese.

A.G., I.F. e In.Gi. hanno depositato controricorso: hanno chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto – nullità della sentenza e/o del procedimento – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, prospettati dagli appellanti o comunque rilevabili di ufficio – (art. 360 c.p.c., nn. 3 – 4 – 5); illogicità – petizione di principio – ingiustizia manifesta – violazione del giusto processo – art. 24 Cost. – violazione del contraddittorio – litisconsorzio necessario – (artt. 101 – 102 c.p.c.) – difetto di legittimazione attiva – prescrizione” (così ricorso, pagg. 43 44).

Premettono che “quali motivi di cassazione vanno qui considerati tutti quelli (…) contenuti nella memoria di costituzione” (così ricorso, pag. 45) dell’avvocato Tosches, ovvero le argomentazioni. “in integrazione e specificazione di tutti i motivi già dedotti” (così ricorso, pag. 15), di cui alla comparsa in data 9.12.2009 di costituzione dell’avvocato Tosches “a fianco del primo difensore degli appellanti, avv. Mirizzi” (così ricorso, pag. 15).

Deducono che in primo grado il processo “si era interrotto e, non essendo stato ben riassunto, si era poi inesorabilmente estinto (a prescindere dalla dichiarazione di estinzione, mai avvenuta)” (così ricorso, pag. 47) e che “a nulla vale che nel successivo grado di appello (…) si sono costituiti i figli” (così ricorso, pag. 50).

Deducono altresì che “non si può assolutamente considerare valida tutta l’attività processuale svolta in primo grado (compresa la c.t.u.) in assenza di litisconsorti necessari quali i figli del defunto I.N. e ciò non solo nel loro interesse, ma anche di quello delle loro controparti” (così ricorso, pag. 51); che la corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza di primo grado e rimettere le parti dinanzi al tribunale.

Deducono inoltre che ogni pretesa di I.F. e Gi. nei confronti di essi ricorrenti è inesorabilmente prescritta per decorso del termine decennale.

Deducono ancora che la domanda riconvenzionale da I.L. proposta nei confronti del fratello N. “modifica l’entità della massa ereditaria” (così ricorso, pag. 54).

Deducono ulteriormente che “nulla dice poi la sentenza impugnata su tutte le argomentazioni formulate dai convenuti sull’errore del tribunale in merito all’errato calcolo della somma afferente le spese funerarie (anticipate da I.L. (così ricorso, pag. 58); che nulla dice sull’erronea conversione in euro dell’importo di lire 87.000.000 operata dal tribunale.

Deducono infine che il tribunale ha omesso di rivalutare il denaro ricevuto da I.N. a seguito della vendita di un appartamento nel maggio del 1990 e che I.L. “ha dimostrato documentalmente che (…) aveva anche pagato di tasca sua le tasse di successione” (così ricorso, pag. 59).

Il ricorso è inammissibile.

Si evidenzia che per esplicita indicazione degli stessi ricorrenti il motivo di ricorso per cassazione ripropone pedissequamente i medesimi argomenti che l’avvocato Luigi Tosches, nuovo difensore degli appellanti, ha svolto in seconde cure con la comparsa in data 9.12.2009 con cui, appunto. ebbe a costituirsi a fianco del primo difensore, avvocato Mirizzi (cfr. ricorso, pagg. 15 – 16, ove leggesi: “..si trascrivono qui di seguito le argomentazioni difensive e le eccezioni prospettate dal sottoscritto avvocato in integrazione e specificazione di tutti i motivi già dedotti dal precedente difensore, così come esposte sistematicamente nella sua comparsa conclusionale che, anticipiamo, sono state completamente ignorate dalla Corte territoriale e che dunque valgono sic quali MOTIVI DI RICORSO IN CASSAZIONE e come tali devono (essere considerai a tutti gli effetti.

Si evidenzia ulteriormente che, al cospetto delle argomentazioni difensive e delle eccezioni ex adverso formulate con la comparsa in data 9.12.2009, parte controricorrente, già parte appellata, ha dedotto di averne in seconde cure prospettato la tardività (cfr. controricorso, pag. 4) e di aver “eccepito l’indebito ampliamento del thema decidendum con nuove eccezioni, conclusioni e motivi sui quali non accettava il contraddittorio- (così controricorso, pag. 3).

D’altronde la stessa corte distrettuale ha dato atto che con la comparsa del 9.12.2009 “il nuovo difensore aggiunge a quanto dedotto dal suo predecessore l’eccezione di violazione del principio della domanda (…) Deduce poi l’estinzione del giudizio (…) e (…) che il diritto relativo era ormai ampiamente prescritto- (così sentenza d’appello. pagg. 6 – 7).

In questi termini si rappresenta che. onde smentire l’avverso surriferito assunto (indebito ampliamento del thema decidendum), i ricorrenti, in ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienza- del ricorso per cassazione, avrebbero dovuto imprescindibilmente dar ragione della perfetta riconducibilità agli originari motivi di appello degli argomenti spesi in seconde cure con la comparsa del 9.12.2009 e in questa sede riproposti tout court quale articolato motivo di ricorso per cassazione.

E’ innegabile, per un verso, che i motivi di impugnazione della sentenza di primo grado possono essere formulati solo con l’atto d’appello e l’appellante non può quindi aggiungere altre censure nel corso dell’ulteriore attività processuale, in quanto il diritto di impugnazione si esplica e si consuma con l’atto di appello, il quale fissa i limiti della devoluzione della controversia in sede di gravame (cfr. Cass. sez. lav. 24.5.2001, n. 7088).

E’ innegabile, per altro verso, che la novità in sede di gravame degli argomenti addotti con la comparsa in data 9.12.2009, in dipendenza della mera riproposizione in questa sede, si risolve in pari tempo in novità del motivo di ricorso per cassazione.

In ogni caso si rappresenta che il motivo di ricorso, siccome sic et simpliciter riproduttivo degli argomenti addotti in secondo grado con la comparsa del 9.12.2009 avverso il dictum di prime cure, non si correla a rigore alla decisione d’appello in questa sede impugnata.

Del resto gli stessi ricorrenti deducono testualmente: “quando si legge Tribunale in realtà si può far riferimento anche a Corte di Appello, vista la totale mancanza di esame e delibazione su tutti i motivi qui ora riesposti” (così ricorso, pag. 16).

Si tenga conto che questo Giudice del diritto spiega che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, essendo fatto divieto di rinvio ad atti difensivi o a risultanze dei gradi di merito ed essendo estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quella impugnata, e, in particolare, la sentenza di prime cure quando sia impugnata quella d’appello: ne consegue che è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata (cfr. Cass. 15.2.2003, n. 2312; Cass. sez. lav. 21.8.1997, n. 7851).

La declaratoria di inammissibilità del ricorso giustifica la condanna in solido dei ricorrenti al rimborso in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso: condanna in solido i ricorrenti, I.M., R.A., I.L., I.G. e N.F., a rimborsare ai controricorrenti, A.G., I.F. e In.Gi., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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