Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27865 del 31/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 31/10/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 31/10/2018), n.27865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19277/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

ITEMA SPA (già Radici Holding Meccanotessile Spa), rappresentata e

difesa dall’avv. Mario Franchina e dall’avv. Goffredo Gobbi,

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma,

via Maria Cristina n. 8;

– controricorrente, ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 35/67/12, pronunciata il

23/01/2012, depositata il 7/02/2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 settembre

2018 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate ricorre, per due motivi, nei confronti della Itema Spa (già Radici Holding Meccanotessile Spa), che resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (hinc: CTR) in epigrafe che – in controversia concernente l’impugnazione di una cartella di pagamento che, in seguito ad un controllo automatizzato, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 36-bis, recuperava, ai fini IRES, per l’annualità 2006, una maggiore imposta nella misura di Euro 215.600,00 (oltre alla sanzione e agli interessi), erroneamente portata dalla società in compensazione (di debiti d’imposta), per essere stato inserito lo stesso importo come credito nella dichiarazione fiscale del CNM 2006 (consolidato nazionale e mondiale), ma non indicato nel modello Unico dello stesso anno – in parziale riforma della decisione di primo grado, favorevole alla contribuente, irrogava alla società la sanzione amministrativa di Euro 2.000,00, rigettando per il resto l’impugnazione dell’Ufficio.

La CTR, concordando con la linea difensiva della contribuente, già condivisa dal giudice di primo grado, innanzitutto, ha disatteso la tesi erariale, secondo cui l’unico strumento offerto alla consolidante per attribuirsi un’eccedenza IRES, emergente dal modello CNM, era quello previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43-ter, consistente nell’indicazione, nella dichiarazione, degli estremi dei soggetti cessionari e degli importi ceduti a ciascuno di essi.

Ha, quindi, ravvisato esclusivamente un errore formale, ascrivibile alla società, per il mancato trasferimento, nel modello Unico, del credito indicato nella dichiarazione del consolidato; pertanto, ha ritenuto applicabile la suindicata sanzione, prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8.

La contribuente ha depositato una memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Primo motivo di ricorso: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43 ter, della L. n. 121 del 2000, art. 10, anche in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 2”.

Si denuncia l’errore di diritto della sentenza impugnata che non avrebbe tenuto conto della prescrizione del cit. art. 43-ter, in forza del quale, in caso di società che aderiscono alla tassazione di gruppo, condizione imprescindibile per l’efficacia, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, della cessione dell’eccedenza è che l’ente cedente indichi, nella dichiarazione, i soggetti cessionari e gli importi ceduti a ciascuno di essi.

Si fa valere, ancora, che la CTR, laddove ha sostenuto che, nei primi anni di utilizzo del modello unico CNM, si erano verificati degli errori da parte delle società dichiaranti, ai quali aveva posto rimedio la successiva prassi dell’Agenzia, ha fatto indebitamente uso della scienza privata, volta a superare il difetto di allegazione, da parte della società, delle ragioni idonee a rendere scusabile l’asserito “errore formale” della dichiarazione.

1.1. Il motivo è infondato.

La censura non si confronta compiutamente con la ragione del decidere illustrata dalla CTR che, in sostanza, ha aderito alla prospettazione difensiva della società, in virtù della quale, nella specie, non sarebbe configurabile la violazione dell’art. 43-ter, cit., adombrata dall’Agenzia delle entrate.

Nel caso in esame, infatti, in base alla ricostruzione compiuta dalla CTR, che ha congruamente illustrato il percorso logico-giuridico seguito, la contribuente, senza arrecare alcun danno all’Erario (per l’assenza di un illegittimo risparmio d’imposta) è incorsa in un errore formale – integrante, comunque, una violazione tributaria, sebbene meno grave di quella contestata dal Fisco – perchè, in qualità di società capogruppo (consolidante), cessionaria ex lege dei crediti d’imposta delle società controllate, ha omesso di riportare, nella propria dichiarazione dei redditi (ossia, nel riquadro predisposto, nel modello Unico, per le “eccedenze”), il credito indicato sia nella dichiarazione del consolidato che nelle dichiarazioni delle società controllate.

Quanto poi al dedotto indebito ricorso, da parte della CTR, alla propria scienza privata, in merito alla prassi seguita dall’Amministrazione finanziaria, in progresso di tempo, per fare fronte agli errori delle società nei primi anni di utilizzo del modello CNM, osserva la Corte che il passo in contestazione della decisione impugnata non integra la ratio della statuizione, ma assume una valenza puramente rafforzativa del descritto, condivisibile, processo decisionale illustrato dal giudice d’appello.

2. Secondo motivo: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6,comma 5 bis (come modificato dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 7, comma 1)”.

Si deduce che la CTR, riconoscendo l’irrilevanza dell’errore formale della società, avrebbe violato le norme richiamate nella rubrica del mezzo, che escludono la punibilità delle violazioni che non arrechino pregiudizio alle azioni di controllo e non incidano sulla determinazione della base imponibile e sul versamento del tributo, trascurando che, nella specie, non si era verificata alcuna di queste condizioni.

2.1. Il motivo è infondato.

Il riferimento alla causa di non punibilità dell’art. 6 cit., comma 5-bis, non coglie la ragione del decidere della CTR che, come suaccennato (p. 1.1.), ha reputato che l’errore formale commesso dalla contribuente, nella compilazione della dichiarazione dei redditi, integrasse una violazione, meno grave di quella prospettata dall’Amministrazione finanziaria, e, in ogni caso, punibile con la sanzione di Euro 2.000,00, a norma del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, in tema di violazioni relative al contenuto e alla documentazione della dichiarazione.

3. Coll’unico motivo del ricorso incidentale la contribuente esclude di essere incorsa in alcuna violazione tributaria e afferma che, anche in caso contrario, dovrebbe (comunque) farsi applicazione del menzionato art. 6, comma 5-bis, con conseguente cassazione della decisione della CTR, quanto all’irrogazione della sanzione.

Propone, infine, in via residuale, l’applicazione dello ius superveniens, ossia dell’art. 43-ter cit., comma 2-bis, (che essa erroneamente indica come art. 43-ter, comma 2), in virtù del quale, nel caso di cessione dell’eccedenza dell’imposta sul reddito delle società risultante dalla dichiarazione dei redditi del consolidato di cui all’art. 122 testo unico delle imposte sui redditi, la mancata indicazione degli estremi del soggetto cessionario e dell’importo ceduto non determina l’inefficacia della cessione, e si applica la sanzione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1.

3.1. Il motivo è infondato.

La CTR, in applicazione dell’art. 8 cit., comma 1, all’esito di un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito, e, perciò, sottratto al controllo di legittimità demandato a questa Corte, ha configurato l’errore formale compiuto dalla contribuente, nella compilazione della dichiarazione dei redditi, come una violazione (meno grave di quella contestata dall’Agenzia, ma, comunque) suscettibile di arrecare pregiudizio all’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria.

E’ il caso di evidenziare, infine, che lo ius superveniens invocato dalla contribuente non comporta alcuna diminuzione del quantum della sanzione, già determinato dalla CTR nella misura (massima) prevista dal detto art. 8, comma 1, pari a Euro 2.000,00, in conformità dell’art. 43-ter cit., comma 2-bis.

4. In definitiva, sia il ricorso principale che quello incidentale vanno rigettati.

5. Le spese del giudizio di legittimità si debbono compensare, tra le parti, per la loro soccombenza reciproca.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa, tra le parti, le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018

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